Bullizziamo il bullismo

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In un romanzo di Andrea Franzoso storia di un bulletto che rischia di finire male, ma…

di Anna Calonico

 

Il bullismo non è un fenomeno recente, ma solo negli ultimi anni si è cominciato a parlarne frequentemente e a considerarlo un grave problema.

C’è sempre stato, e quindi si era forse “abituati” (l’essere umano si abitua a qualsiasi cosa, nel bene e nel male), forse l’abitudine lo faceva sembrare una cosa normale, come è normale crescere.

Quindi, crescere era, normalmente, fare i bulli o venire tormentati dai bulli.

Uso un tempo al passato perché forse un giorno le scuole non faranno più paura a tutti quegli studenti un po’ fragili, fisicamente o caratterialmente, e se questo succederà sarà anche merito dell’impegno di tante persone che cercano, con le loro testimonianze e i loro ammonimenti, di mettere in evidenza una piaga sociale che, avanzo un’altra ipotesi, non veniva evidenziata perché non è “roba da grandi”.

L’ennesima testimonianza è un romanzo per ragazzi scritto da Andrea Franzoso che si intitola Ero un bullo. La vera storia di Daniel Zaccaro.

Cominciamo dall’inizio, presentando prima l’autore e poi il protagonista. Il milanese Andrea Franzoso attualmente si occupa di educazione civica per i ragazzi, dalle scuole primarie alle superiori, ma in passato ha vissuto esperienze molteplici e differenti. Sempre per i tipi della DeAgostini ha pubblicato altri due libri: Viva la costituzione e Disobbediente! Essere onesti è la vera rivoluzione, entrambi, come si può intuire, a carattere sociale.

Anche Daniel Zaccaro è milanese, e anche lui ha avuto una vita movimentata. Purtroppo per lui, però, le esperienze passate comprendono violenza, rapine, carcere, botte date (tante) e botte ricevute (abbastanza). Ora, educatore alla comunità Kayròs, gira le scuole per raccontare ai ragazzi quella giovinezza burrascosa e spiegare come ne è uscito.

La medesima storia che possiamo leggere in Ero un bullo.

L’inizio potrebbe anche far sorridere, se non si pensa che si tratta di una storia vera: allagare i bagni della scuola, per esempio, assomiglia molto alle marachelle di Gianburrasca o di Tom Sawyer. Ma se fossimo noi l’insegnante che si trova di fronte ad un simile misfatto non potremmo fare altro che chiamare il Tom di turno “piccolo delinquente”. Infatti, Daniel diventa veramente un “piccolo delinquente” e in breve tempo passa dal bullizzare i ragazzi a rubare i motorini, e via via fino alla prima rapina in banca.

A quel punto ha ancora la capacità di provare rimorsi, di sentirsi in colpa, di vergognarsi. Ma dura poco, perché scopre che con tutti quei soldi può comperare tutto ciò che desiderava, fare bellissimi regali alla sua ragazza, e farsi splendido con amici, conoscenti e chiunque altro. Dopo la prima rapina arrivano le altre, e l’inevitabile arresto. Una parte di Daniel pensa che non sia un grosso problema, ma che anzi essere stato in carcere possa dargli più prestigio una volta uscito. Perché la questione sta tutta qui: bisogna farsi vedere, e per farsi vedere bisogna avere: abiti firmati, auto, ragazze, fama, una fama che incute soggezione in modo da avere il mondo ai piedi.

Non racconterò ulteriormente i vari episodi e sentimenti della storia, visto che tra l’altro sappiamo già il finale: alla fine Daniel ce l’ha fatta a cambiare, e ha bandito dalla sua vita la violenza e le bravate.

Come protagonista del romanzo, bisogna dire che non è stato sempre un personaggio simpatico, anzi! Se alcuni “scherzi” ci fanno sorridere, altre parti ci fanno arrabbiare e sdegnare, ci fanno scrollare la testa perché “Così non si fa!”. Ma ci sono anche dei momenti in cui il ragazzino ci fa pena e riusciamo ad immedesimarci in lui: «Non c’è una scuola che mi ha formato a questo mondo. / Non c’è un adulto che c’è stato sino in fondo. / Non c’è un sistema che mi ha aiutato.” Il rap sembrava descrivere perfettamente la realtà intorno a loro. E le parole che usava erano tutte quelle che a Daniel erano mancate per provare a dire cosa aveva dentro» (p.49).

Personalmente, mi sono ritrovata in queste parole, tratte da una canzone rap di cui nemmeno conoscevo l’esistenza, e sono sicura che ci si ritrovano centinaia di adolescenti perché la musica, a quell’età, è veramente l’unica in grado di capire che cosa bolle nel cuore e nel cervello e nel corpo tutto di un ragazzo.

Mi ha fatto ancora più pena quando, nel racconto iniziale della partita più importante della sua vita, l’emozione di rendere orgoglioso suo padre gli fa perdere un’occasione d’oro per segnare e per rimanere a giocare in una squadra di serie A. Ma non ci importa dell’Inter: il problema è la pessima reazione del padre.

Con questa premessa, è ovvio che in certi momenti si fatica a porsi contro il protagonista senza provare almeno per un attimo un senso di dispiacere e sconforto: lo si vorrebbe aiutare, si vorrebbe fargli capire quanto lui stesso dice alla fine del libro: «La violenza è un segno della povertà di pensiero: è l’espressione di chi non sa comunicare in altro modo. Quando non sapevo chiamare con il loro nome il dolore e la rabbia che provavo mi scatenavo, un po’ come una bestia…» (p.225).

Esattamente lo stesso concetto della musica: qualcosa di forte tormenta i ragazzi e non lo sanno esprimere. Si consolano con la musica, oppure cercano di superare il male facendolo.

Devo ammettere, infine, che ci sono momenti in cui invece, Daniel è quasi patetico. Questo dipende dalla resa forse troppo semplificata dello scrittore che vuole mostrarci come il ragazzo sta cambiando, e in alcuni punti ho trovato il racconto un pochino banale e stereotipato. Non metto in dubbio che sia andata veramente così, ma come lettura sembrava di essere finiti improvvisamente nel libro Cuore: certo in Daniel ci sono sentimenti contrastanti, ma i cambi repentini e le parole esageratamente ottimistiche e benevole non sempre si addicono al personaggio di poche righe più sopra.

Non me ne voglia l’autore se ho trovato la sua prosa saltuariamente leziosa e noiosa: resto dell’idea che il suo libro sia un’ottima lettura per le scuole, e sicuramente gli insegnanti potrebbero organizzare ottime discussioni, anche prendendo ad esempio pagine letterariamente non spettacolari.

Del resto, ci troviamo di fronte all’annoso dilemma della letteratura per ragazzi: cosa è più importante? La storia? Lo stile? Gli insegnamenti morali?

Anche questo potrebbe essere argomento di riflessione in classe, dato che l’opera è consigliata per un’età superiore agli 11, 12 anni. Credo che la possibilità di trovare spunti su cui confrontarsi sia appunto il pregio migliore del libro, in modo da poter usare le parole per tanti argomenti, e imparare quindi ad esprimersi, imparare a trovare quelle parole che si hanno dentro ma che sembrano uscire soltanto con i versi delle canzoni o con i pugni.

Si può parlare di bullismo, di musica, di incapacità di comunicare, di scelte comportamentali a scuola, o in ambito sentimentale, o nei confronti della società. Si può discutere di carcere, di comunità, di religione e di letteratura. Ci si può esprimere sugli adulti, spesso così lontani da noi quanto più ci dovrebbero essere vicini; o di amici, che a volte ci sono così fedeli da seguirci non in capo al mondo ma nelle stupidaggini più grandi.

 

 

 

 

Andrea Franzoso

Ero un bullo. La vera storia

di Daniel Zaccaro

DeAgostini, Milano 2022

pp 256, euro 13,90