Bobi Bazlen, pressapoco

| | |

In un volume di Cristina Battocletti

Il biografico come sostituto scialbo e pettegolo della cultura

di Fulvio Senardi

 

Non è senza un brivido di trepidazione che un lettore triestino si avvicina a libri che promettono di guidarlo alla scoperta delle anime (molteplici) o delle ombre (più o meno torbide) della sua città. Tormentato dalla frustrazione per la poca considerazione di cui gode ad ogni livello l’identità giuliana (docet la diffusa formula: Trieste capitale del Frìuli, con accento, è ovvio, sulla “i”; e risuona ancora nelle orecchie: Monfalcone “cittadina friulana”, come ha affermato il peraltro amabile Gentiloni, ecc.), si getta come l’assetato al pozzo di un’oasi su tutto ciò che gli parla dei valori a lui cari. Dei quali anche chi dovrebbe farsene istituzionalmente garante, gli enti preposti di Comune e Regione, poco sa e nulla cura.

Vede dunque arrivare sugli scaffali un libro dedicato a Bobi Bazlen, il più enigmatico e sfuggente degli intellettuali triestini dell’epoca d’oro della città, ne legge le lodi sulla stampa (“il romanzo di una vita, non solo di quella di Bobi, ma di tutto il mondo che lo circonda, di cui egli è il filo che cuce e collega numerose figure”, M. Belpoliti; “impasto narrativo capace di raccontare senza tradire, di definire senza tagliare”, lavoro insieme “formidabile e rischioso”, G. Giossi; “un viaggio attento al dettaglio, tra epistolari inediti – sorprendenti ritrovi di passeggiate nell’intimità delle persone – e notevoli intuizioni culturali”, E. Commessatti), lo sa presentato da intellettuali di spicco e già immagina allora la splendida occasione di confronto culturale. Ebbene, nulla di più ingannevole del conformistico battage: libro alla mano svanisce l’illusione di una lettura nutriente, sostituita da un sentimento fin troppo consueto, il fastidio (che ingenuità, nel Paese del de-merito e della cultura ridotta a evento-spettacolo!) per il solito gioco di specchi di caste autoreferenziali e tanto condiscendenti verso i propri membri quanto impermeabili da fuori.

Purtroppo, per scrivere in modo appropriato del Bazlen di Cristina Battocletti (Bobi Bazlen – L’ombra di Trieste) bisogna, sfidando la pazienza dei lettori, sottrarsi alla camicia di Nesso del giornalismo cosiddetto culturale, che impone recensioni svelte, anzi, sommarie (e se possibile adrenaliniche) dove il giudizio non trova possibilità di riscontro (aprendo dunque la strada alle intenzionalità più premeditate e inconfessabili), per fare invece, oh la terribile formula che profila lungaggini e noia!, una puntigliosa analisi del testo. Iniziando come previsto dagli stessi criteri interpretativi dell’autrice che avverte l’esigenza che “per capire Bazlen bisogna partire da Trieste”(p. 282). Una città dove Maria Teresa aveva “deciso di investire”, “dando ordine di sventrare la città vecchia” (p. 33), cosa mai successa perché il quartiere detto “borgo teresiano” si edifica sulle vecchie saline, e uno “sventramento” di Città Vecchia ha luogo soltanto negli anni Trenta del Novecento; Trieste non “sventrata” dunque dall’Imperatrice, ma comunque epicentro di grandi drammi storici: sopra il suo cielo “si stava tessendo intanto una cappa di zinco arroventata: da una parte D’Annunzio capeggiava gli irredentisti e con urla barocche rivendicava l’italianità di quell’avamposto asburgico” (p. 37). Occorre commentare? Un passo storiograficamente alquanto spregiudicato, oltre che, linguisticamente parlando, piuttosto marinista (“sudati o fochi a preparar metalli”…).

E Bobi? “Bobi era irredento nonostante avesse frequentato […] il K. K. Staatsgymnasium di piazza Lipsia, ora piazza Hortis, dove era iscritta la meglio gioventù triestina” (p. 35): e noi ignorantoni che pensavamo fosse invece il Liceo Ginnasio Comunale, ora Liceo Dante! Comunque, e qui siamo a un garbuglio logico e storiografico che minaccia di turbarci le notti, “a metà dell’anno scolastico 1917-18, quando la rottura fra Austria e Italia fu chiara a prescindere dall’esito della guerra, lo Staatsgymnasium chiuse i battenti ancora prima dell’11 novembre, la fine del conflitto”: dunque Italia e Austria erano rimaste amiche e strettamente legate nonostante la guerra che le opponeva? Ed è l’11 novembre la data che segna la fine della guerra, non l’armistizio di villa Giusti, il 3 di quello stesso mese?

Molto utile ad ogni modo la scuola tedesca: oltre all’insegnamento linguistico aveva creato un nucleo di importanti amicizie, “un gruppo di impareggiabili gagà di grande intelletto, tutti militesenti perché l’Austria dispensava i giovani triestini dall’obbligo di leva” (p. 56). In effetti, fino ad Ottocento inoltrato, ciò è stato vero; poi il privilegio venne cancellato. Oberdan si sottrasse alla leva asburgica fuggendo in Italia nel 1878, Italo Svevo presterà invece servizio nel 1885. Basterebbe quest’ultimo nome per far capire la grande vocazione letteraria della città giuliana: Scipio Slataper, uno dei grandi della sua generazione, prima di morire sul fronte goriziano, “aveva già scritto quel piccolo compendio di letteratura che era Il mio Carso” (p. 41). Eppure non tutti erano a Trieste scrittori compiuti: ad alcuni di loro era necessario un aiutino: “Umberto [Saba], che non tollerava mai nessuno in casa, aveva accettato la presenza di Bobi, che un po’ istruiva la figlia, un po’ lo aiutava a completare i propri versi” (p. 101). Si stenta a crederlo, leggendo le poesie di Bazlen che Battocletti cita, ma chi potrebbe mai dire! “Il giovane Umberto”, spiega ancora l’autrice, “fu iscritto al prestigioso ginnasio Dante” (p. 93), che divenne però tale solo una ventina d’anni dopo che Saba l’aveva lasciato. Mentre Linuccia, la figlia, “forse a causa delle leggi razziali, si era ritirata dalle ‘scuole cittadine’ di via Rismondo” (p. 95). Caso curioso: le leggi razziali risalgono al 1938, quando Linuccia era ormai ventottenne. Incallita ripetente dunque.

A questo punto siamo a ridosso di pagina 100, ed è il momento di interrompere l’analisi. Perseverare sarebbe diabolico. Ammetto che ci troviamo nella parte più complessa del libro (ma le “perle nere” non stanno solo qui), quella che prevede la capacità di uno sguardo d’insieme di prospettiva storico-culturale e non soltanto, come le sezioni che seguono, un taglia e cuci dell’epistolario (in gran parte inedito, va detto in tutta onestà), con qualche commento, e talvolta azzeccato, della curatrice. Ad ogni modo, nei rimanenti due terzi del libro, troppe girandole di nomi, troppe divagazioni stiracchiate, troppe faccende di letto (alla faccia della “sublimazione” freudiana), troppi particolari oziosi (importa veramente sapere che Gina Tossi, domestica di Montale, preparava la zuppa di cavolo nero e pan cotto?), e qualche piacevole, ma aneddotico excursus sulle relazioni amicali di Bobi (Quarantotti Gambini e Mattioni).

È proprio la cultura assimilata e irradiata da Bazlen che manca però d’approfondimento, visto che si sceglie di muoversi sul piano facile delle lettere, invece di ascendere su quello impervio delle opere e del pensiero (Le lettere editoriali, Le note senza testo, Il capitano di lungo corso). Il biografico, con qualche infiorettatura (la psicoanalisi, per es.) come sostituto scialbo e pettegolo della cultura. Battocletti sembra rendersene conto, tanto che chiude il volume (corredato per altro da una bibliografia monumentale e da un indice dei nomi, come nei saggi veri) con un repertorio bazleniano in ordine alfabetico, che più che aggiungere duplica, con uno sgradevole effetto di saturazione.

Insomma, con parole di Giuseppe Marcenaro, uno dei pochi che ha osato dire (ma siamo a questo punto in Italia?) ciò che questo libro veramente è: “Roberto Bazlen non sta qui”. Per altro Battocletti ha qualche freccia al suo arco: godibili le descrizioni di volti, luoghi, fotografie. Un talento, non se la prenda, che la destinerebbe alla rubrica delle cronache mondane. Per nulla svilente, se pensiamo al D’Annunzio collaboratore della Tribuna di Roma. Intanto – chiedo scusa ai molti amici giornalisti che stimo per la preparazione e la probità e a Longanesi cui rubo la parola – si confonde nella schiera di coloro che spiegano benissimo (ma neanche poi tanto) ciò che non sanno.

 

Copertina:

 

Cristina Battocletti

Bobi Bazlen. L’ombra di Trieste

La nave di Teseo, Milano 2017

  1. 392, euro 19.50