Il punto su Marko Kravos

| | |

Quattro venti, antologia in italiano, molto parziale, ma altrettanto opportuna per avvicinarsi al poeta e scrittore triestino

di Roberto Dedenaro

 

Forse vale la pena di ricordare che Marko Kravos, oltre a essere quell’ottimo poeta che molti di noi conoscono,- per quelli che non lo conoscono ancora abbiamo fra le mani l’opportuna pezza a questa mancanza – è anche un prosatore, saggista, autore di molti interventi critici, di scritti per l’infanzia e di un libro di ricordi della sua infanzia a San Giovanni, allora paese separato dalla città, che è un bellissimo affresco di vita triestina subito dopo la guerra.

Perché, dunque, ha senso ricordare tutto questo presentando un libro come Quattro venti, antologia in italiano, molto parziale, se pensiamo che sono, più o meno, cinquant’anni che Kravos scrive poesie, ma che può essere un’ottima carta da visita per la sua conoscenza fuori dai ristretti ambiti tergestini? La risposta alla domanda è perché facciamo sempre un po’ di fatica a prendere sul serio l’ironia e l’autoironia, anche se qualche illustre predecessore dovrebbe averci insegnato qualcosa in proposito, e in Marko Kravos quello ironico e auto-ironico è uno dei tratti salienti, l’epiteto critico più facilmente applicabile, ma, c’è appunto un ma, dobbiamo rassegnarci, stiamo parlando di un autore che ha alle spalle una notevole produzione, in prosa e in poesia, con molte sfaccettature. Siamo davanti, insomma, a quello che si potrebbe chiamare un intellettuale, che dà e ha dato un contributo notevole, anche operando nel concreto attraverso il Gruppo 85, alla vita culturale. Uno scrittore triestino di lingua slovena, ricco e complesso, di cui dovremmo parlare, al di là del confine imposto dalla lingua, come parliamo dei libri e delle idee di qualsiasi importante altro autore cittadino. Se poi volessimo fare i conti, o tirare le somme, scopriremmo che Kravos ha pubblicato qualcosa come ventisei libri di poesia, e quindici libri per l’infanzia, per cui questo Quattro Venti, pubblicato dal benemerito editore Multimedia di Salerno, è l’occasione di assaggiare, o dare una sbirciatina, come dice Josip Osti nell’introduzione, in una produzione ampia, quasi oceanica. Josip Osti poeta e scrittore di Sarajevo, trapiantato in Slovenia, che da qualche tempo vive stabilmente a Tomaj, sul Carso, ha scritto una bellissima introduzione al libro, che è anche una piccola antologia di quanto la critica slovena ha scritto, negli anni, sulla poesia di Kravos, oltre a testimoniare una solida amicizia che ha le sue radici negli ormai lontanissimi anni settanta. Fra i diversi giudizi critici menzionati, forse, può essere utile riportare quello di Tone Pavek, nell’introduzione della raccolta Tra terra e terra il Mediterraneo(1993), che dice, tra l’altro, che nella poesia di Kravos troviamo una “gioia vitale” e “si tratta di una gioia vitale che apprezza la vita oltre ogni altra oltre e che accetta la vita com’è”, aggiungendo poi ancora che la lirica di Kravos contiene “ raffinati sberleffi in cui a forza di autoironia, piroette e rovesciamenti il mondo viene capovolto a testa in giù”.

Scrivendo di Umberto Saba, Andrea Zanzotto, coglieva una similitudine fra l’angelo delle Elegie Duinesi di Rilke e la gallina di Saba, un abbassamento (da angelo a gallina…) che nulla toglieva al valore metafisico della seconda. Tecnica dell’abbassamento che, si potrebbe dire, sia il pane quotidiano della scrittura di Kravos, che non per questo dice delle cose più semplici o scontate. Si prenda per esempio Una patata sul cuore / Krompir na srcu, che giustappone le grandi gesta, o presunte tali, dell’umanità con l’umile ma essenziale utilità del tubero, …Nel sottosuolo, quatta quatta, cresce la patata / inodore, grigia e priva di una forma ben precisa, / sta lì a sorbirsi terra, aspettando il gran momento. / In ginocchio, l’uomo la estrae dalla terra, nel fuoco / la indora. Ed eccola croccante gustosa, / di una fragranza sublime. Una manciata di calore / Ah, patria patria, potessi chiamarti patata. //, testo scritto mentre infuriava il dibattito sulle nazionalità dell’ex jugoslavia, ma dichiarazione senza pari per un senso di appartenenza gentile, fermo, privo di ogni retorica magniloquenza, fatto di quotidianità banale, ma perciò più profondo.

Certo non mancano anche i momenti di riflessione più amari, legati al trascorrere degli anni, alle occasioni perdute al mondo che sembra sempre andare in una direzione che non è quella da noi desiderata. In Quattro Venti, il lettore italiano tra un po’ di tutto ciò, anche se, provo a fare una critica da inguaribile storicista, non vi è una data di prima pubblicazione delle liriche inserite, che appartengono, credo, vado a memoria, ad un lasso di tempo piuttosto ampio e che sarebbe stato opportuno inserire per dare al lettore una pista in più nell’inseguire il senso dei testi. Sono, naturalmente, particolari perché, al contrario. possiamo semplicemente farci trascinare dal piacere della lettura, dal gioco delle contrapposizioni, degli ossimori e dei capovolgimenti di cui è ricca questa scrittura, o sottolineare un aspetto panico evidente con l’abbondante presenza di metafore e ambientazioni naturali, alla ricerca del locus amenus, dell’isola che non c’è, e delle presenze animali, in una sorta di niccianesimo per i bimbi.

Kravos è anche uno scrittore di stile che sa variare parti e registro, avvicinarsi o allontanarsi dalla tradizione, anche letto in traduzione ce ne rendiamo conto, un esempio su tutti le Decime vaganti, che occupano l’ultima parte del volume, composizioni di dieci versi di ampia misura con andamento potenzialmente narrativo, sorta di raccontino di formazione, o messa a punto di una certa weltanschaung, di chi sa che prima o dopo anche la sua infanzia finirà e dovrà affrontare il grande mondo delle città e degli adulti, riferita probabilmente a un episodio realmente occorso al piccolo Marko Kravos che voleva raggiungere, dal natìo rione periferico di San Giovanni, il centro città, senza sapere poi come farvi ritorno, avvenimento raccontato anche in prosa e disponibile anche in traduzione italiana.

Come dice il titolo, nelle poco più di cento pagine del libro troviamo quattro sezioni: Nel ventre del vento, Nel vento dell’Eros, Controvento, Decime vaganti, che offrono, come abbiamo detto, un assaggio delle tematiche più frequentate da Kravos nella sua scrittura. Il lettore allora avvertito anche da Juan Octavio Prenz, e da Elvio Guagnini, nel risvolto di copertina, non sarà stupito di trovare come prima lirica della raccolta Tempo di poesia / Vreme za pesem, che nella terzina finale dice “…Non mi illudo, mettendo questi segni sulla carta, / come lepre che lascia pavide tracce sulla neve: / l’autunno non è poesia, e la poesia è solo uno scongiuro.//”

Ai tanti che hanno visto e vedono nello scrivere poesia qualcosa di messianico, l’atto che ci salva dalla mediocrità del mondo, contrapporrei, banalmente, questi versi, che danno una dimensione non solo dello scrivere, ma anche del nostro vivere, versi che forse, forse non sarebbero dispiaciuti nemmeno a Leopardi.