A spasso con Alain Robbe Grillet

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Un incontro triestino con il grande scrittore francese

di Diego Zandel

 

Nel settembre del 2004 mi trovai a vivere tre giorni interi in compagnia di Alain Robbe-Grillet, l’esponente del “nouveau roman”, scrittore (Le gomme, La gelosia, Nel labirinto e di altri romanzi), sceneggiatore (L’anno scorso a Marienbad), regista (Spostamenti progressivi del piacere), scomparso quattro anni dopo il nostro incontro, a 85 anni d’età, nell’ospedale di Caen (abitava a Neuilly, vicino a Parigi).

Ci trovavamo entrambi a Trieste per partecipare, con ruoli diversi, il suo di prestigioso ospite, il mio di operatore culturale, a una tappa de “I viaggi di Telecom Italia”, un percorso attraverso la cultura e la storia di alcune città italiane, che a Trieste, per il suo rapporto con Vienna, Freud e la psicanalisi, portava il titolo de “Il viaggio nell’inconscio”.

Nonostante il tema della manifestazione, il mostro sacro della letteratura del Novecento che avevo accanto non era un fantasma, una proiezione dell’inconscio.

Era appena arrivato, dopo una serie di coincidenze aeree e lunghe attese negli aeroporti, direttamente da un viaggio in Egitto. Anche laggiù era stato ospite di una manifestazione culturale. “Vado ovunque mi pagano per venire” aveva risposto con tutta franchezza a una mia domanda sulla possibile usura che simili spostamenti potevano procurargli alla sua età. Giustamente affamato, era il solo ancora a dover cenare. Gli feci compagnia, sorseggiando con lui un bicchiere di vino rosso, che mi aveva offerto dalla sua bottiglia. Il giorno dopo, avrei dovuto tenere con lui, insieme alla scrittrice di origine francese Alexandrine de Mun, una conversazione pubblica nello spazio, tra i tanti aperti della manifestazione, di “Dar corpo alle voci”, una serie di incontri con ospiti illustri, tra i quali l’attore Giorgio Albertazzi, vero mattatore della manifestazione, che era legato a Robbe-Grillet dal film L’anno scorso a Marienbad, del quale era stato uno dei protagonisti e Robbe-Grillet lo sceneggiatore. Sul ricordo del film i due avrebbero tenuto la sera dopo un fantastico dialogo, in francese, perché lo scrittore non conosceva l’italiano.

Questa della lingua, se conoscesse un po’ l’italiano, fu la prima cosa che gli chiesi quella sera a tavola, per vederlo scuotere la testa negativamente. A me chiese se ero di Trieste. “No, di Fiume” gli risposi “oggi si chiama Rijeka, ma sono italiano”, e cercai di spiegargli un po’ la complicata situazione storico-politica della regione. L’argomento servì a risvegliare in lui i ricordi di un suo lontano viaggio in Istria, già jugoslava. “Con il Pen Club sono stato in una cittadina istriana… non ricordo il nome, ma aveva un’architettura veneta”. “Rovigno?” No. “Umago?” No… Allora mi ricordai di una poesia di Vassilis Vassilikos dedicata a Pirano. Anche Vassilikos era del Pen Club. Ho chiesto a Robbe-Grillet se in quel suo viaggio c’era pure lo scrittore greco. “Oui, oui…” ha risposto ed è giocosamente rimasto in attesa della soluzione: “Pirano? Piran?”. Ed ecco l’esplosione del suo sorriso. Quando ci siamo messi a brindare mi ha chiesto come si brindasse in croato. “Zivili!” gli ho risposto. E lui è uscito con un’altra frase che ricordava: “Zivio drug Tito”, chiedendomi cosa volesse dire… “Viva il compagno Tito”. Altra risata.

Insomma, per non farla lunga, era giunta così l’ora di andare a dormire. Erano quasi le due di notte. Una macchina era pronta per portarlo all’albergo, ma Robbe-Grillet aveva espresso il desiderio di andarci a piedi. Mi chiese se potevo accompagnarlo, perché temeva di perdersi. Accettai volentieri, tanto più che alloggiavamo nello stesso albergo. Così, come avremmo fatto le sere successive, percorremmo insieme la Riva, lungo il porto. Arrivati in albergo, scoprimmo che le nostre camere erano attigue, lui la 31, io la 30 Una coincidenza che andava ad aggiungersi ad altre: solo pochi giorni prima, senza neppure sapere che lo avrei incontrato a Trieste avevo comprato un suo vecchio libro Progetto per una rivoluzione a New York, ed era lì sul mio tavolino dei libri in attesa di essere letti… Da quel momento, per tre giorni, non l’ho mollato, anzi non mi ha mollato, quasi più. Facevamo colazione in albergo e gli altri pasti, al Caffè degli Specchi, sempre insieme. Il nostro tavolo, grazie alla sua presenza, era affollato. Robbe-Grillet beveva sempre, tranquillamente, vino rosso e poi non si faceva mancare il grappino, anche due. Non so quanti ne aveva bevuti un dopopranzo, mentre, seduti in un angolo, conversava con una donna. Quando questa si allontanò, avvicinatomi a lui, le guance arrossate, mi fece con espressione stupita, quasi incredula: “Mi sta raccontando i suoi amori”.

La sera, la stanchezza si faceva sentire in lui. Appariva sui suoi occhi e mi chiedeva di accompagnarlo in albergo, cosa che facevo volentieri, anche se dopo ritornavo tra gli amici, al convivio. Parlavamo un po’ anche della vita privata, del suo amore sostanzialmente monogamo per la moglie Catherine, attrice, scrittrice e regista a sua volta, che praticava il sadomaso negli ambienti ad esso dedicati e dei cui riti era tanto esperta da scrivere un libro Le petit carnet perdu firmato con lo pseudonimo di Jeanne de Berg. Robbe-Grillet me lo raccontava alzando gli occhi al cielo, come per una rassegnazione propria, dovuta al suo amore per lei, comunque corrisposto.

Parlando di cinema e letteratura, diceva di amarli alla stessa maniera, come si amano un padre e una madre. Di essere anche legato da amicizia ad alcuni attori, come Jane Birkin. Mi raccontò di una bella domenica trascorsa con lei, in compagnia dei figli avuti dai suoi tre mariti, alla presenza anche del secondo marito di lei, tutti allegri davanti a uno bello spiedo nella loro villa di campagna.

Una mattina, fatta colazione, aprii il giornale e lessi che era morta Françoise Sagan. Gli diedi la notizia. Accusò il colpo. Per un po’ rimase muto. “La conoscevi?” gli domandai. “Era un’amica…”. Poi volle sapere come fosse morta, per commentare la sua vita sregolata, anche con la cocaina. Gli domandai: “Cosa ne pensi di lei come scrittrice?”. Scosse la testa. “Ha scritto solo un romanzo buono… Bonjour tristesse… E forse non l’ha scritto neppure tutto lei” intendendo che qualche editor ci aveva messo le mani. Più tardi, a pranzo, raggiunto da un corrispondente dell’Ansa, alla stessa mia domanda avrebbe più diplomaticamente risposto: “Lei è stata una scrittrice di best-seller, io di long-seller”, ammettendo che le tirature dei propri libri erano sì basse, rispetto a quelle della Sagan, ma venivano continuamente ristampati. E confermava con questo giudizio che i libri della Sagan non erano destinati a durare nel tempo.

Sarà stato il fatto che egli era vecchio ed io più giovane e conoscitore della città, ma aveva trovato in me un punto di appoggio, e mi si mostrava grato con un non nascosto affetto, frutto forse anche dell’ammirazione per lui che sentiva in me. Simpaticamente e pazientemente, per questo, correggeva anche il mio approssimativo francese. E vuoi mettere avere un insegnante come Robbe-Grillet? Per questo, nei tanti articoli letti in occasione della sua morte, facevo fatica a ritrovare in essi l’uomo scorbutico e provocatore, luciferino addirittura, come veniva descritto. Certo, era stato nominato Accademico di Francia, un traguardo che altri scrittori pagherebbero oro per raggiungere, ma che lui aveva accettato solo nominalmente, rifiutandosi di presentarsi in Accademia e vestire l’apposita divisa. I francesi ne sono stati irritati, come per tante altre sue “provocazioni”. Non hanno capito che non era disprezzo per una istituzione così importante, che mette tra gli immortali chi è ancora in vita, soltanto che Alain Robbe-Grillet, con la sua intatta voglia di continue sperimentazioni, non si voleva sentire già imbalsamato. Se doveva essere immortale, come lo è, doveva essere per le sue opere e non per una nomina d’ufficio. Dove sta, in questo caso, la provocazione?