Biografia breve di un milite ignoto

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di Walter Chiereghin

 

Il 4 novembre del 1921 veniva deposta nel monumento a Vittorio Emanuele II, che da quel giorno si chiamerà “Altare della Patria”, la bara contente i resti di un caduto – del quale non erano note le generalità – nella guerra che fino a tre anni prima aveva insanguinato il fronte dove si erano combattuti italiani ed austriaci. Il feretro, scelto fra altri dieci da Maria Bergamas, madre di Antonio, volontario giuliano disperso in combattimento, aveva compiuto su un carro ferroviario scoperto l’itinerario da Aquileia a Roma. Il treno, procedendo a passo d’uomo, impiegò quattro giorni per compiere il tragitto, tra due ali di folla commossa: una celebrazione civile corale, che a molti oggi appare magniloquente e retorica, ma che probabilmente allora, con 651.000 famiglie italiane che avevano perduto almeno uno dei loro cari sull’Isonzo, sul Carso, in mare o sul Piave, toccava corde ancora vibranti di dolore, rimpianto e smarrimento.

Cent’anni più tardi, è toccato a uno scrittore nato a Redipuglia, a pochi passi dal sacrario che, inerpicandosi sul monte Sei Busi, custodisce i resti di oltre centomila caduti, ripensare alla storia, se non vera almeno plausibile, della vicenda umana di quel povero corpo di ignoto custodito a Roma in quella sua pletorica trionfale sepoltura. è così che Nordio Zorzenon, classe 1934 – nato e vissuto in una casetta nella quale è possibile ogni sera udire, come un quotidiano memento mori il Silenzio diffuso dal vicino Sacrario –, ha narrato nel romanzo breve Milite Ignoto la storia di Valentino Segato, «classe 1893. Di enne-enne e di Massenti Angelina sposata Segato», un antieroe che, come altri a centinaia di migliaia, concluse la sua esistenza dopo aver percorso tutte le stazioni di una via Crucis fatta di angosce, di fame, di freddo, di paura, di pidocchi e di raccapriccio nelle trincee fangose e tra i reticolati dell’Ermada.

L’anonimato richiesto come requisito essenziale ad un caduto che doveva rappresentare tutti gli altri ha consentito a Zorzenon di farne un personaggio rappresentativo di una frazione, probabilmente maggioritaria, di quella generazione tirata a forza dentro la grande storia da una mobilitazione che aveva sottratto i giovani alla famiglia, alla morosa e al lavoro per scaraventarli dentro il tritacarne di una guerra di posizione, della quale non capivano il senso, le motivazioni e lo scopo. Come testimonia efficacemente lo stesso Segato: «sapevamo soltanto che si andava a crepare, non sapevamo né perché né perchì. Il capitano, forbendosi la lente, ci diceva per la patria. Ma non sapevo cosa voleva dire».

Della vita di Vittorio antecedente la chiamata alle armi sappiamo il poco che racconta direttamente lui. Non si sa da dove provenisse, anche se il cognome del padre adottivo fa pensare a qualche località del Triveneto («dalle nostre parti comandava la pellagra»), da una famiglia con troppe bocche da sfamare, una vita stentata ed oscura, che tuttavia gli si presentava alla mente con martellante assiduità nella trincea, ad accentuare la pena di quella sua nuova incomprensibile vita di combattente costantemente in bilico. Tra i morti e i pidocchi della prima linea – col “nemico” davanti e i carabinieri alle spalle – e le sbornie all’osteria o gli inconcludenti incontri in un casino delle retrovie si consuma la naja allucinata di Vittorio, nella rassegnata obbedienza a un ordine che non avrebbe mai potuto comprendere, proprio come capita alle bestie condotte al macello.

L’epilogo della vicenda umana di Vittorio lo coglie alfine in un suo momento di ribellione, ma interviene poi un ulteriore epilogo, che gli assegna per sempre un ruolo di antieroico testimone di una fase cruciale nella controversa storia del nostro Paese.

 

Nordio Zorzenon

Milite Ignoto

Abbot, Roma 2002

  1. 120, euro 11,00