Le novelle dell’assedio

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Un immaginario Decamerone nella Trieste del Trecento

di Marina Silvestri

 

Il volume intitolato Del terribile assedio di Trieste da parte delli viniziani (Ibiskos Editrice Risolo) è una divertente rivisitazione della Trieste medioevale, già nel Trecento crocevia di mercanti e genti. Ambientazione perfetta per l’autore Ezio Berti (conosciuto per i libri su Massimiliano d’Asburgo) – che, nascondendosi dietro lo pseudonimo di Sine Nomine, – fa narrare a tale frate Aloisio da Pola, il rapimento di diciotto giovani dame e sei monache da parte del ricco saraceno Akhmad Akmar che le rinchiude nel castello di Moncolano (Contovello), offrendo loro una vita di agi a patto che ogni sera raccontino novelle licenziose, preludio alla notte da passare a turno con il principe moro, durante i mesi in cui Trieste subì l’assedio delle milizie veneziane guidate da Domenico Michiel, iniziato il 24 dicembre 1368, mentre le galee bloccavano la via del mare. Storia vera e finzione si mescolano in un sapiente affresco, tratto dallo studio di Giulio Caprin, Trecento a Trieste. «Trieste è un libero comune che aveva acquisito autonomia dal governo vescovile e aveva propri statuti – scrive lo storico cultore delle nostre vicende locali Renzo Arcon in uno dei suoi molti lavori sull’argomento, – la città era circondata da vicini potenti: il Patriarcato di Aquileia, i Conti di Gorizia e gli Asburgo e cercava di mantenersi autonoma con alleanze variabili. Venezia dominava il mare. Agli inizi del 1200 la IV crociata comandata dal Doge Dandolo era passata per Trieste. A Trieste si alternavano podestà friulani e veneti a seconda degli equilibri politici, nel Trecento era all’apice del suo benessere economico. Nel 1367 i triestini scelsero un podestà friulano e rifiutarono di ricevere il vessillo di San Marco; nel luglio del 1368 una nave triestina venne sequestrata dei veneziani nei pressi del castello di Duino. I triestini insorsero e liberarono la nave. Venezia rispose con la guerra. Il 24 dicembre arrivò la flotta guidata da Creso da Molino e da terra le milizie alla guida di Domenico Michiel. Oltre a Trieste c’erano due piazzeforti il castello di Moccò e quello di Moncolano (Contovello) che dominava la strada che proveniva dal Friuli e da Gorizia. I triestini resistettero a lungo, undici mesi tanto che Michiel fu richiamato per incapacità e sostituito, l’assedio continuò e Trieste venne presa per fame.» Queste le vicende reali di quell’anno terribile per la città. E durante i lunghi giorni dell’assedio scappati a li ‘ngordi viniziani’ (non alla peste come nel Decamerone di Boccaccio) i novellatori, anzi le novellatrici, ci restituiscono racconti di donne e uomini travolti dalla passione, di ‘imprese’ amorose e beffe alle spalle del ‘cornuto’ di turno, identificabile dalle corna appese sul portone di casa.

Akhmad Akmar il principe saraceno che ha rapito le giovani è noto come “l’undicesimo novellatore” (l’autore Ezio Berti, ne aveva parlato in un libro pubblicato anni addietro) a cui apparterrebbero sette novelle scartate dal Boccaccio nella stesura finale del Decamerone, testo di riferimento per Berti che ne trae lo spunto per una colta e scanzonata prosa d’invenzione nella lingua italiana delle origini: il volgare. Anche gli argomenti si richiamano agli autori che hanno ‘fatto’ la lingua, dal Duecento al Cinquecento, nonché ai classici greci e latini: Cecco Angiolieri, Francesco da Barberino, Pietro Aretino, ed anche ad Aristofane, Plauto, Ovidio, e ai cicli cavallereschi. Ogni pagina è chiosata da note a margine di un altrettanto immaginario commentatore mentre i nomi dei protagonisti sono un divertente campionario di personaggi di fantasia, che rimandano però a membri di famiglie patrizie e plebee e ad ecclesiastici che si trovano realmente nei registri del libero comune che quattordici anni dopo si sarebbe dato in dedizione a Leopoldo III d’Asburgo. Domina la scrittura d’invenzione di Berti e la metafora o meglio la ‘metafora erotica’. Molto diffusa nel volgare del Due e Trecento, rispecchia la necessità per gli uomini di cultura di liberarsi dal latino, dalla lingua aulica e curiale, e il voler essere rivoluzionari non solo la scrittura, ma anche nei contenuti. Gli psicolinguisti che hanno studiato in tal senso l’origine della lingua italiana e delle lingue romanze hanno evidenziato che non a caso le metafore sono proprie dei Paesi dove dominava una chiesa cattolica sessuofobica e repressiva. Essendo il sesso un tabù, la censura scatenava l’invenzione linguistica, l’allusione, l’eufemismo, ed era allo stesso tempo gioiosa descrizione di un mondo arcaico pagano ancora ben presente nell’immaginario della popolazione. Dice frate Aloisio che raccoglie le memorie di ciò che accade durante l’assedio e consiglia le recluse: «Donne, a voi non è imposto d’operar disonestamente contro la volontà vostra per dare diletto a lui, ma solo di ragionar con animo libero secondo la vostra natura femminile: lo tempo d’oggi è tale che ogni ragionare è licito. Or non sapete voi che, per la perversità di questa guerra, li giudici hanno lasciato li tribunali, le leggi tacciono, così le divine cose umane, e ampia licenza per conservar la vita è conceduta a ciascheduno, a tal punto che nell’istessa vostra amata città di Trieste li novantotto militi corsi in aiuto han licenzia di prendersi buon tempo con altrettante donne triestine acconciamente apparecchiate alli lor voleri, mentre che l’ignari mariti di notte se ne stan armati sopra le mura? Per cui, se alquanto s’allarga lo vostro pudore nel favellare, niuno vi potrà nell’avvenire biasimare. La vostra onestà è tale, quale non credo che ragionamenti solazzevoli e licenziosi possano smagare.» La lettura del libro di Berti è un piacere intellettuale nella sua architettura e nel suo lessico; storie nelle storie, ma anche un filo conduttore che unisce le diverse novelle e alla fine del testo fa emergere l’amore vero in tutta la sua potenza, riscatto per colui, il principe libertino, che pensava le donne fossero solo uno strumento del suo piacere, e invece s’innamora, e dalla donna amata viene trasformato.

 

Sine nomine

(Ezio Berti)

Del terribile assedio di Trieste

da parte delli viniziani

Ibiskos Risolo editore, Empoli 2016

  1. 408 euro 15,00