Bloom nell’anno di Zeno

Celebrazioni dell’Ulisse nella città di Zeno Cosini

di Sabrina Di Monte

 

Il 16 giugno scorso si è celebrato a Trieste, così come in altre parti del mondo (Dublino, Zurigo, Parigi, Pola e non solo), il Bloomsday, giorno dedicato a James Joyce e così chiamato dal protagonista del suo capolavoro Ulysses, un’odissea moderna ambientata a Dublino in un’unica giornata, il 16 giugno 1904.

«Bloom nell’anno di Zeno»: Riccardo Cepach, direttore del Museo Svevo Joyce e direttore artistico della manifestazione, ha sintetizzato così la quattordicesima edizione della “festa per Joyce”. La coscienza di Zeno infatti quest’anno celebra il suo centenario, essendo stata pubblicata a Bologna nel 1923, un anno dopo la pubblicazione dell’Ulisse di Joyce a Parigi.

Da venerdì 16 giugno a domenica 18 giugno, su iniziativa del Servizio Biblioteche del Comune di Trieste, del Joyce Museum, dell’Università di Trieste e quest’anno per la prima volta anche dell’Ente del Turismo Irlandese, in varie parti della città sono stati organizzati spettacoli teatrali, conferenze, mostre d’arte, concerti, ma anche itinerari letterari, appuntamenti enogastronomici, colazioni immersive a tema joyciano e persino una partita di bocce, con ospiti di rilievo quali Enrico Terrinoni, Fabio Pedone e Alessandro Bergonzoni.

Quest’anno il festival ha approfondito il quindicesimo episodio dell’Ulisse, Circe, il capitolo più lungo di tutto il romanzo; una sorta di visionario e allucinato riassunto ambientato in un bordello della giornata trascorsa dai protagonisti Leopold Bloom e Stephen Dedalus prima del loro ritorno a casa.

In questa occasione, il legame tra l’opera di Joyce e Trieste, e in particolare tra Joyce e Svevo, è stato sottolineato da uno dei maggiori studiosi joyciani, Enrico Terrinoni, che sta lavorando ad una monografia dedicata al rapporto tra i due scrittori e alle loro reciproche influenze. Terrinoni è l’autore di una traduzione dell’Ulisse pubblicata nel 2012 dalla Newton Compton che ha riscosso grande successo di critica e di un’altra edizione, l’unica bilingue con il testo inglese a fronte, pubblicata da Bompiani nel 2021. Terrinoni ha anche tradotto, insieme a Fabio Pedone, il Finnegans Wake, l’ultima e più ambiziosa opera di James Joyce, dove il flusso di coscienza e la sperimentazione linguistica sono spinti all’estremo.

Chissà cosa avrebbe detto Joyce di tutto questo interesse che cresce di anno in anno intorno alla sua opera, e dell’entusiasmo con il quale i suoi lettori aspettano questa occasione, come fosse una ricorrenza religiosa con riti, luoghi che diventano mete di pellegrinaggio, piatti e abbigliamenti particolari. Lui che a Trieste sbarcava il lunario dando lezioni di inglese, spesso sfrattato per insolvenza, sempre in bolletta, e che faticò non poco a pubblicare i suoi lavori.

Ne La Coscienza di Zeno, Italo Svevo scrisse: «La vita non è né brutta né bella, ma è originale!». Originale davvero e imprevedibile è stata la parabola letteraria di entrambi, che si conobbero a Trieste nel 1907, quando Joyce aiutava il signor Ettore Schmitz a perfezionare il suo inglese. Durante quelle lezioni, i due, che possiamo immaginare ironici e complici, si scambiavano riflessioni sulla letteratura e su quello che avevano scritto: allora erano gli incontri tra un businessman triestino che pubblicava libri a proprie spese che nessuno leggeva e un giovane irlandese (Joyce aveva ventun anni meno di Svevo) colto e squattrinato, che amava frequentare le bettole e i bordelli della città, così come il teatro dell’opera e i grandi classici.

Oggi tra i grandi classici del Novecento ci sono proprio loro.

Il Bloomsday è ormai da anni un appuntamento attesissimo dai joyciani, che si riuniscono per celebrare lo scrittore irlandese e la sua opera anche indossando abiti edoardiani e cappellini di paglia mentre assistono a conferenze, spettacoli, ma anche eventi giocosi dove si parla di letteratura, si mangia, si beve, si ascolta musica, si ride, dimostrando quanto l’Ulisse predisponga all’ironia e all’allegria.

Di questo Joyce sarebbe probabilmente molto contento, lui che in un’intervista a Vanity Fair, una delle pochissime che concesse, si lamentò del fatto che molti non avessero capito quanto l’Ulisse fosse un libro comico.

Se potesse tornare fra noi anche per poco, sarebbe grato per iniziative come questa che restituiscono una maggiore accessibilità ad un testo che spesso rimane a fare bella mostra di sé negli scaffali delle librerie, che molti comprano ma poi non leggono perché troppo difficile. Perché diciamoci la verità, l’Ulisse non è solo comico, è anche e soprattutto un romanzo complesso, ricchissimo, pieno di riferimenti storici, letterari, biografici, filosofici, scientifici… È un testo enciclopedico, che per essere letto in originale ha bisogno del testo a fronte (e di questo saremmo eternamente grati a Terrinoni), di note, ma che al tempo stesso bisogna accettare di non capire del tutto, lasciandosi andare a giochi linguistici infiniti che coinvolgono decine di lingue, lasciandosi fluire, così come fluisce il pensiero dei personaggi; tenendo presente però che l’ironia e un umorismo spesso sottile e sardonico sono ovunque presenti.

Si sarebbe ritrovato a suo agio Joyce nell’atmosfera che si respirava alla bocciofila del popolare quartiere di San Giovanni, dove i joyciani sedevano davanti ad un bicchiere di birra accanto ad alcuni anziani che giocavano a carte, mentre Riccardo Cepach e Enrico Terrinoni si interrogavano sulla qualità e l’importanza dell’amicizia letteraria tra Svevo e Joyce e sugli elementi di reciproca influenza, scambiandosi giocosamente una bombetta quando era il proprio turno di parlare. Una bombetta simile a quella che Joyce indossa in una foto che (ormai è praticamente certo che si trattasse di lui) lo ritrae accanto a Svevo, nel campo di bocce di Villa Veneziani: unica fotografia in cui i due scrittori appaiono insieme.

Sarebbe stato bello che avesse potuto assistere ai giochi di parole acrobatici di Alessandro Bergonzoni, simili a quelli del suo Finnegans Wake, in un’atmosfera colta, profondamente umana, ma anche scanzonata, e che avesse potuto vedere chi sono gli intellettuali che lo traducono oggi, che lo studiano, che ne parlano e lo vivono senza ingessature accademiche. Probabilmente si sarebbe trovato del tutto a suo agio se li avesse potuto vedere con i loro capelli lunghi, i codini, i cappelli, il modo impegnato e allo stesso tempo dissacrante di fare cultura e di vivere la vita e l’impegno civile. Se avesse potuto farlo, siamo sicuri che li avrebbe ringraziati, per aver fatto uscire la sua opera dagli scaffali polverosi delle accademie e averla fatta avvicinare ad un pubblico più vasto. Lui, che regalò una delle prime copie di Ulysses al cameriere del suo ristorante parigino preferito perché lo leggesse e si divertisse.

 

Riccardo Cepach ed

Enrico Terrinoni

Bocciofila di San Giovanni

Trieste. 17 giugno 2023