Cristina Gregorin l’ultima testimone

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Garzanti pubblica il romanzo di una triestina, la cui famiglia è arrivata in Italia durante le vicende drammatiche dell’esodo istriano

di Diego Zandel

 

Quello della esordiente Cristina Gregorin, L’ultima testimone edito da Garzanti, è un romanzo attraverso il quale passa quanto è accaduto durante la seconda guerra mondiale sul nostro confine orientale. L’autrice, triestina di famiglia istriana, ha raccolto i ricordi di genitori e nonni e li ha dipanati in una storia d’invenzione dalla quale ha saputo far emergere, con i fatti, l’atmosfera, il pensare, le emozioni che la gente di frontiera ha vissuto in quel contesto storico, dilaniato dalla contrapposizione delle ideologie che avevano diviso gli uomini di quella terra.

La storia ha inizio con la morte di un vecchio, Bruno Tommasi, che prima di spirare all’ospedale di Trieste fa una richiesta al nipote, Mirko, che si trova al suo capezzale. Gli dice di contattare una donna, Francesca Molin, l’unica testimone al corrente, quando lei era ancora una bambina, del suicidio di un suo caro amico, Vasco Cekić.  Mirko, che tra l’altro è uno storico, raccoglie il testimone, impegnandosi nella ricerca. Orfano dei genitori, rivela alla zia che lo ha cresciuto il desiderio del nonno e, questa, anche un po’ indispettita dal fatto che il proprio padre abbia scelto il nipote per le sue ultime volontà, si mette lei, conoscendo la famiglia della Molin, alla ricerca di Francesca, ormai cinquantenne, trovandola a Milano dove lavora come ginecologa presso un ospedale. Francesca, dopo una forte delusione d’amore, è ora una donna sola, che vive solo per il suo lavoro e l’ambizione di far carriera, apparendo una donna arida. Risvegliata nei ricordi dalla telefonata, che le è risultata poco gradita in quanto per tutta la vita aveva cercato di rimuovere il ricordo di quel suicidio, accetta però, seppur poco convinta nel timore di risvegliare i fantasmi sopiti della sua adolescenza, l’invito della donna.

Comincia da qui uno straniante ritorno a Trieste nel corso del quale, oltre a ritrovare l’amata nonna Alba, novantaseienne, dalla quale andrà a vivere per quei pochi giorni di ferie che si è data, s’incontra con la figlia e, soprattutto, con il nipote di Bruno Tommasi. Le accade, però, di fronte alla volontà di Mirko di conoscere la storia che ha tormentato la coscienza del nonno fino all’ultimo respiro, di chiudersi sempre di più a riccio verso il proprio passato, che per Mirko, così come per il lettore, rimane a lungo oscuro. Francesca si ostina – sfidando la pazienza del giovane – a dichiarare che lei era troppo piccola per ricordare, fatti, persone, luoghi, e prestandosi mal volentieri a incontrare Mirko, il quale, per altro, ha chiamato in aiuto per l’indagine un poliziotto, anche se non si tratta di un’indagine poliziesca, ma pensa che egli sappia come far parlare la donna, palesemente reticente. Ed è in questi incontri che i due, mentre vedono altri testimoni non solo dell’epoca in cui Vasco Cekić si è suicidato, ma soprattutto della guerra a cui Vasco e Bruno hanno partecipato come partigiani, passa la grande Storia, la Trieste in mano a tedeschi e fascisti, quindi l’occupazione jugoslava della città, il suo successivo passaggio sotto l’amministrazione angloamericana, il terrore che Trieste, come il resto dell’Istria, venisse annessa alla Jugoslavia, dopo che la famiglia istriana di Francesca ha conosciuto l’esodo dal loro paese già ceduto. Intanto, gli incontri, le testimonianze procedono. Tra queste, quelle, non meno reticenti e, pertanto, parziali, ambigue, fuorvianti, della vedova di Vasco, Maria Cekić, insieme alla quale Francesca da bambina passava molte ore, a causa del lavoro dei genitori e della nonna di lei.

Un po’ alla volta si viene a sapere che Vasco, sua moglie Maria e Bruno erano stati partigiani, entrati però in formazioni con compiti non tanto puliti, che si andranno a scoprire via via che il quadro storico, raccontato dai diversi testimoni, compresa la nonna Alba, lucida nonostante l’età, si farà più chiaro. Su Bruno, in particolare, aleggia il sospetto che fosse, forse,  una spia di altre forze antifasciste, forse angloamericane, ma su tutto aleggia una sorta di mistero, così come quello dell’attività del terzetto in seno ai partigiani, che, mentre  da una parte scava un solco tra Mirko e Francesca, dall’altra lo riempie scoprendo nella ricerca del giovane un desiderio sincero, non solo di rispettare la volontà del nonno ma, più in generale, quello di pervenire alla verità, così via via da far cedere, un po’ alla volta, la donna, l’ultima testimone, a raccontare la terribile verità. Non è estraneo a questo lento cedimento neppure un certo fascino per Mirko come uomo, padre di una bambina, ma separato, fascino intuito da un’amica d’infanzia con la quale Francesca, ancora una bella donna, si confida e passa il suo tempo libero a Trieste.

Oltre non si può andare nel racconto, perché rispettiamo la volontà dell’autrice di condurre il suo racconto mantenendo viva, fino alla fine, la suspense, un espediente che suscita sempre maggior interesse alla vicenda, anche se che a un certo momento però diventa forse troppo insistita, quasi artificiosa, tale da suggerire opportuno il taglio di certi passaggi allo scopo di rendere più dinamica la trama. Ma è l’unico difetto di un romanzo che, per il resto, offre molto al lettore.

 

 

Cristina Gregorin

L’ultima testimone

Garzanti, Milano 2020

pp.317, euro 17,00