Attorno al tetto del mondo

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Luciano del Gironcoli alla Galleria la Bottega di Gorizia

di Diego A. Collovini

 

C’è una strana atmosfera nel dipinto La vocazione di san Matteo di Caravaggio. Forse dettata dalla luce radente o dalla finestra, in altro, con una croce al centro retroilluminata che ci fa immaginare di essere in uno spazio aperto ma tenebroso; o affascinati dalla citazione michelangiolesca della mano del Cristo.

Matteo scrive un vangelo ritenuto da molti storici “politico”. Nel Discorso della montagna Cristo ammonisce l’uomo, evidenziando le colpe, le debolezze, ma incitandolo a riscattarsi secondo una morale più terrena che spirituale. È in quel momento che Cristo recita il Padre Nostro, che induce di non guardare la pagliuzza del vicino quando c’è una trave che oscura il nostro occhio. Dove reclama il giusto equilibrio tra perdono e punizione. Dunque un Cristo saldo nella fede ma dubbioso sulle ineguaglianze umane.

È il vangelo politico che Pasolini ambientò nella povera Matera del dopoguerra, delle cui miserie Togliatti raccontò al mondo con parole terribili, certo meno tenere di quelle di Primo Levi: «E le mosche si posavano sugli occhi e quelli pareva che non le sentissero coi visini grinzosi come dei vecchi e scheletrici per la fame…». È un atto di denuncia, pari ad un passo di Matteo dello stesso Discorso: «Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città collocata sopra un monte, né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa».

Tutto questo genera un momento di riflessione sociale anche in un’anima atea, che non può che condividere il comportamento suggerito dalle parole di chiusura: «… egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità e non come i loro scribi».

E come poteva non lavorare su tali contenuti Luciano de Gironcoli, che, nelle sue ricerche pittoriche, ha affrontato temi sociali e culturali sempre impegnativi. Lo dimostra pure la sua recente mostra Fra i ricordi del generale a Ronchi dei Legionari, con la curatela di Eliana Mogorovich. Il tema è la guerra. Argomento ahimè di attualità. Ma se la guerra arriva quando le parole perdono di senso, quando ogni ragionamento si rivela inutile, allora ciò che di etico c’è nell’uomo viene disconosciuto per lasciare spazio alla più dissacrante immoralità: la morte dell’uomo.

All’arte spetta farsi monito delle scelleratezze che si stanno compiendo. Se nella mostra di Ronchi l’artista ha interpretato la morte e la distruzione provocata dalla guerra, nelle Miniature per il Libro dei Giganti denuncia un decadimento morale dell’uomo. L’artista, riportando testualmente le parole dell’evangelista, si fa messaggero di un richiamo alla giustizia sociale, umana e etica; del passato e del presente.

Pregevole il lavoro di Franch Marinotto, che, nella sua galleria La Bottega a Gorizia, ha ospitato tre personali di altrettanti artisti isontini: Enzo Valentinuz, La luce nel segno e nella materia, (di cui si è scritto nel numero 86) di Sergio Altieri con Sulle tracce del Nievo e appunto Luciano de Gironcoli con Miniature per il libro dei giganti, nella quale erano esposte una quindicina di quadri, frutto di un anno di lavoro, dalla fine del 2021 al settembre del 2022.

È cosa non facile affrontare temi religiosi, proprio perché non possono prescindere dalla fede – di cui non tutti beneficiamo –, ma quando questa tende a confrontarsi con la realtà e con i linguaggi dell’arte, il dialogo non è mai semplice poiché, come accade quando si crede fermamente ad una cosa, i linguaggi oltre a essere dissimili, transitano anche su livelli etico-filosofici differenti.

Non rifugge il confronto de Gironcoli; e lo fa con le parole di Matteo, addirittura inserendole nelle sue opere, trasformandole in forme, in immagini, in cornici o decorazioni. è lui stesso a suggerirci il senso: «Si tratta di un ciclo particolare di opere con cui ho voluto affrontare il difficile tema della “conoscenza” ovvero il rapporto fra “l’uomo contemporaneo” e i grandi avvenimenti della storia, della spiritualità, della cultura, dell’arte».

De Gironcoli, che ha avuto per maestri al “Max Fabiani” di Gorizia Cesare Mocchiutti, Mario Sartori e Tino Piazza, esprime un personale linguaggio che guarda alle forme espressive della storia dell’arte, attraverso le quali elabora una personale sintesi artistica. Non mancano attenzioni all’Espressionismo austriaco, alla trasfigurazione spaziale del neo-cubismo italiano del secondo dopoguerra, alla gestualità segnico-informale degli anni ’60, ai toni soffusi e scuri o al contrasto cromatico della tradizione coloristica veneta, alla luce vellutata degli acquerelli o alla carica materica dei pastelli a olio. Oltre ad essere un fine scrittore d’arte.

Efficaci le Ultime cene, descritte con un sovvertimento prospettico, ma esplicito nel porre al centro il sudario di Cristo, anticipatore di un immediato futuro, o l’altra crocifissione con ai lati due tavole decorate da segni geometrici, a parafrasare le tavole della legge.

Con i colori vellutati delle tonalità di verde e azzurro ricostruisce la serenità con cui i fedeli si accingono ad ascoltare le parole del Cristo. Una massa di devoti delineata da sagome imprecise accomunate da un marcato colore che deborda oltre ogni figura per caratterizzarne l’unità. Come del resto le parole, trascritte sulla superficie, si trasformano in folla, si fanno montagna e paesaggio dello spirito e della cristianità.

Originale il Peccato originale, in cui il triangolo divino scaglia le sue invettive sui peccatori nel momento in cui raccolgono il frutto proibito. Anche in quest’opera de Gironcoli scompagina i limiti della figura con il colore e con i segni; nulla è descrittivo se non lo stato d’animo dei due peccatori; i loro dubbi e incertezze nel disubbidire con la coscienza che il loro vivere sarà poi diverso, vago, indefinito, come le loro figure tracciate dall’artista.

E sereno non sarà lo spettatore di fronte alla grande macchia rossa dentro la quale sono disegnate le sagome dei fedeli e dove le sentenziali parole del Discorso, si fanno montagna. Perché sono le parole, il loro contenuto, il modo con cui sono dette e come sono ascoltate, che diventano quell’autorità cui Matteo chiude la narrazione del Discorso del Cristo terreno.

 

 

Ultima cena

tecnica mista su carta riciclata

2022