Alinari, punto e a capo

| | |

Tra Trieste e Firenze storie di archivi fotografici e di iniziative culturali rapidamente sfiorite

di Roberto Curci

 

“Ahimè, AIM! Tre anni di invisibilità”. S’intitolava così un articolino apparso sul numero 46 del Ponte rosso (giugno 2019). Vi si recitava il De Profundis per un’iniziativa culturale nata con grandi ambizioni ma vissuta per l’appunto tre anni appena, dal 2016 al ’19: l’Alinari Image Museum, allestito al Bastione Fiorito del Castello di San Giusto. Non era bastato il vasto spiegamento multimediale voluto dal vulcanico patron di Alinari, Claudio de Polo, non erano bastate le importanti mostre allestite in quel triennio (Capa, Sellerio, Migliori, Quilici, Frullani) a far decollare un generoso progetto che la troppo piccina Trieste forse non si meritava e che di sicuro il Comune non aveva adeguatamente supportato.

D’altronde nel 2019 era l’esistenza stessa della storica Fratelli Alinari a esser messa in discussione, all’apice di una crisi iniziata nel 2012 quando il Gruppo Sole 24 Ore aveva deciso di por fine alla joint venture avviata un quinquennio prima con de Polo (55 % dell’azionariato per il Sole, 45 % all’Alinari) per valorizzare economicamente l’immenso archivio. Un progetto rivelatosi ben poco produttivo, per cui già nel ’12 lo storico negozio fiorentino di Largo Alinari aveva iniziato a svendere col 50 per cento di sconto i propri materiali: libri, cataloghi, stampe, collotipie. E peggio sarebbe andata negli anni seguenti, sia per la ditta nata a metà dell’Ottocento, sia per il Museo Alinari della fotografia, affacciato su piazza Santa Maria Novella.

Nel 2019, quando ormai si era dovuto alienare perfino lo storico edificio-base di Largo Alinari, il rischio di uno smembramento e quindi di una dispersione dell’archivio (oltre cinque milioni di pezzi tra fotografie, documenti, libri specializzati, attrezzature tecniche) era una drammatica ma concretissima realtà. Non si fossero mosse urgentemente le pubbliche istituzioni, sarebbero stati cancellati 120 anni di storia, l’intera vicenda iniziata per la lungimiranza di Leopoldo, Giuseppe e Romualdo Alinari, e transitata nell’arco del Novecento attraverso le private gestioni di un gruppo toscano capeggiato dal barone Ricasoli, e poi del senatore Vittorio Cini, della famiglia Zevi, fino alla svolta del 1982 con l’acquisizione da parte del triestino de Polo, che non solo provvide alla digitalizzazione dei materiali esistenti, ma anche all’acquisizione di nuovi fondi fotografici, in Italia e all’estero. Tra questi, gli archivi dei Pozzar e dei Wulz, trasferiti da Trieste a Firenze.

A dispetto di ogni possibile intoppo burocratico, c’è voluto il provvidenziale intervento-blitz della Regione Toscana per salvare l’Alinari, acquisita già nel dicembre 2019 e fatta confluire nel luglio 2020 nella Fondazione Alinari per la Fotografia, con adeguata sede nella bella Villa Fabbricotti (presidente lo scrittore Giorgio van Straten, direttrice Claudia Baroncini). Finalità principale della FAF, a norma di statuto, quella di “promuovere una diffusa cultura della fotografia, a partire dal patrimonio Alinari, preservandone l’autentico valore storico-culturale, la sua integrità fisica e garantendone le migliori condizioni di conoscenza e accessibilità”. Sicché, dopo il Museo targato de Polo, ecco nascere un Museo targato FAF, con in più “attività di educazione e di formazione, di studio, di ricerca e di restauro”.

Premesse e promesse che troppo spesso rimangono nel vago, ma non nel nostro caso, dato che proprio in questi mesi (dal 18 giugno al 2 ottobre) nella doppia sede di Villa Bardini e del Forte Belvedere è visitabile una rassegna intitolata “Fotografe! Dagli Archivi Alinari a oggi”, promossa dalla giovane Fondazione assieme alla Fondazione Cassa di Risparmio e al Comune di Firenze.

In mostra opere originali di grandi fotografe in dialogo con dieci giovani autrici italiane: tra le prime i nomi illustri di Julia Margaret Cameron, Dorothea Lange, Margaret Bourke-White, Lisetta Carmi, Diane Arbus, Bettina Rheims. Si aggiungono due sezioni speciali: la prima è dedicata a Edith Arnoldi (Vienna 1884 – Roma 1978), nota soprattutto come scrittrice e artista di area futurista con lo pseudonimo di Rosa Rosà.

Ma è la seconda che a noi importa di più, dal momento che dal Fondo Wulz custodito negli Archivi Alinari recupera e gratifica i  ritratti con stampa alla gelatina-sale d’argento di Wanda e Marion, le due straordinarie sorelle fotografe per decenni operose nello studio di Palazzo Hierschel de Minerbi. Per molti ignari sarà una bella scoperta, per noi – che ancora ricordiamo la mostra “La Trieste dei Wulz. Volti una storia   1860-1980” (1989, Palazzo Costanzi) – una campanilistica soddisfazione.

 

 

 

PER SAPERNE DI Più

Il Ponte rosso si è occupato a più riprese dell’Alinari Image Museum sia, ovviamente, per segnalarne le esposizioni, che per cercare di dar conto della vicenda legata alla sua lunga gestazione e alla sua rapida uscita di scena. Oltre all’articolo citato all’inizio, nel n. 46 del giugno 2019, rintracciabile al link https://www.ilponterosso.eu/2019/07/03/ahime-aim-tre-anni-di-invisibilita/ sono da segnalare un articolo dell’aprile 2017 sul n. 23 https://www.ilponterosso.eu/2017/04/25/immagini-da-trieste-e-dal-friuli/ e ancora, nel n. 26 del luglio/agosto del medesimo anno, una lunga intervista a Claudio de Polo, creatore e liquidatore dell’esperienza triestina di Alinari: https://www.ilponterosso.eu/2017/09/04/luomo-delle-immagini/

 

 

Nella foto:

Sala dell’AIM di Trieste