Prove impegnative di Laura Grusovin

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Pubblichiamo il testo della presentazione al catalogo della mostra antologica che si terrà a Villa Mauroner (Tissano, S. Maria la Longa), dal 7 dicembre al 6 gennaio 2020

di Walter Chiereghin

 

E ogni notte inventarsi una fantasia da bravi figli dell’epoca nuova ogni notte sembravi chiamare la vita a una prova

 

Francesco Guccini, Farewell, 1994

 

Seguendo ormai da diversi anni l’evoluzione dei percorsi artistici di Laura Grusovin, mi sembra di aver compreso come la ragione prima della sua produzione artistica risieda da un lato in una costante pulsione a conseguire obiettivi progressivamente più avanzati di ricerca formale e, dall’altro lato, nell’urgente necessità di dare corpo, mediante l’opera, alla descrizione del suo stato d’animo del momento, includendo in tale seconda motivazione l’esigenza di dare ordine a quanto concorre a determinarlo.

è come se ogni volta, davanti a una tela ancora intonsa, l’artista si sentisse chiamata a una prova, a rappresentare se stessa e quanto la circonda valendosi degli strumenti che lei stessa s’è data, come se l’impegno estetico si congiungesse, o meglio si sovrapponesse a un’esigenza di comunicazione e, assieme, a un imperativo etico.

In conseguenza di questa tensione iniziale, è allora riscontrabile nel suo lavoro, nella genesi e nello sviluppo nel tempo di una gamma di valori di riferimento, spazianti dalla rappresentazione naturalistica, che si manifesta per mezzo di una rigorosa – il più delle volte minuziosa – adesione al reale, oppure dall’irruzione onirica del surreale, o infine dalle metafore più o meno esplicite che rimandano a una narrazione di forte richiamo simbolico. Nonostante tale molteplicità di ispirazioni, tuttavia, la pittura della Grusovin rimane fortemente connotata da un’impronta distintiva personale, tale per cui, entrando nella sala che ospita un’esposizione collettiva, un osservatore – anche sommariamente esercitato – riesce a distinguere un lavoro della pittrice goriziana anche in mezzo a una o più dozzine di altri dipinti, grazie a uno stile maturo e coerente che si distende sui diversi periodi nei quali esso si è esercitato.

Tale riconoscibilità risulta in gran parte ascrivibile al ricorrere di alcuni stilemi che si manifestano con assidua frequenza nella produzione dell’artista, a iniziare dall’organizzazione di composizioni bipartite, dove i due contrapposti ambiti presenti nel dipinto si forniscono reciprocamente rilievo, nel linguaggio figurativo della pittrice. Il caso più semplice è quello di una suddivisione dello spazio basata sulla contrapposizione tra luminoso e oscuro, che può apparire un mero effetto luministico, ma spesso non si limita a questo, prestandosi alla compresenza di due aree emotive, più che figurative, contrapposte sulla medesima tela. Queste, ma anche altre polarità accoppiate, costituiscono sovente elemento caratterizzante e auto esplicativo, com’è, emblematicamente, nel caso dei numerosi dipinti nei quali lo spazio della rappresentazione è suddiviso in un dualismo dentro/fuori, operante grazie alla presenza di una finestra o altro elemento architettonico in grado di separare i due ambiti, apportando quindi al dipinto il valore aggiunto di un elemento narrativo che stabilisce un confine tra interiorità ed estraneità, tra una dimensione domestica ed una sociale, oppure tra presente e passato, ovvero tra natura e artificio, o ancora tra realtà materiale ed onirica. Come si vede da questa sommaria elencazione, un unico elemento concettuale, la suddivisione dello spazio sulla tela, si presta a una pluralità di occasioni per attingere a una vasta gamma di contenuti anche molto eterogenei, ma tali da offrire all’artefice spunti e sollecitazioni per coniugare molte delle sue motivazioni con la loro pratica realizzazione formale.

L’irruzione del sogno e dell’elemento fantastico nell’economia del dipinto, così frequenti e lungamente caratterizzanti nel percorso artistico della Grusovin, costituiscono, con la loro apparente incongruità d’ispirazione, il momento di fusione tra una poetica attenta alle suggestioni provenienti direttamente dall’inconscio e una più serena contemplazione del reale, accarezzato sempre con suggestiva e coinvolgente empatia. Capita così che un cielo immerso in una luce vespertina (o forse aurorale) sia solcato da banchi interi di pesci, le cui sagome vanno ad occupare, com’esuli pensieri, gli spazi di solito riservati alle nuvole.

Il surreale, che ha lungamente intersecato il percorso creativo dell’artista, sembra negli ultimi tempi restringersi in una visione dominata da precise e ricorrenti simbologie: si trattasse di un testo letterario, bisognerebbe parlare di metafore e di allegorie. Così, limitandosi a considerare alcune delle opere di più recente esecuzione, i nastri colorati che intendono riferirsi ai rapporti interpersonali, sono di volta in volta piegati all’esigenza di raffigurazione della loro variopinta molteplicità, o infiocchettati nella loro solitudine, o anche, ridotti all’afonia del nero e sfuggenti verso un remoto enigmatico altrove, simbologia della perdita e del lutto, come suggerisce, con una modalità ricorrente, il titolo, che, come avviene per alcune poesie per lo più nell’ermetismo (si pensi ad esempio a Soldati, di Giuseppe Ungaretti), è parte integrante e illuminante della composizione. Un antefatto di tale effetto simbolico di non comune efficacia è Dopo, un quasi monocromo omaggio ai genitori del 2010.

Seminati in questo modo alcuni semplificati e necessariamente riassuntivi elementi utili a gettar luce su alcune particolarità dell’opera di Laura Grusovin, sarebbe ancora molto da dire riguardo alla qualità del suo lavoro, tanto in pittura che nel disegno e nell’incisione. Parlare ad esempio della cura scrupolosa del particolare, del ricorso a una tavolozza di non comune espressività, variante in tutte le tonalità dal sommesso appena accennato allo squillante, di una resa compositiva e cromatica del paesaggio esteriore che entra in simbiotica comunicazione con quello interiore dello stato d’animo del contemplante, il ricorrente richiamo al valore della libertà che si confronta e si scontra con alcune claustrofobiche rappresentazioni in cui inferriate, elementi murari o campane di vetro sono gli impedimenti simbolici di una condizione personale e sociale lievemente ma efficacemente suggerita sono, ancora, chiavi di lettura che non esauriscono affatto la descrizione di un universo creativo di non comune complessità e opulenza, generosamente trasposto in ogni singolo momento di quella narrazione di sé che è al contempo narrazione di tutti noi, di una condizione umana nella quale ciascuno a buon diritto può riconoscersi. A condizione di comprendere che anche chi osserva l’opera, come è in precedenza accaduto a chi ne è stata artefice, è a sua volta chiamato, ogni volta, a una prova, dalla quale in molti casi potrà trarre suggestioni funzionali a illuminare (di una luce riflessa) la propria condizione umana.