Baudelaire, una mostra a Parigi

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Nel bicentenario della nascita, la Bibliothèque Nationale de France dedica una mostra al grande poeta

di Alessandro Busdon

Che dire ancora di Baudelaire, poeta di cui esiste una sterminata letteratura, poeta di cui ogni studente minimamente sensibile alla letteratura conosce a memoria qualche verso che cita a se stesso nei momenti di malinconia o che indirizza ai suoi amori adolescenziali. Che dire ancora, se non che quest’anno, il 2021, ricorre il bicentenario della nascita: Parigi, 9 aprile 1821? È per questa ragione che la Bibliothèque Nationale de France gli ha dedicato un’esposizione.

Nella prima sala, avvolta nella semioscurità, alle pareti sang de bœuf (una gradazione di bordeaux, il colore preferito da Baudelaire) arabescate in oro bronzato, spiccano le incisioni che Delacroix aveva dedicato ad Amleto. Il giovane Baudelaire ne aveva acquistato la serie compiacendosi di identificarsi con il malinconico principe danese, écrasé sous le poids de l’idéal et la conscience du néant. Il quadro di Èmile Deroy che lo ritrae a ventitré anni (irriconoscibile per noi col suo pizzetto), meditabondo e vestito di nero, lo attesta in modo ancor più evidente. È proprio sulla malinconia e su alcune significative vicende biografiche che l’expo si basa, intitolandosi appunto: Baudelaire, la modernité mélancolique.

Gli stati d’animo del futuro poeta, e parte della sua ispirazione, traggono spunto dalle sue vicende biografiche, che in Italia sono spesso conosciute solo approssimativamente. Così, superata la soglia iniziatica della prima sala, si entra in uno spazio più vasto, ricco di significativi reperti. In evidenza fin dall’inizio il ritratto del padre Joseph-François Baudelaire (1759-1827). Uomo austero e prestigioso, destinato al sacerdozio al quale rinuncia per sposare Jeanne Justine Rosalie Janin e alla sua morte, in seconde nozze, Caroline Dufay, 34 anni più giovane di lui, da cui nascerà un paio d’anni più tardi, Charles. Precettore di latino poi funzionario amministrativo al Senato, pittore e collezionista d’arte, Joseph-Fronçois morirà all’età di 68 anni quando Charles ne avrà solamente cinque. La giovane vedova non tarderà a risposarsi nemmeno due anni dopo con il tenente-colonnello Jaques Aupick. L’expo presenta fin dall’inizio anche un suo ritratto: giovane, biondo, baffi e pizzetto alla moda, attraente, destinato a far carriera nell’esercito. Inevitabile per Charles non percepirlo come l’usurpatore che ha preso il posto del padre idealizzato e rubato il suo accanto alla madre. Situazione edipica rafforzata dal fatto che il patrigno si rivela poco incline a comprendere la sensibilità del giovane Charles che «pur dotato di notevoli predisposizioni, si lascia andare all’inedia e rivela un carattere indisciplinato» come relaziona il direttore del Liceo Louis-le Grand a motivazione della sua espulsione.

Charles terminerà comunque i suoi studi lo stesso anno, con risultati alquanto mediocri eccetto che nelle materie letterarie. Ancora indeciso sul suo futuro, comincia a condurre una vita da bohemien, deludendo le aspettative della madre e soprattutto del patrigno. Tanto che Aupick, raccomandandolo a un capitano di vascello, lo costringe ad imbarcarsi per l’India, certo che la disciplina del viaggio ne avrebbe forgiato il carattere. Il giovane ventenne è costretto a obbedire ma, «appartato e silenzioso per la maggior parte del tempo» come relaziona il capitano ad Aupick, approfitta di un approdo momentaneo alle Îles Mascaregnes (le Isole Mascarene, al largo del Madagascar) per farsi sbarcare e dopo qualche tempo rientrare a Parigi.

Il viaggio era durato meno di dieci mesi e si era rivelato tutt’altro che avventuroso. Ma quest’unico viaggio che Baudelaire fa, alimenterà la sua immaginazione per tutta la vita. Anche se sappiamo che i paesaggi esotici dell’autore di Invitation au voyage sono quelli dell’espace poétique, percepito come alterità ideale, più che quelli reali delle isole tropicali.

Colpisce, in contrapposizione, la quantità di luoghi, tutti di Parigi, nei quali questo viaggiatore stanziale si è trasferito. Una grande carta di Parigi dell’epoca ne indica ben 38! dalla centrale e prestigiosa Île Saint-Louis dove si ritrovava con i suoi amici del Club des Hashischins ad appartamenti sempre più modesti verso Pigalle. Il poeta era spinto da un’interna irrequietezza ma anche da una continua corsa per sfuggire ai suoi creditori. E dire che a ventun anni, diventato maggiorenne, poté disporre di una consistente eredità paterna, quasi 100.000 franchi oro che sembrerebbero corrispondere a più di un milione di euro odierni. Ma l’euforia del ritrovarsi indipendente e il suo dandysme gli fa ben presto dissipare metà della somma. La madre, preoccupata, decide di intervenire requisendo quanto restava dell’eredità e dispensandogli solo una modesta pensione mensile. Baudelaire, rimesso sotto tutela e malato di sifilide contratta da qualche prostituta, si sente doppiamente tradito: da sua madre, che giudica sottomessa ad Aupick e dalle donne giudicate dispensatrici di sgradite sorprese. A questo si aggiungerà la delusione per Parigi, percepita forse come fantasma materno, che non riconosce la fama del figlio prediletto, costringendolo, alla fine, ad esiliarsi in Belgio.

Anche da questo può derivare il suo atteggiamento poeticamente ambivalente verso la figura femminile, idealizzata–idolatrata e subito dopo demonizzata. E il suo continuo oscillare tra lo spleen e l’idéal … di cui non aggiungo altro visto il copioso apparato critico a disposizione.

L’expo presenta poi diversi reperti della sua carriera di poeta e scrittore. Non mi dilungherò sulle diverse pagine autografe, stampe, disegni, quadri. Ne cito solamente due. Nel Placard de Rouen, una delle prime riviste che pubblicano le sue poesie, troviamo stampate tre delle quattro strofe che compongo L’albatros. Saputo che un suo amico giudicava la poesia troppo breve, Baudelaire ne aggiunge a penna, sul margine, l’altra strofa, la terza, dimostrando l’estrema versatilità del suo poetare e l’alta considerazione che aveva dell’amicizia. Viene così a completarsi quella poesia destinata a diventare, per eccellenza, la metafora del poeta romantico. L’altro reperto è il celebre frontespizio dell’abbozzo della prima versione delle Fleurs du mal, che contiene più correzioni scritte a mano dal poeta che parole stampate proposte dall’editore. Vengono messi in evidenza la meticolosità maniacale dell’autore e le difficili relazioni che intratteneva con gli editori. Baudelaire non voleva che la sua raccolta di poesie, di cui conosceva il valore, sembrasse un semplice opuscolo. Il tempo gli darà ragione destinandola a diventare una pietra miliare della Letteratura.

L’expo si conclude con una serie di autoritatti, di ritratti e di foto di Baudelaire, troppo celebri per essere commentati. Una foto comunque risulta curiosa. Il celebre fotografo Carjat sta realizzando il ritratto di M. Arnaudet, quando Baudelaire fa inaspettatamente capolino dietro una tenda. Considerati i tempi all’epoca necessari per la posa, la sua silhouette semi nascosta rimane impressa sulla lastra fotografica in modo molto sfuocato. Ridotto quasi a figura fantasmatica, come appartiene ormai all’immaginario di molti dei suoi ammiratori.

Vero fantasma dell’expo, rimane però Jeanne Duval. Assenza a nostro avviso inspiegabile. Di lei non resta che un suo schematico profilo su un foglio di carta, da non confondere però con i più noti ritratti disegnati dallo stesso Baudelaire. L’aveva abbozzato Juliette Gex-Fagon, l’altra donna cui il poeta aveva inviato lettere piene di ammirazione e complimenti amorosi… anche per essere sostenuto nella sua carriera letteraria. La Gex-Fagon lo aveva inserito nella prima pagina della copia dei Fleurs du mal, che Baudelaire le aveva dedicato, con queste parole: Il suo “vero” ideale (il virgolettato è di chi scrive). Della Duval, l’unico grande e tormentato amore cui Baudelaire resterà legato tutta la vita nonostante l’accesa ostilità della famiglia, di questa Vénus noire ispiratrice delle pîù audaci poesie dei Fleurs du mal, nella expo inspiegabilmente non resta che questo. Ridotta ancora una volta a fantasma, come nel celebre quadro di Courbet, L’atelier du peintre del 1855, dove, dopo essere stata dipinta, è stata cancellata per volere di Baudelaire in seguito ad un’ennesima crisi, lasciando però, anche lei, di sé, indelebile traccia.

Étienne Carjat

Charles Baudelaire

stampa fotografica

su carta, 1862 circa