CHE PIÙ AZZURRO NON SI PUÒ

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di Luisella Pacco

Tesoro, bimba, cucciola, è venuto il momento di parlare chiaro.

Io non ti amo.

Te lo dico qui, nero su bianco, senza trucco e senza inganno, in modo tale che tu possa definitivamente comprendere il concetto, elaborarlo come si elabora un lutto, e andare avanti, oltre, oltre…

Dove non mi interessa, purché sia oltre me.

Ci sono uomini che sono adatti per l’amore, le responsabilità, la coppia, la convivenza, la paternità persino.

E ce ne sono altri che non lo saranno mai. Sono uomini che anche a quaranta o cinquant’anni non sono ancora pronti per una storia seria e, affinché questo sia chiaro, mantengono una distanza premeditata, incolmabile.

Io sono tra questi.

È come avere i capelli neri o biondi, una statura alta o bassa. Si nasce così, credo, è genetico.

Per dirla in modo gentile, da me non avrai mai ciò che desideri.

Per dirla da macellaio, qui non c’è trippa per gatti.

Per dirla da geometra, ciò che nasce tondo non può morire quadrato.

Insomma, hai capito?

Non condannarmi, non deridermi, non sparlare di me con le amiche al corso di zumba, non dire che ti ho fatta soffrire, che sono stato incoerente bastardo sfuggente contraddittorio.

Se bene ci rifletti, siete voi donne, le infingarde. False, scusa se te lo dico, false come vipere nascoste sotto il sasso!

Perché quando conoscete un uomo, lo vedete bene ciò che lui è o non è. Il donnaiolo irrequieto ce l’ha scritto in faccia, il brav’uomo affidabile pure. I comportamenti e le avvisaglie sono chiarissimi.

Dunque perché vi accanite sull’esemplare palesemente sbagliato?

Per dire, ricordi quando ti ho invitata per la prima volta a salire a casa mia? (passa da me, beviamo qualcosa velocemente, poi andiamo al cinema?). Mi sono fatto trovare in mutande.

Mi sono scusato dicendoti che ero in ritardo, ritardissimo, sono uscito ora dalla doccia, corro a vestirmi!…

Ebbene, non era vero: ti stavo aspettando da venticinque minuti, cominciavo pure ad avere freddo.

Quel che volevo era comunicarti subliminalmente – facendoti ammirare il mio non trascurabile aspetto fisico, lasciando semiaperta la porta della camera, facendoti scorgere talamo poltroncine e abat-jour – che la nascente relazione doveva essere una storia di letto e nulla più.

Ho temuto che tu non fossi tanto sveglia da afferrarlo, quando dal salotto mi hai detto “Vèstiti pure con calma, io intanto sbircio i tuoi libri!”

I libri? Li ho comprati a metro, bambina, servono all’arredo.

Tu credi davvero che un uomo serio, ben disposto affettivamente verso di te, si farebbe trovare quasi nudo alla prima visita che gli fai?

Ho fatto ogni cosa per farti capire ciò che sono: in questo ho la coscienza tranquilla.

Sì, ho avuto per te qualche saltuario pensiero, ti ho preso i fiori, ti ho portata a cena, ti ho regalato un orologino.

Ma per il resto del tempo, io non ricordavo neanche il tuo nome…

Non ho mai parlato d’amore, nemmeno nei momenti più intimi, non ti ho mai detto che ti voglio bene o che ci tengo a te. Nulla! Sono stato di un’onestà cristallina.

E se ti avessi amata, ti avrei amata davvero, non come amano le donne, subdole e doppiogiochiste.

Diciamo la verità. Gli uomini sono più limpidi. Se si innamorano (succede di rado, ma succede) si innamorano davvero della persona che hanno di fronte, ed anzi, auspicherebbero che non cambiasse mai.

Le donne invece si infatuano di un ideale che hanno immaginato e costruito con certosina pazienza dall’infanzia in su, e appena trovano un individuo qualsiasi che fisicamente le attragga, subito si convincono che in quell’involucro debba esserci il principe azzurro che più azzurro non si può.

Non vedono più la realtà, non entrano in vera comunicazione col soggetto da conoscere. Diventano ingenue, cieche, egoiste, intriganti e bugiarde.

Ti amo così come sei, dicono. Ah!

La spudorata verità (ve la leggo negli occhi, tra rimmel e matita) è:

Caro, tempo un mese e ti rovescio come un calzino sporco.

Il girovago metta radici, il capellone si tagli i capelli, l’artista diventi ragioniere, il ragioniere artista, il tirchio diventi generoso, ma il generoso sia più oculato, l’uomo duro si mostri dolce, ma quello dolce tiri fuori le palle, il pallido si abbronzi, l’abbronzato ridiventi pallido, il moscio vada in palestra, ma il palestrato la smetta, il tifoso di calcio legga testi di filosofia, ma l’intellettuale non sia troppo noioso, il barbone diventi ricco, ma il ricco sappia esser povero perché

A me non interessa quello che hai…

(sospiro, sbattimento palpebrale, lacrima)

… mi interessa solo di essere amata veramente!

E questa è la menzogna più grossa di tutte. Perché a voi non piace essere amate. Vi piace amare, amare, amare, possibilmente uno che non vi ami, non vi consideri e non vi veda. Vi piace corrergli dietro con cocciuta appassionata inutile infantile ostinazione.

Avete qualcosa dentro che vi spinge alla rovina, alla missione impossibile, alla conquista della vetta inesplorata a costo del crollo psichico e della morte. Siete così votate alla devastazione emotiva da scambiarla per orgasmo.

Accecate dal tormento che tanto vi eccita, non vi accorgete nemmeno delle oggettive occasioni di serenità che vi passano davanti.

Un corteggiatore sincero vi dimostra un puro sentimento? Lo guarderete come si guarda il guano di piccione sul cofano della macchina. Perché non c’è niente di più ributtante e fastidioso di uno spasimante affidabile e buono, se in giro ce n’è uno distratto e cattivo.

Uno che vi accarezza una sola volta e poi non vi tocca più; uno che mentre vi abbraccia guarda sempre lontano, sopra i vostri capelli, come se in quella lontananza ci fosse qualcosa che lo distrae permanentemente; uno che scrive un messaggio e poi basta; uno che dice che vi chiamerà e poi non vi chiama.

Noi (dico gli uomini come me, quelli inafferrabili) sappiamo come fare.

Ci sono avverbi che andrebbero venduti nelle armerie per il male che fanno, e noi li usiamo in modo sapiente, serrato, quasi compulsivo. Dopo e forse sono quelli dalla lama più tagliente.

… ora non so dirti, ci sentiamo dopo, ti chiamo dopo, ti faccio sapere dopo, forse dopo, vediamo dopo, ci aggiorniamo dopo…

Non è per malvagità o per scortesia. È che davvero non so regolarmi, non conosco i miei tempi, non posso prevedere l’evolversi della mia giornata/serata/notte/alba… Io, vivo sull’onda.

Con tutta la più buona volontà (che peraltro non ho), come potrei dirti a che ora vengo a prenderti? Come potrei decidere una gita con te oggi per domani? Queste sono ipoteche sul futuro, mi danno ansia!

Metti che il lavoro vada per le lunghe perché la segretaria non è abbastanza abile nelle sue mansioni? Metti che in palestra io debba chiacchierare oltre l’orario con la mia very personal trainer? Metti che arrivi in città il mio amico Gigi, noto puttaniere brianzolo, che ha bisogno di una spalla con cui condividere gli affanni della vita? Metti che alle nove del mattino gli amici del circolo della vela mi propongano una regata di dodici giorni e alle nove e un quarto io sia già pronto alla partenza?

Non posso certo dire di no, è anche questione di public relations che possono rivelarsi utili negli affari.

Insomma, non ne ho colpa, è la mia vita che è fatta così.

Capisci dunque, che il pensiero di te brava ragazza dal cuore palpitante che mi aspetti fuori dal portone alla tal ora, tutta pronta e bellina, con la borsetta, la sciarpina e il tacco, e un sorriso da emiparesi facciale che solo le petulanti donne innamorate riescono ad avere, ecco… questo pensiero mi irrita, molto. Va da sé che per difendermi devo restare sul vago.

… non lo so, ti faccio sapere dopo, forse ci sarò, forse non ci sarò, dipende…

Sono frasi crudeli, certo, perché mettono le donne – un certo tipo di donne – in uno stato di attesa: non più persone libere con amici impegni ed interessi, ma elettrodomestici in stand-by.

Me l’hai spiegato tu stessa, una volta, con uno sguardo disarmante e languido che mi ha atterrito: “Se tu mi dici Forse ci vediamo dopo, io ci spero, e ti aspetto, e rinuncio ad ogni altra cosa”.

Ecco, forse in quel momento mi sei davvero scivolata sotto le scarpe. Se poteva esserci un’attrazione, una stima, in quel momento è svaporata.

Perché vedi – te lo dico con franchezza, con amicizia – tu non devi stare in attesa di nessuno, men che meno di uno come me.

Il tempo è tuo, la vita è tua, e ogni giorno perso ad aspettare è un giorno che non tornerà mai più.