Battaglione Mozart

| | |

Le musiche “militari” del grande compositore

di Luigi Cataldi

 

Per quanto strano possa apparire The Mozart Group non è il nome di un quartetto, ma di un battaglione. Lo ha fondato un colonnello dei Marines in pensione, Andrew Milburn, già comandante operativo in Medio Oriente contro l’ISIS, trasferitosi in Ucraina dopo lo scoppio della guerra. È lì che la milizia opera. È privata (altrimenti violerebbe le leggi statunitensi), non manda soldati al fronte, ma addestra le truppe locali all’uso delle sofisticate armi fatte giungere all’esercito ucraino, offre supporto logistico, infermieristico, e fa opera di sminamento. Attività, se non di guerra, certamente per la guerra; attività che stupisce sentire associate al nome di Mozart. Infatti pare che la scelta non sia dovuta a ragioni musicali, ma militari. Milburn fin dal nome vuole apparire l’opposto del nemico. E nella fattispecie il nemico è la brigata militare privata russa Wagner, così chiamata dal nome di battaglia del suo fondatore, Dmitry Utkin, di simpatie naziste. Che Wagner fosse amato da Hitler e che lo sia ancora dai suoi tristi emuli è cosa che non desta stupore. È anche vero che, dovendo cercare un musicista che evochi col suo nome idee opposte a quelle wagneriane, Mozart è una buona scelta, ma che lo sia anche per indicare una formazione militare non direi.

È vero, Mozart scrisse anche marce militari, ma certamente concepite per il ballo anziché per il campo (come, per esempio le KV 593/1-3) oppure per la scena (come quella, magnifica, di Idomeneo I.11). C’è persino un’opera bellicosa, semisconosciuta, il Lied Beim Auszug in das Feld (Quando le truppe vanno al fronte) KV 552 del 1788, il cui testo, di autore anonimo, incita la gioventù viennese alla guerra contro i turchi (1788-1791) che allora si combatteva: «Giuseppe chiamò i suoi eserciti; loro, fedeli alle alte parole dell’imperatore, si affrettarono a lui come volando, assetati di vittoria e di onore». Sebbene la musica sia tutt’altro che marziale, il breve componimento, da quando nel 1958 venne scoperto, pone a cimento i musicologi per l’estraneità con il resto della produzione mozartiana.

E il resto è inequivocabile. I valori militari appaiono nelle opere solo in parodia. Tamino, l’eroe del Flauto magico, prima che il cammino di elevazione lo renda uomo (per giustificare la fiducia riposta in lui, al sacerdote che gli chiede se il principe Tamino saprà affrontare le prove che lo attendono, Sarastro risponde «è più di un principe, è un essere umano»), fugge e sviene di fronte al drago che lo minaccia ed è salvato da tre dame. «Cherubino alla vittoria / alla gloria militar!» canta Figaro esortando il giovane «farfallone amoroso» sulle note di una marcia militare a conclusione del primo atto delle Nozze. Un’altra marcia militare si trova nel Così fan tutte (Bella vita militar, I.5). «Il fragor di trombe e pifferi, / Lo sparar di schioppi e bombe / Forza accresce al braccio e all’anima / Vaga sol di trionfar. / Bella vita militar!» Così il testo, ma i due soldatini, Guglielmo e Ferrando, stanno partendo per il fronte solo per finta: torneranno travestiti per tentare ciascuno l’onore della promessa sposa dell’altro, sul quale hanno scommesso con don Alfonso e dunque l’elogio delle virtù marziali si tramuta in farsa. Ma in quest’opera di dissacratorio c’è assai di più. Non è infatti solo la fiducia cieca nel valore assoluto della fedeltà delle donne (e l’altrettanto cieca fiducia in quella delle proprie promesse spose) a sgretolarsi, ma quella in ogni forma di onore, soprattutto quello di soldati. La scola degli amanti (è il titolo scelto da Da Ponte) è scuola per le sorelle ferraresi, Fiordiligi e Dorabella, ma ancor più per i due soldatini, che con il loro disincanto, indotto dai due cattivi maestri, Despina e Don Alfonso, diventano uomini e non più «caporali», come avrebbe detto Totò. Per questo l’opera fece scandalo. Con la sua corrosiva ironia insegna a diffidare dei valori che si considerano sacri, sui quali si giura, per i quali si uccide: l’onore delle donne, quello di soldati.

No, non mi pare che Mozart sia nome adatto per un battaglione, ma del resto di ogni cosa si può far qualsiasi cosa, quindi di Mozart anche una Brigata Mozart, così come una canzone antinazista può divenire un inno nazista. È il caso di Tomorrow belongs to me che si trova in Cabaret (1972) di Bob Fosse. Intende descrivere il clima di oppressione della Berlino dell’ascesa hitleriana. È cantata da un adolescente biondo in divisa nazista in una birreria all’aperto. Inizia come una graziosa melodia pastorale tradizionale, poi, una ad una le voci degli altri avventori si uniscono a quella del ragazzino, il volume aumenta e la melodia diventa una marcia. Annunciano un radioso futuro di potenza, proclamano all’unisono: «il domani appartiene a me». Il braccio dell’adolescente si leva nel saluto nazista; gli altri lo seguono. Gli sguardi sono senza indulgenza. Chi non appartiene al gruppo non può cantare, il coro esclude chi non è conforme. Un vecchio pare avvilito e abbassa lo sguardo. I due protagonisti del film Brian e Sally, un omosessuale e una soubrette di cabaret, se ne vanno, mentre Max, il loro ricco compagno di bagordi, minimizza l’accaduto. Una bella foto dell’epoca. La canzone è scritta da due ebrei, John Kander e Fred Ebb e si trova in un film antinazista e antifascista. Eppure ha ispirato nazisti e fascisti. Haider la faceva eseguire ai suoi comizi. Breivik, l’assassino di Utøya, dichiarò che essa fu fonte di ispirazione per la sua strage. Colpa degli autori della canzone? Non direi. È il nazismo che va combattuto non Tomorrow belongs to me.

Al contrario, restando in ambito cinematografico, a me pare che lo spirito mozartiano sia stato ben rappresentato nell’Ouverture della versione del Flauto magico di Ingmar Bergman (Trollflöjten, 1975). Alcune inquadrature sono per il teatro, il parco, il ritratto di Mozart associato per analogia a quello di una bambina. Tutto il resto mostra il pubblico. Persone d’ogni ceto, d’ogni colore, d’ogni etnia, d’ogni età, attente alla musica. Lo sguardo di alcune di loro è severo, di altre divertito, di altre ancora rivolto a cose lontane, di alcune rivela tenerezza, di altre severità, di altre ancora trasporto. Tutti fanno la stessa cosa, ma sono diversi antropologicamente, sociologicamente, culturalmente, caratterialmente e, insomma, umanamente. La musica non cancella le loro diversità, anzi le esalta. Bergman mi pare voglia dire che Mozart parla a tutti, non perché la sua musica sia divina, ma perché è rivolta a tutti. Nella sala di quel teatro c’è posto per tutte le orecchie. La musica include, al contrario di quanto accade nel coro nazista descritto in Cabaret, dove solo chi appartiene al gruppo può cantare, mentre gli altri sono ridotti al silenzio.

Ecco, fra gli altri, due pilastri della musica mozartiana. L’ironia corrosiva del Così fan tutte mostra quanto tutti noi, come uomini, siamo fallaci e ridicoli, e quanto illusori siano i valori proclamati come sacri, anche quelli militari. L’Ouverture di Bergman ci mostra il potere, non sovrannaturale, ma quantomai umano della musica di Mozart: quello di saper parlare a tutte le orecchie.

  1. Esiste in verità anche un altro MozArt Group, un quartetto d’archi di Varsavia, fondato nel 1995, che non suona solo Mozart, ma prende in giro ogni tipo di musica, anche quella di Mozart. Sono eccellenti strumentisti ed eccellenti mimi. Di sé dicono: «Noi esistiamo a dispetto della solenne formalità delle grandi sale da concerto. Trattiamo la nostra musa con ironia e umorismo e siamo sicuri che non se ne avrà a male». Un uso appropriato del nome di Mozart.

 

Sergio Altieri

Un piccolo Mozart

tempera su tela, senza data

coll. Silvio Jermann