Anime nere

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La vicenda di due donne, macchiatesi di collaborazionismo nella Roma occupata dai nazisti

di Gabriella Ziani

 

Il tema dei “delatori” attivi nei sanguinosi anni della seconda guerra mondiale costituisce una memoria perturbante. Sul triste fenomeno resta fondamentale la ricerca di Mimmo Franzinelli, Delatori. Spie e confidenti anonimi: l’arma segreta del regime fascista (Mondadori, 2001), ma ci sono anche indagini specifiche, grandangoli inquietanti. L’ultima è Anime nere. Due donne e due destini nella Roma nazista, a firma di Anna Foa e Lucetta Scaraffia, che indagano le vicende della romana Celeste Di Porto (già nota alla storia) e della tedesca Elena Hoehn che s’intrecciarono nei bui momenti dell’occupazione nazista.

Celeste, soprannominata “Pantera nera”, nata nel 1925 nel Ghetto romano, figlia di un venditore ambulante che morirà ad Auschwitz (ma non per colpa della ragazza), nel 1947 fu condannata dalla Corte d’assise di Roma a 12 anni di prigione per aver denunciato alle bande fasciste che operavano con la Gestapo suoi correligionari ebrei, e per averlo fatto «a scopo di lucro» (crimine non coperto dall’amnistia) nei giorni dei rastrellamenti seguiti all’attentato di via Rasella, che il 24 marzo 1944 portarono a morire alle Fosse Ardeatine 335 civili, militari, prigionieri politici e comuni, ed ebrei.

Popolare nel Ghetto dove la chiamavano “stella” per la sua bellezza, a un certo punto era andata come cameriera in una trattoria frequentata dalle bande fasciste dei Cialli-Mezzaroma, di cui faceva parte tale Vincenzo Antonelli, e di lui divenne l’amante dopo una cocente delusione amorosa: il suo legame con un giovane ebreo era stato impedito dalla benestante famiglia di lui, che la considerava povera e di facili costumi. Certo la ragazza matura un forte risentimento verso la parte socialmente “alta” della propria comunità, che la bandisce. Antonelli invece le propone di far soldi. Denunciando gli ebrei (5000 lire un uomo, 3000 una donna, 2000 un bambino). E lo fa, quando i tedeschi, su ordine di Kappler, comandante della Gestapo a Roma, “rastrellano” per trovare il numero proporzionato di persone da trucidare come rappresaglia all’attentato di via Rasella: i vicini la vedono indicare a dito persone e case, entrare in abitazioni e negozi per razziare i beni, salire sul camion che porta i dannati a morte, il pugile Lazzaro Anticoli lascerà un graffito sui muri di Regina Coeli: sono qui  a causa di «quella venduta di Celeste – vendicatemi».

Dopo la liberazione la sua casa è assaltata da gente inferocita, la Di Porto è arrestata, fa due mesi di carcere, poi cerca riparo a Napoli, si nasconde in un bordello ma è riconosciuta da alcuni clienti, denunciata, e ri-arrestata. Il processo, nel 1947, suscita grandissimo clamore. Ma Celeste sconterà solo tre anni, due preventivi a Roma, e uno a Perugia, dove il 12 marzo 1948 già le si aprono le porte, mentre a ruota il 21 marzo dopo una rapida conversione riceverà – dalle mani del vescovo – battesimo e cresima nella basilica di Assisi. Lo stesso vescovo le consiglierà di riparare a Trento, dove è attiva Chiara Lubich, la terziaria francescana fondatrice del movimento laico dei “focolarini”. Celeste, la cui originaria bellezza è sfumata mentre si “imbestialiva” con arroganza nel negare in aula i propri delitti, per i quali c’erano numerose prove e testimonianze, vi resterà per poco. Tornerà a Roma, nel 1951 sposerà un uomo semplice, di lei si perderà ogni eco, morirà nel 1981.

A lei, con toni sorprendenti quando non si voglia capire a fondo lo stato d’animo complesso del poeta, Umberto Saba dedicò una delle sue Scorciatoie, la n. 131, intitolata proprio Pantera nera, in cui ricorda sia la lettura di un opuscolo trovato per caso in cui senza sconti era rievocata la vicenda della ragazza, sia una canzonetta in voga nel Ghetto romano, dedicata a «Stella del Porto», che ne ha «fatti piangere tanti», e a cui è indirizzata «una serenata / finché Stella del Porto viene ammazzata». «Materia greggia – scrive Saba – per una o due terzine dell’Inferno di DANTE. Del resto, senza una goccia di superstite amore, non si fa nessuna poesia, nemmeno una canzonetta popolare di odio. E odio, amore, sangue – nella vita e nella poesia – si mescolano più che non si creda. Specialmente in epoche, come la nostra, turbate». Un disincanto che induce a trattenere il giudizio, senza condannare e senza assolvere.

Ma la ricerca delle autrici si concentra piuttosto sull’altra storia, quella assai meno nota di Elena Hoehn, la donna tedesca che aveva aiutato Celeste, facendola convertire, accompagnandola a Trento, accreditandola come religiosissima. Le due si erano incontrate in carcere, arrestate entrambe come collaborazioniste. Nata in Slesia nel 1901 e morta centenaria ad Assisi, secondo Foa e Scaraffia Elena non era la benefattrice generosa e cristiana devota che in seguito volle sembrare, ma altrettanto era stata una delatrice al servizio dei tedeschi suoi compatrioti, responsabile diretta della morte alle Fosse Ardeatine di tre carabinieri d’alto grado attivi nella Resistenza, arrestati nella sua stessa casa dalle SS il 25 gennaio del 1944. Uno di questi era Giovanni Frignani, che aveva organizzato ed eseguito l’arresto di Mussolini per ordine del re il 25 luglio del ’43.

Nel settembre di quello stesso anno la Hoehn offrì a Frignani – e vedremo perché lo conoscesse così bene – un nascondiglio in casa propria, convincendo il marito a correre il rischio. Denunciata all’indomani della liberazione di Roma dai vertici dei Carabinieri e della Marina come «delatrice accertata» per cognizione dei rispettivi servizi segreti, andò a processo nel 1946, ma dopo una lunghissima serie di interrogatori e testimonianze fu assolta, anche se giudicata di scarsa moralità. Si ricostruirà un’immagine, per aver fatto convertire la Di Porto, frequenterà ambienti del Vaticano, favorirà un politico e intellettuale cattolico antifascista aiutandolo a fondare un suo giornale (finanziato dal marito), e si aggancerà in maniera attiva ed enfatica alla focolarina Lubich, che la porterà in palma di mano e ad esempio.

L’esito di questa seconda vita di Elena Hoehn è raccontato nella biografia – che le autrici giudicano monca e agiografica – scritta da Armando Droghetti per le Edizioni San Paolo nel 2012. Droghetti (Loreto, 1939), un funzionario del ministero delle Finanze diventato egli pure focolarino, ha esaminato l’archivio e intervistato la protagonista, e con l’aiuto di più esperti ha costruito un’immagine alta ed eccellente di questa donna pirandellianamente ambigua, senza mai citare – avvertono le autrici che definiscono il biografo «ingenuo» – il suo passato turbolento: per le due storiche la donna era al contrario un’arrivista dalle potenti capacità manipolatorie.

Trasferitasi giovane in Italia per studio con una sorella altrettanto filotedesca e compromessa, Elena Hoehn aveva sposato – solo con rito civile – un commerciante di origine avellinese, Luigi Alvino, che piantò poco tempo dopo. Mentre cercava un lavoro, incontrò il ravennate Giuseppe Frignani, fascista della prima ora e collaboratore di Mussolini, deputato, sottosegretario alle Finanze e dal 1927 direttore del Banco di Napoli. Ne divenne l’amante ufficiale per dieci anni, ben introducendosi nell’ambiente economico e politico. Già allora avrebbe tentato una conversione dal luteranesimo al cattolicesimo, si dice per ottenere il matrimonio religioso con quest’uomo che invece a un certo punto sposerà la donna da cui in precedenza aveva avuto due figli. Elena rientrò allora a Roma dal marito, che la riaccolse e mai fece cenno alla vicenda: conduceva affari, anche con i tedeschi.

È perciò che, nel momento del pericolo, i Frignani si rivolgono a lei per mettere in salvo Giovanni, il fratello di Giuseppe, nonostante vi fossero in campo più proficui agganci col Vaticano. Nella casa degli Alvino, non distante da Villa Torlonia, Frignani porta con sé il carteggio Mussolini-Petacci salvato da un nascondiglio poco sicuro, e i due passano le ore a trascriverlo, mentre altri alti gradi dei Carabinieri attivi nella Resistenza frequentano l’appartamento: le autrici sottolineano che Elena viene così a sapere tutto quanto della rete clandestina.

Quando le SS bussano alla porta, in casa ci sono anche gli ufficiali Raffaele Aversa e Ugo De Carolis. Elena apre senza prudenza, si intrattiene con i nazisti, chiama la moglie di Frignani, ne rivela il falso nome e pure la residenza segreta: si dice convinta, come tedesca, di poter ottenere favori speciali. Una tattica ingenua o un bluff? Gli ufficiali, presi come in una retata, e la stessa Elena, vengono portati in via Tasso, sede della Gestapo. Lei verrà quasi subito rilasciata. Frignani subisce torture, e muore, con gli altri due, alle Fosse Ardeatine.

In casa degli Alvino si svolgeranno in seguito feste in compagnia di tedeschi, e un mistero resta il caso dei soldi: la Hoehn sosteneva di aver subito il furto di due milioni, che sarebbero stati il “benservito” del suo ex amante. Poi ribalterà il discorso: i soldi non c’erano, ma ne aveva parlato bensì al marito, mentendogli. Si aggira nell’inchiesta di Foa e Scaraffia il dubbio che fossero denari guadagnati con le delazioni, ma prove non ce n’è.

È nelle fasi di istruttoria prima del processo che Elena conosce Celeste, nel carcere romano delle Mantellate gestito da suore, che favoriscono l’incontro. Quelle stesse che alla Di Porto, secondo il suo memoriale (dettato alla Hoehn che lo dattilografa, come scritto in premessa al testo), avrebbero assicurato che Pietro Koch, il seviziatore al servizio delle SS, fucilato il 5 aprile 1945 al Forte Bravetta, era morto con coraggio e si era meritato «il Paradiso». Potevano delle suore sostenere questa tesi? A guardarla da un lato, Elena si prende assai cura di Celeste. A guardarla dall’altro, la fagocita per i propri scopi.

Resta da dire che questa ricostruzione, basata su fonti archivistiche, atti processuali, e perfino indagini grafologiche, è senza dubbio importante per i fatti, i misteri e le ambiguità in cui si addentra, ma lo stile teso e fin troppo appassionato le toglie un bel po’ di respiro. Inoltre molte foto delle protagoniste sono ben descritte, ma il volume ne è del tutto privo, e soprattutto manca l’indice dei nomi, omissione curiosa in un’opera a firma di storiche che scrivono un libro di storia.

Anna Foa e Lucetta Scaraffia

Anime nere. Due donne e due

destini nella Roma nazista

Marsilio, Padova 2021

  1. 208, euro 17,00