Addio a Ciril Zlobec

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di Roberto Dedenaro

 

Ciril Zlobec era nato nel 1925 a Ponikve, vicino ad Auber, là dove il Carso sembra lentamente arrendersi e diradare le sue petraie prima del fertile Vipacco. La sua vita è stata incredibilmente ricca, di cose positive, di soddisfazioni, di incontri, di eventi e di grandi dolori. Come altri scrittori sloveni, che in qualche modo sarebbe giusto dire triestini, ha dovuto aspettare un bel po’ prima di ottenere un riconoscimento del suo lavoro nella città di Saba, anche se il caso di Zlobec, come testimonia il libro Lontananze vicine, Incontri e amicizie italiane di un poeta sloveno, è davvero singolare: si può dire che, a partire dal Friuli, fino alla Sicilia l’Italia sia stata per lui una sorta di seconda patria letteraria. Zlobec, come ha avuto modo di raccontare varie volte, era stato espulso dal seminario di Capodistria durante gli studi perché era stato scoperto a scrivere in sloveno, anzi a compilare una rivista autoprodotta, in lingua slovena. Erano gli anni del fascismo, lo sloveno una lingua proibita, e aveva dunque buone ragioni per disprezzare e rifiutare l’Italia, ma non l’ha mai fatto. Mi disse durante un’intervista che gli feci nel 2012:«C’è stato un momento in cui ho identificato l’Italia e tutto quello che era italiano con il fascismo, ma quando ho scoperto dentro di me un’attitudine alla poesia e una possibilità di identificazione personale attraverso la poesia, ho capito che lingua e letteratura e politica, come attività pratica, andavano giudicate separatamente. Odiavo sempre il fascismo, ma non l’ho più identificato né con la lingua né con un popolo. Ho scoperto che c’erano persone che mi piacevano e altri che non mi andavano a genio sia fra gli italiani che fra gli sloveni».

Anzi, aver studiato la letteratura italiana, Dante, Petrarca, Tasso, Ariosto, gli fornì un orizzonte ideale e concreto al tempo stesso, un traguardo da raggiungere personalmente, come autore e più generalmente per la letteratura slovena nel suo insieme. Ancora: dopo esser stato espulso con effetto immediato dal Seminario di Capodistria, dopo la scoperta dei suoi scritti nella sua madrelingua, all’indomani della caduta del fascismo gli fu offerta la riammissione al prezzo di scusarsi davanti a tutti gli altri studenti. Slobec, che allora si trovava al confino, rispose: “Come posso scusarmi se non ho nulla di cui scusarmi?”

L’insieme del suo lavoro di traduzione e dei suoi contatti con autori italiani è davvero impressionante, sue sono traduzioni in sloveno di: Dante, Leopardi, Carducci, Ungaretti, Montale, Quasimodo, Spagnoletti, fra i poeti e Sascia Moravia e Tomasi di Lampedusa fra i prosatori; un lavoro fondamentale che ha reso disponibile una parte importante della letteratura italiana di tutti tempi al lettore sloveno. In italiano sono state tradotte cinque sue raccolte di poesia di attuale difficile reperibilità, sarebbe dunque molto opportuna una nuova edizione italiana delle sue poesie. Ciril Zlobec ha scritto molto in un genere difficile e complesso, spesso banalizzato, quello della poesia d’amore, che è, scrisse Elvio Guagnini recensendo Ljubezen/Amore del 2004, un modo certamente per riflettere sull’amore come atto d’incontro fisico ma anche come realizzazione dell’illusione d’eternità, ma anche come lente per esplorare quel groviglio di desiderio, aspirazioni, contraddizioni, volontà, tensione, annullamento che è l’uomo. Quella di Zlobec non è una poesia sentimentale, ma una poesia dei e sui sentimenti: tanti, tutti.

Ciril Slobec era nato in una famiglia contadina di Ponikve, settimo e ultimo figlio, forse per queste sue origini la letteratura non era per lui disgiunta da un aspetto reale, concreto del fare, un oggetto transizionale per dialogare con gli altri uomini, per incontrarsi e conoscersi. Per questo non capiva come si potesse parlare di crisi della letteratura, se non come crisi dell’uomo, della civiltà umana nel suo complesso. Si definiva un poeta partigiano, perché aveva combattuto in nome di quel mondo migliore che credeva trovasse nell’espressione letteraria la sua più alta definizione, aveva avuto importanti incarichi politici nella Jugoslavia e nella Slovenia, era per quel poco che ho potuto conoscerlo una persona molto gentile ma ferma nelle sue opinioni, preoccupata per l’evoluzione politica del suo paese e dell’Europa, l’Italia gli ha conferito diversi premi ed onorificenze ma credo sia ancora in debito verso di lui. In fondo ci ha insegnato come sia giusto credere negli uomini nonostante tutto e quanto sia importante quella bizzarra cosa che chiamiamo letteratura, due cose non da poco davvero.