A teatro

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di Paolo Quazzolo

 

La nuova produzione della Contrada – Teatro Stabile di Trieste ha puntato su un grande classico della drammaturgia del Novecento, L’anima buona di Sezuan di Bertolt Brecht. Scritto tra il 1938 e il 1940, rappresentato per la prima volta a Zurigo nel 1943, il testo presenta una riflessione sui rapporti tra gli uomini, mettendo in luce come lo sfruttamento e la cattiveria difficilmente possano essere mitigati dalla bontà. Quest’ultima è infatti amaramente destinata a essere sconfitta, in quanto gli interessi personali finiscono sempre per vanificare l’amore, dal momento – sostiene Brecht – che non è possibile conciliare la bontà verso il prossimo con l’esigenza di salvaguardare se stessi. Lo spettacolo, coprodotto con ABC Produzioni, ha visto quale protagonista Monica Guerritore, che ha curato anche la regia di uno spettacolo nato quale omaggio al grande Giorgio Strehler, che mise in scena L’anima buona di Sezuan al Piccolo di Milano nel 1958. Caratterizzato da una scenografia brechtianamente essenziale, lo spettacolo ha visto emergere soprattutto l’interpretazione della Guerritore impegnata nel doppio ruolo della mite Shen Te e dell’autoritario cugino Shui Ta.

Al teatro Comunale di Monfalcone è stato proposto l’adattamento drammaturgico di uno dei romanzi più celebri di Stephen King, Misery. Scritto nel 1987, il romanzo ottenne un immediato successo, tanto che nel 1990 divenne un fortunato film diretto da Rob Reiner, con la sceneggiatura di William Goldman e interpretato da James Caan e Kathy Bates. Quest’ultima, per l’interpretazione del ruolo di Annie Wilkes, ottenne il premio Oscar. Riutilizzando ed adattando la sceneggiatura di Goldman, il romanzo è ora divenuto uno spettacolo teatrale diretto da Filippo Dini, che ne è anche interprete assieme ad Arianna Scommegna. Coprodotto dalla Fondazione Teatro Due, dal Teatro Nazionale di Genova e dal Teatro Stabile di Torino, il dramma narra la storia di uno scrittore di successo, vittima di un grave incidente stradale, che viene curato e allo stesso tempo tenuto prigioniero dalla sua “ammiratrice numero uno”, donna pazza e pericolosamente fuori controllo. Come spesso accade, l’operazione di adattamento teatrale di un celebre romanzo che pone un certo rischio, dal momento che il confronto tra i due prodotti artistici è inevitabile. Tanto più se alle spalle ci sta anche una fortunata versione cinematografica. Lo spettacolo di Filippo Dini, nella versione italiana di Francesco Bianchi, tuttavia si dimostra sorprendentemente autonomo rispetto ai modelli di partenza e se il romanzo conserva sicuramente tutta la sua autorevolezza, lo spettacolo risulta migliore rispetto al film del 1990. Merito di una riscrittura che privilegia la dimensione raccolta del palcoscenico, di una interpretazione di grande intensità da parte dei due attori e, non ultima, di una scenografia girevole ideata da Laura Benzi, estremamente funzionale e indovinata.

Al Politeama Rossetti di Trieste è stata proposta una riscrittura shakespeariana basata sulla celebre figura di Falstaff. L’atto unico Falstaff e il suo servo, scritto a quattro mani da Nicola Fano e Antonio Calenda, mette assieme brani tratti da più opere del bardo (ma vi sono anche alcuni passaggi provenienti dal libretto di Boito per il melodramma di Giuseppe Verdi), e ricostruiscono gli ultimi anni di vita del panciuto personaggio. Diretto da Calenda, lo spettacolo si avvale della presenza autorevole di due validi interpreti – Franco Branciaroli e Massimo De Francovich – che riescono a vitalizzare un testo non sempre convincente.

Un altro classico del teatro del Novecento, Pensaci, Giacomino! di Luigi Pirandello, è stato proposto sul palcoscenico della Contrada dalla Compagnia del Teatro Stabile di Catania ed Enfi Teatro, con protagonista Leo Gullotta. Nato come novella nel 1910, trasformato dallo stesso Pirandello in testo drammatico nel 1917, Pensaci, Giacomino! è uno dei testi più celebri della prima produzione pirandelliana. La storia è quella di un anziano professore di liceo il quale, andando contro l’opinione pubblica, sposa una donna infinitamente più giovane di lui, accettando di prendersi in casa anche il nascituro, il cui padre è il Giacomino del titolo. Da qui una commedia che – secondo uno schema tipicamente pirandelliano – ci fa riflettere sull’ipocrisia della classe borghese e sul veleno dei pettegolezzi provinciali. Grande interprete Leo Gullotta, circondato da un’affiatata compagnia guidata dal regista Fabio Grossi, che agisce in uno spazio lineare inventato da Angela Gallaro Goracci.