Saksida a Muggia

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Il Museo Carà ha proposto una bella mostra sul fantastico mondo dell’artista di frontiera

di Walter Chiereghin

 

Per una felice iniziativa dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Muggia, il Museo d’arte Moderna “Ugo Carà” ha proposto, dallo scorso 3 dicembre al 29 gennaio la mostra “Piccole cose ma non troppo / Malenkosti, a tudi ne”, dedicata al surrealismo fiabesco di Rudolf Saksida (Gorizia, 1913-1984), esposizione curata da Jasna Merkù e Massimo Premuda, alla quale sono stati associati quattro eventi collaterali rivolti a un pubblico dai tre anni in poi, in parte nella stessa sede museale, in parte al Teatro Verdi della cittadina.

Inizialmente attivo come cartellonista, Saksida ha sviluppato in più direzioni una ricerca formale poliedrica e prolifica, operando anche in seno all’avanguardia futurista – su sollecitazione dell’amico Tullio Crali – e partecipando in tale ambito alla XXIII Biennale di Venezia del 1943, che segnò la fine del suo apprendistato di artista. Dopo la guerra, trascorsa in armi come ufficiale di artiglieria, iniziò alla fine del 1946 la sua carriera di insegnante di disegno che lo vide impegnato dapprima a Gorizia e quindi a Capodistria, da dove mantenne stretti contatti con la comunità artistica slovena di Trieste che lo favorirono con la partecipazione a iniziative espositive tanto nel capoluogo giuliano che a Lubiana. Nel 1956 Saksida si trasferì a Trieste, avendo trovato lavoro come insegnante di stenografia in città e come insegnante di disegno alle scuole di avviamento commerciale di Aurisina.

è proprio dal suo periodo capodistriano che prende le mosse il progetto espositivo realizzato presso il Museo Carà, organizzato secondo un percorso cronologico dalla metà degli anni Cinquanta alla metà dei Settanta che ha visto allineati una quarantina di oli, su tela o su tavola, di medie dimensioni. Come ha osservato Massimo Premuda, l’ambito temporale preso in esame dalla mostra « è senza dubbio il periodo più originale del suo percorso. Stilizzando le forme e appiattendo lo spazio, emergono le sue caratteristiche figure che dell’infanzia e del gioco conservano l’immediatezza dell’irriverenza. Bambini e bambine, ma anche spaventapasseri, marionette, maghi, ballerine, pagliacci e suonatori, e ancora tori, cavalli, gatti e tanti uccelli e oggetti volanti, dagli aerei di carta agli aquiloni, popolano i suoi quadri in città dai cieli verdi costruite con i cubetti di legno colorati. Le atmosfere surreali, magiche e misteriose, legate alla notte e ai cicli lunari, lo avvicinano al Realismo magico triestino, ma il respiro della sua pittura e dei temi affrontati lo fa distinguere come “il più europeo fra i pittori della nostra regione”, come lo definì lungimirantemente negli anni Ottanta il grande critico Giulio Montenero». Nel suo saggio per il catalogo dell’importante retrospettiva “Saksida pittore e cantastorie / Slikar pravličar” del 2014-2015, Joško Vetrih afferma che lo stesso Saksida ebbe a confessare «che durante la sua infanzia aveva sofferto molto per la mancanza dei giocattoli e aveva cercato rifugio nelle magiche atmosfere dei sogni ad occhi aperti. Sogni che anche in età adulta hanno continuato a stimolare la sua immaginazione, consentendogli di dare vita a quell’universo fantastico e surreale che costituisce la materia prima dei suoi dipinti negli anni del secondo dopoguerra: un mondo popolato da esseri misteriosi simili ad animali antropomorfi, a marionette o ad automi che si muovono irrequieti sullo sfondo di ambienti bizzarri e paesaggi inverosimili, e che a volte sono buoni e a volte cattivi ma non recano danno a nessuno».

L’esposizione muggesana esplora compiutamente il piccolo universo fantastico di Saksida, valendosi anche di alcune testimonianze della sua attività di illustratore di testi per l’infanzia, tra le quali, in particolare, le tavole originali a china su carta realizzate per Mali samouk / Piccolo autodidatta, scritto dal suo coetaneo Boris Pahor nel 1963, testo e illustrazioni su cui sarebbe opportuno ritornare in una successiva occasione, essendone purtroppo la lettura tuttora non accessibile ai lettori italiani.

“Piccole cose ma non troppo / Malenkosti, a tudi ne” si qualifica come un’iniziativa culturale di spessore, capace di offrire un opportuno approfondimento sull’attività di un artista di frontiera di rilievo, coerentemente con lo sviluppo di una linea di intervento che in ripetute occasioni ha disegnato nel tempo il profilo di una programmazione rivelatrice di un interesse verso il territorio nel quale opera il Museo Carà, eludendo le lusinghe di un mercato di mostre preconfezionate per perseguire una propria vocazione di crescita culturale del pubblico al quale intende rivolgersi.

 

Aquilone / Zmaj

olio su tavola, 1960