Scultura in mostra a Capodistria

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Il mondo reale e fantastico di Vojc Sodnikar Ponis a Palazzo Gravisi di Capodistria

di Enzo Santese

 

La sala espositiva di Palazzo Gravisi a Capodistria, sede della Comunità degli Italiani, ospita dal 25 marzo al 30 aprile un’ampia mostra di sculture di Vojc Sodnikar Ponis, artista che ha trovato nelle atmosfere dell’Istria stimoli per alimentare un poetica fervida di risultati. Tracce, solchi, incisioni intermittenti o lineari danno il polso di una poetica che mira all’essenziale e, anzi, in tale contesto l’artista trova, quasi per ossimoro, il pregio di una complessità che è sostanzialmente il tratto fondante dell’universo rappreso poi in ognuno dei suoi manufatti. La ricerca di forme primarie (la conchiglia, la spirale, la stele, gli elementi della natura) si realizza attraverso la scelta di un repertorio quanto mai vario eppure riconducibile a una matrice che è la sensibilità stessa dell’artista, proteso a far parlare la materia con il linguaggio di un tempo remoto immesso nella contemporaneità. Le opere scandiscono lo spazio attraverso successioni di superfici grezze e levigate, aggettano e si ritirano esibendo quasi l’effetto di una risacca. Attraverso l’ondularità dei suoi volumi la materia trasmette a pieno la musicalità di un movimento, quello del tempo che fluttua nelle fasi evolutive nella storia. La tensione dialettica degli opposti risiede nell’alternanza dei pieni e dei vuoti, nelle aperture e nelle verticalità piene, negli avvallamenti e nei rilievi. L’artista in tal modo giunge a esiti formali di sicura espressività, fatta anche di marcata misura compositiva, dove la seduzione classica – presente in questo autore molto attento ai suggerimenti della storia – si coniuga con una miriade di soluzioni plastiche, capaci di dare all’opera i lineamenti di riconoscibilità dentro un filone di coerenza che rimanda alla fonte, cioè a Vojc Sodnikar Ponis.

Lo spazio è concepito come un complemento necessitante dell’opera, che dentro quel contenitore ha modo di esaltare i dettagli “anatomici” e di innescare con la luce dell’ambiente un gioco di assorbenze e riflessi, posti lì a costituire un ricco alfabeto di parole scritte nella solidità della materia. E talora dà l’idea di un flusso magmatico che si è rappreso e solidificato per un misterioso fenomeno di natura e fermato come alle soglie del dicibile, in quel punto di confine che separa fil mondo fisico e lo spirituale.

Già nel blocco di pietra grezzo lo scultore avvista la forma, per raggiungere la quale ingaggia una sorta di corpo a corpo con la materia, ben sapendo che l’inizio della ricerca sta nella sintonizzazione del pensiero che progetta con la fisicità del medium. È per questo che – come è stato detto in precedenti occasioni espositive – Vojc è scultore per vocazione istintiva, quella stessa che gli ha consentito una ricerca fatta di passione e impegno e una consapevolezza in virtù della quale affida la riflessione plastica all’intuito nell’individuare l’immagine all’interno del masso lapideo e all’immediatezza dello scolpire. Ogni parte dell’opera è una pagina scritta di emozioni affidate a ritmi e segni anche minimi, che accolgono in sé arguzie solo in parte narrative, impigliate nel reticolo di serialità incise che rendono formicolante il piano. È un complesso di alfabeti riconducibili alla struttura significante di codici poetici, che rimandano a un paesaggio mentale, emblema primario della vita dove asprezze e motivi di gioia si susseguono in un incalzare di eventi che, nel loro complesso, danno dignità e bellezza all’esistenza. E come se l’artista volesse combinare in un unico corpo un intreccio stretto fra finito e infinito, luce e buio, concretezza del vivere e astrattezza del sentimento. Le proprietà della materia – la pietra, il marmo di provenienze diverse e di consistenza e colore differente – sotto le abili mani dell’artista fanno scaturire una trama di combinazioni formali da lui stesso intraviste nella pietra ancora grezza; poi, fedele al suo progetto scritto o mentale, le “evoca” nel senso letterale, le chiama fuori dall’indistinto per dare una fisionomia alla sua “creatura”. Le caratteristiche della materia, mai perfettamente corrispondenti da brano a brano, offrono una resistenza variabile di fronte all’azione dello scultore che agisce per sottrazione; è per questo che aggiorna la conoscenza della materia con una continua sperimentazione e approfondimento delle sue qualità e la ricerca ha anche la finalità di monitorare le potenzialità da tradurre poi in un progetto creativo. Così entra nell’area pulsante del simbolo, piegando i risultati del suo lavoro a un confronto continuo con le mille sfumature significanti, possibili negli esiti felici. E la tecnica di attacco alla pietra procede su più direttrici dentro una poetica che alla materia richiede non solo forme e volumi ma anche segni che punteggiano le superfici, dove il gioco lucido/opaco crea una dialettica fra il concetto di riflesso e di assorbenza. Le sinuose rotondità dei corpi plastici inanellano una serie di movimenti di linee che dinamizzano le parvenze della scultura, talora dall’aspetto di un misterioso fossile che, in questo frangente, subisce un arrangiamento e una modificazione non dal tempo e dalle condizioni atmosferiche ma dallo scalpello di Vojc. In alcuni casi paiono conchiglie piovute dal cosmo a ritrarre nella forza del gesto e nella rilevanza della modellatura una presenza, adatta a testimoniare l’idea di un tempo remoto che apre orizzonti di conoscenza ai contemporanei.

Alcune opere di questa rassegna meritano un cenno particolare per la suggestione che possono creare nell’osservatore. Nella serialità dei segni incisi dell’opera intitolata Vento, per esempio, i due elementi che la compongono con un accenno di incastro dell’uno nell’altro esibiscono una realtà epiteliale di motivi, che producono una tessitura in dialogo stretto con la parte liscia della parte rettangolare innestata nel corpo principale; nel trittico La luna e il mare il confronto tra il pieno e il vuoto apre circuiti di conoscenza approfondita, inducendo chi guarda a soffermarsi anche sulle parti apparentemente grezze che smentiscono subito la loro parvenza, mostrando un reticolo di tracce formicolanti. La combinazione marmo-legno in Coppia mette in scena una bella simbiosi tra passato e presente, mentre in Vibrazione lo sviluppo binario della scultura si dinamizza per le fasce esterne parallele, fatte di bande lisce e picchiettate.

Coppia, quasi metafora di questi tempi dove prevalgono i distinguo e le divisioni, rileva l’affiatamento di due entità anche dentro la marcatura di differenze reali.

Un oggetto d’uso quotidiano infine, la Lavatrice, con la sua struttura a elementi paralleli segmenta lo spazio di un lato esponendosi a seducenti giochi con la luce dell’ambiente.

Le tracce inscritte nelle superfici solitamente non fanno parte di un disegno narrativo, ma sono l’indizio di un’emersione intermittente di venature, attraverso cui l’artista fa “respirare” la pietra che, fuori dalla sua nuda evidenza fisica, reclama uno sguardo che la cataloghi come evento plastico; qui l’assonanza con un immaginario ancestrale si fonde con la logica della geometria, asservita a un progetto che trasforma la realtà lapidea in pulsante “presenza”, innestata in un contesto che può essere anche in combinazione di “dialogo” con altre sculture di Vojc Sodnikar Ponis.