Aforismi, o forse altro

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In un libro pensieri e riflessioni estratti dalla comunicazione affidata alle reti sociali da Cristina Bonadei

di Fulvio Senardi

 

Vede la luce la raccolta di riflessioni e aforismi di Cristina Bonadei (Portolano. Breviario di parole naviganti), accompagnata da un prestigioso viatico a doppia firma: per Claudio Magris un «libro fluttuante e rigoroso come uno spartito», per Moni Ovadia «manuale di pensieri, aforismi e di parole sempre azzeccate per navigare sans-gêne lungo le coste e gli anfratti della vita e per addentrarsi nelle asperità del proprio tempo».

Da parte sua, spiega Bonadei, accennando al ruolo maieutico ricoperto per questo libro da Facebook, il palcoscenico globale: «lo sguardo sul particolare diventa l’occasione per farsi generale. Dei messaggi in bottiglia»; aggiungendo: «nessuna velleità aforistica, piuttosto un alternarsi di registri narrativi che passano dalla levità al disincanto, perché l’esistenza abita dimore diverse». Lasciando perdere ogni puntiglio nominalistico (non sarebbero aforismi eppure l’autrice li definisce tali in uno dei ‘pensieri’), è giusto andare al sodo di una testualità che parrebbe, per eccellenza, caratterizzare la tradizione triestina (o giuliana), nella quale, come ha ben mostrato Gino Ruozzi, forse il maggiore tra gli esperti italiani in materia, si infittiscono i campioni dell’espressività breve lungo la recente esperienza letteraria di una città che, così tendenziosamente Slataper un secolo fa, non avrebbe tradizioni di cultura.

Per altro, iniziando a fiorire al crepuscolo del lungo Ottocento, la letteratura giuliana si sottrae fin dalla nascita al fascino delle Grandi Narrazioni, di una “metafisica” in fase di disarmo, preferendo così giocare la carta dell’esprit systématique contro l’esprit de système, per dire con Condillac e le Lumières. A-sistematicità, articolazione aperta e “rizomatica” in polemica con i campioni, anche filosofici, di una chiusa totalità, piacere del frammento per sfida ad ogni rigida coerenza razionalistica (quel “terrorismo” della ragione su cui hanno posto l’accento Adorno e Horkheimer), messa in valore di soggettività e di soggettivismo nell’assunzione consapevole del diritto alla contraddizione, prospettivismo che si fa beffe della pretesa di definire un rigido statuto etico o assiologico: scrive Bonadei ironica, «tutto un affannarsi per dare un ordine, o un circa di ordine, alla vita»! (tanto poi ti porta dove vuole).

Dunque, per ritornare al discorso generale, procedimenti intellettuali, secondo Habermas, caratteristici della Modernità, che riconfigurano le pratiche di scrittura, nel solco di maestri come Nietszche, il grande ispiratore del capolavoro dell’aforistica giuliana, Scorciatoie e raccontini di Umberto Saba (che finirà però per chiudersi, per cogente necessità apologetica, dentro il dogma freudiano). Difficile dire quanto Bonadei abbia fatto tesoro di questa eredità (preferisce sondare la vita, con v minuscola, come esperienza di sé e del mondo, piuttosto che aggirarsi nel Museo degli autori e delle opere), resta il fatto che le annotazioni del Portolano si muovono, come in Scorciatoie, dentro un diapason che va dalla riflessione breve, di ordine etico ed esistenziale, al raccontino. Con qualche concessione, anche qui in tono con la “triestinità”, allo spirito del Witz (molto frequentato da un altro dei nostri maggiori aforisti, il torrenziale Francesco Burdin). Per altro, coerentemente con quanto si diceva (e a distanza siderale da Saba, che si sente investito di una missione di profetismo-proselitismo), Bonadei non pretende di impartire insegnamenti: la porrebbe in quella posizione “magistrale”, nella sussiegosa distanza di chi si pretende più saggio, che proprio l’aforistica, nel suo gusto per l’understatement, intende contestare (che poi, dietro, ci sia in molti casi, il piacere di spiazzare e confondere con mobilissimi giochi di prestigio fra ragione e senso comune per averla sempre vita, è tutto un altro discorso). E in effetti Portolano sembra rivelare una finalità che è, in ultima analisi, auto-riflessiva, una sorta di ecologia del pensiero che ambisce riverberare in una prassi sociale, con minime verità a breve scadenza, i porti appunto di un indefesso navigare del sentimento e del pensiero, luoghi sicuri ma non per questo garantiti dalle insidie delle mareggiate o dal rischio del colpo di vento.

Qualche certezza, magari in negativo? Poca fiducia nel miglioramento dell’umanità nella sua sostanza collettiva (o meglio: consapevolezza che all’eden dei gesti generosi e dei pensieri buoni si giunge faticosamente, ed uno per volta), un fatalismo discreto e non sistematizzato in un filosofico amor fati, raddolcito dalla gioia delle piccole cose, dall’onestà con se stessi e dalla disponibilità verso l’Altro («la scoperta improvvisa di sé nel dettaglio dell’altro», che fa pensare – Bonadei proviene da studi filosofici – a Levinas, in una costellazione dove il “principio speranza” (parola topica, quest’ultima, del Portolano) alimenta un progetto di condivisione e comunità (ma vissuto soprattutto nella distanza autoprotettiva dei social). Un ritratto di sé che sfiorerebbe l’idealizzazione, anche per i suoi risvolti auto-asseverativi, se non ci fosse l’utile correttivo dell’ironia, e dove è assente quel gelido soffio di pessimismo cosmico così caratteristico di molti aforisti (non penso solo al disperato Leopardi ma anche allo scherzoso Burdin: «i pessimisti sono soltanto degli ottimisti meglio informati») come pure la zampata sarcastica dei misantropi.

In realtà quanto detto semplifica la natura complessa del Portolano (ma è compito di chi vorrà leggerlo ricavarvi i propri percorsi); colpisce innanzitutto un’esigenza di armonia formale: 10 sezioni, con simmetria di titolo e illustrazione, tendenzialmente equilibrate per numero di pagine, quasi a correggere verso l’Estetico quella tentazione di sregolatezza irriverente, di frammentarietà esplosa e insofferente di ogni disciplina che sembra intrinseca all’essenza stessa dell’aforisma. Inoltre, più intrigante ancora, come a dispetto di chi volesse ridurre ad unum il messaggio del libro, la pluralità dei suoi orizzonti di senso. A rischio di togliere al lettore il piacere della decifrazione, vorrei richiamare l’attenzione sulle fotografie, opera dell’autrice o da lei scelte: 10 immagini, nelle quale l’elemento acquoreo, mare o lago che sia, è spesso presente (6 occorrenze) come pure è presente, quasi a contrastare, o contenere, la forma fluttuante e sempre effimera dell’acqua, l’immagine del muro, della parete, della balaustra, della lastra di vetro che pare quasi imprigionare il manichino (la più inquietante, e la più semiologicamente densa delle fotografie). Apertura e chiusura, come le sistole e le diastole di una tensione verso l’Altro che si misura con l’autarkeia di chi orgogliosamente dichiara di bastare a se stessa; in fondo una cifra di quella comunità nel distanziamento che caratterizza i social, in apparenza prodighi moltiplicatori di incontri, in realtà meccanismi che imprigionano il soggetto all’interno di bolle monadiche, sia pure in un cosmo reticolare. Certo, qualcuno osserverà che le fotografie inseguono semplicemente il miraggio di spensieratezza di una stagione al mare (non siamo sulle sponde dell’Adriatico?), o che la scelta dell’immagine è dettata da una consequenzialità di soggetto (Implosione, cui rimanda il manichino prigioniero). Vero; ma non si deve pensare che esistano messaggi “innocenti”, un’illusione che ha sfatato Barthes a livello di decodificazione e l’intera tradizione psicanalitica, la grande “scuola del sospetto” del Novecento, in relazione alle cause seminali. E che dire dei pensieri evidenziati tipograficamente?: uno o due per capitolo, tre nel penultimo, nessuno nell’ultimo, quasi a seminare delle pietruzze di Pollicino, che aprono la strada verso nuovi significati. Mi fermo qui. Il compito di una recensione è, in parte, spiegare, ma soprattutto incuriosire. Buona lettura dunque.

 

 

Cristina Bonadei

Portolano. Breviario

di parole naviganti

Circolo Culturale

Menocchio,

Montereale Valcellina, 2021

  1. 110, euro 10,00