ASSOLO E CAROL. IL CINEMA DELLE DONNE

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Confronto tra il film di Laura Morante e quello di Todd Haynes

di Gianfranco Sodomaco

 

Difficile resistere alla tentazione di mettere a confronto due film come Assolo, di Laura Morante, e Carol, di Todd Haynes. Usciti contemporaneamente agli inizi di gennaio e avendo come tema comune ‘storie di donne’. Certo, tempi e luoghi sono molto diversi: l’Italia di oggi con Laura Morante, attrice e regista, e gli Stati Uniti anni ’50 con un regista molto particolare come Todd Haynes… eppure la tentazione c’è: vediamo dove può portare.

Partiamo da Carol, piuttosto osannato dalla critica per la presenza della ormai ‘divina’ Cate Blanchett e per l’originalità della storia: una relazione lesbica in un periodo storico che o ignorava il problema o, se si presentava, lo censurava pesantemente. Credo non sia un caso se il film è tratto dal secondo romanzo di Patricia Highsmith (The price of salt, 1952), in parte autobiografico e firmato con uno pseudonimo. La Highsmith, poi, ha regalato al cinema film come L’altro uomo di Hitchcock (1951) e L’amico americano di Wim Wenders (1977). Cioè a dire che l’origine letteraria del film c’è tutta: ambienti intimi, sfondo sociale appena accennato, un gran lavoro di scavo sui personaggi. Ma c’è anche Todd Haynes, di cui è impossibile non ricordare un film come Lontano dal paradiso (1957), dove il tema della omosessualità è già presente, in questo caso maschile, così come lo stile visivamente sontuoso, l’immagine studiata e calibrata al millimetro. Veniamo alla storia. Carol è una bella donna matura dell’alta borghesia newyorchese ma infelice: sta per divorziare dal marito, uomo tipicamente aggressivo, che vuole trattenerla in nome della loro bambina. Carol oscilla fino a quando non incontra, ai grandi magazzini, Therese (Rooney Mara, migliore interpretazione femminile al Festival di Cannes)), una ragazza poco più che adolescente di cui lentamente, ma profondamente, si innamora. Therese, con lo stesso ritmo, ricambia quel sentimento perché, finalmente, si sente capita nelle sue ambizioni artistico-musicali e complice, visto che anche il suo menage sentimentale con un altro uomo aggressivo (un leitmotiv dei film di Haynes) non la soddisfa proprio. La motivazione sociale, ‘di classe’, c’è, la ricca vissuta attratta dalla semplice modestia, se vogliamo purezza, ma dura poco: poi subentra davvero un amore autentico, fino al punto dell’incontro sessuale, bello, profondo, dove il regista dà il meglio della sua sensibilità artistica. Inevitabile il momento della crisi. Carol divorzia con un compromesso dal marito (terrà lui la bambina ma lei potrà vederla in ogni momento), è una donna libera ma comprende bene che anche Therese, per i suoi anni, deve conquistarsi la sua libertà: e lei che futuro può offrirle? Dunque, per amore, si distacca. Therese comprende e accetta ma… l’amour est l’amour! Lieto fine? Si, ma non banale, il regista ha condotto il suo melò con una intensa determinazione e ha trasmesso ai suoi personaggi la stessa convinzione. Film perfetto? No, un po’ prigioniero di questa concentrazione, di questo controllo serrato sulla vicenda, qualche momento in più di leggerezza, di gioia gratuita, interna ed esterna, avrebbe dato un maggior equilibrio psicologico ed estetico alla vicenda.

Flavia (Laura Morante), protagonista di Assolo, non è divorzianda come Carol, ha già divorziato due volte e ha già due figli ‘grandi’. Arrivata ai cinquanta, autostima a livello zero, si trova davanti ad un bivio: o la depressione o la psicanalisi. Fortunatamente è una donna che non vuole mollare e sceglie la psicanalista (la splendida, ancora una volta, Piera Degli Esposti). Ci troviamo davanti alla ‘classica’ commedia all’italiana ma, fortunatamente, oltreché interpretata, diretta da un attrice sensibile e sincera come la Morante che già si è confrontata con la regia con Ciliegine (2012, girato in Francia e sceneggiato assieme al primo marito, Daniele Costantini, presente anche in Assolo). E Assolo, a ben guardare, è in qualche modo il sequel. In Ciliegine, infatti, la protagonista femminile è un po’ androfoba e preferisce accettare ‘l’amicizia’ di un uomo che lei crede omosessuale ma che invece… Insomma il tema, se volete eterno, è quello del rapporto uomo-donna ma il modo con cui la cinquantenne Flavia/Laura lo affronta e lo sviluppa è gradevole, semplice ma non semplicistico. Basterebbe la sequenza onirica con cui Assolo inizia, dove Flavia sogna la sua morte e tutti gli uomini della sua vita a seguire il feretro. E questi uomini si lamentano un po’ stupidamente di questa donna sempre indecisa, sfuggente, in realtà condizionati dall’irruenza delle nuove mogli, tanto decisionisti quanto superficiali. Certo, Flavia, in una Roma piuttosto anonima, è impacciata durante le lezioni di guida per la patente automobilistica o nel risistemare la sua abitazione, ma non cede, sa che la forza di volontà potenzialmente esiste, che deve imparare a scegliere invece di aspettare di essere scelta, che il problema sarà trovare le occasioni giuste. In questo l’analista è di grande aiuto: l’aiuta ad ‘uscire da se stessa’, a rinforzare ancora di più questa ricerca dell’Altro. Sicché Flavia inizia a frequentare la sala da ballo, a ‘tastare il terreno’ con un suo collega di lavoro, da sempre invaghito di lei (Mauro Giallini) ma alla fine stupido come gli altri. Senza speranza? No, quell’uomo con cui ha ballato e che continua a osservarla silenzioso, dopo una pausa di riflessione, lo incontrerà, per caso?, guidando finalmente la sua macchina, fuori città e, forse, quella sarà la volta buona, segnerà un nuovo inizio.

Accennavamo, per introdurre un possibile confronto tra Carol e Assolo, al lieto fine ‘autentico’, non banale, con cui il regista del primo chiudeva la storia. Ebbene, Laura Morante chiude il suo film con una immagine di speranza, non vuole andare oltre, per l’estremo realismo con cui ha raccontato la sua storia (e sicuramente memore della sua autobiografia) le pare più coerente fermarsi lì, e questo mi è piaciuto, il rispondere più a una sua personale coscienza che a scontate esigenze spettacolari. Qualcuno ha osservato che in Assolo sono rintracciabili segni di ‘morettismo’, del cinema di Nanni Moretti in qualche modo suo maestro: sono d’accordo, e questo, in definitiva, per una mia particolare affezione, mi ha fatto amare di più il film di Laura.