Per volontà della nazione

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Siamo ormai assuefatti alle fanfaluche che ci vengono propinate con ossessive ripetizioni da molti politici, che, quando siamo a sentirli, non reggono alla più elementare delle riflessioni critiche. Penso per esempio a quanti si ostinano a dire che le riforme costituzionali appena approvate dal Parlamento sono “fortemente volute dagli Italiani”. Come fanno a saperlo quelli che continuano a ripetere come un mantra martellante questa logora formuletta?

La Costituzione della Repubblica italiana sulla quale oggi si interviene, è stata votata, nel 1947, dal 92% dei membri di un’assemblea, la Costituente appunto, eletta l’anno prima con un’astensione limitata al 10,02% del corpo elettorale. La Camera che si arroga oggi il diritto di modificarla è stata eletta (senza alcuno straordinario mandato costituente) per mezzo di una legge dichiarata incostituzionale, nella quale una maggioranza del 54% degli eletti è stata votata da meno del 30% dei votanti. Considerato poi che l’astensionismo alle elezioni politiche del 2013 ha raggiunto la cifra record del 27,75%, il 54% degli eletti corrisponde in ultima analisi al 20,52% degli aventi diritto al voto.

Anche se assegnassimo quindi agli elettori che hanno espresso la maggioranza a Montecitorio la volontà di modificare la Costituzione, è da dire che i quattro quinti degli Italiani non le hanno volute, queste riforme costituzionali, né “fortemente” né “sommessamente”.

Un tanto sotto il profilo quantitativo; ove invece volessimo andare comunque in cerca delle ragioni di opportunità e coerenza politica della maggioranza “riformatrice” della Carta, dovremmo anche ricordare che circa un terzo dei parlamentari non è più iscritto, oggi, al gruppo nel quale era stato originariamente eletto. Per cui individuare i rivoletti in cui s’è andata perdendo la volontà popolare risulta impossibile, come trovare un ago in un pagliaio.

A ciò si aggiunga che il Governo, invadendo un campo che dovrebbe essere di stretta competenza parlamentare, si è fortemente impegnato per abbinare alle riforme della Carta una legge elettorale, il cosiddetto “Italicum”, che mortifica ulteriormente la volontà popolare per assicurare una maggiore governabilità, prevedendo, anch’essa, un astronomico premio di maggioranza alla Camera, che, grazie alle modifiche alla Costituzione che si sono introdotte, sarà il solo organo che vota la fiducia al Governo. Avremo così un sistema sicuramente più governabile, ma altrettanto sicuramente ancora meno rappresentativo, per cui sarà la maggiore delle forze politiche – ancorché largamente minoritaria rispetto al numero dei votanti e ancor più rispetto a quello degli aventi diritto al voto – a determinare il corso di una legislatura. Tale legge elettorale, inoltre, stabilisce per la prima volta una differenziazione tra i candidati: i capilista, difatti, presumibilmente scelti su base nazionale dalle segreterie dei partiti possono sottrarsi parzialmente all’obbligo dell’alternanza di genere, risulteranno comunque i primi ad essere eletti, potranno candidare in dieci collegi, tutte prerogative non spettanti agli altri competitori nella medesima lista. Questo significa, per intendersi, che avremo ancora un Parlamento (una Camera, anzi) di nominati, che presumibilmente saranno gli yes men più graditi ai potenti vertici di ciascun partito, soprattutto di quello che, godendo di una maggioranza relativa nel Paese, potrà impossessarsi di una maggioranza parlamentare assoluta.

Saranno poi questi cosiddetti “onorevoli” a eleggere il Presidente della Repubblica e la quota di competenza parlamentare dei membri della Corte Costituzionale e del Consiglio Superiore della Magistratura, con quale salvaguardia del bilanciamento dei poteri è facilmente immaginabile.

Agli elettori rimane ancora un’unica carta in mano: quella del referendum confermativo in cui a ottobre saranno chiamati ad esprimersi circa la conferma delle riforme costituzionali. Staremo a vedere.