Leggere Bartol, tutto, è permesso? Prosim

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di Riccardo Cepach

 

«Niente è reale. Tutto è permesso». Non è una dottrina per tutti quella che il veglio della montagna, Hasan-i Sabbah, l’affascinante protagonista del romanzo Alamut di Vladimir Bartol, pone al centro esoterico del suo sistema, nel punto in cui può sorreggere tutta la complessa impalcatura del suo agire. Perché, certo, l’illimitata libertà del secondo termine lusinga e gonfia il nostro spirito di indipendenza, ma il primo screma ed elegge i pochi cui questa dottrina è destinata: coloro che, niccianamente, hanno il coraggio di affrontare l’assenza del senso, di ogni preordinata verità; superuomini, insomma, che al centro vuoto delle credenze di ieri sanno porre sé stessi e i loro non effimeri obiettivi.

E questo è Alamut, signori, uno dei più ricchi, immaginosi, stratificati e avvincenti romanzi scritti da un romanziere nato a Trieste (nel 1903, a San Giovanni), capace di disseminare significati filosofici, storici e psicologici mai banali in un testo avventuroso e avvincente dalle grandi qualità visive. Dopo l’11 settembre 2001 Alamut è stato detto addirittura profetico, per aver parlato di azioni terroristiche suicide di ambito musulmano con largo anticipo. E se quella è la prima delle date che, in tempi recenti, hanno segnato la riscoperta e la fortuna mondiale di questo romanzo pubblicato originariamente nel 1938 a Lubiana, la seconda è il 2007, dieci anni fa, quando una delle aziende leader mondiali nella produzione di videogiochi, la Ubisoft di Montreal, pubblica il primo titolo della fortunata serie Assassin’s Creed, dichiaratamente ispirata alla pagine di Alamut. Il credo degli assassini, nel gioco, è appunto quello del “veglio della montagna” Hasan. Il mio credo, di lettore professionale e critico, è invece che un’opera letteraria tanto più è viva quanto più continua a essere letta, chiaro, ma anche quanto più è fonte di ispirazione per altri scrittori e artisti, di ogni tipo. Il che significa che Vladimir Bartol è oggi uno degli scrittori triestini più famosi al mondo.

Ha Trieste, patria di cotanto autore, celebrato come meritava questo suo figlio nella recente occasione del cinquantesimo anniversario dalla sua morte, avvenuta il 12 settembre del 1967? Probabilmente non del tutto. Diciamolo perché va detto. E ne sappiamo anche – hai voglia! – i motivi, ancora e sempre legati alla distanza fra le due anime della città, italiana e slovena, al mancato riconoscimento di un’identità comune, a ritardi culturali e storici ancora non colmati. Tutto vero. Ma fermiamoci qui stavolta. Facciamo che invece di intonare di nuovo il lamento ormai antico guardiamo a quello che è stato fatto e si sta facendo, a quanto è già cambiato e sta cambiando. Facciamolo per rispetto a Bartol che di questa vicenda è una delle vittime più illustri: troppo triestino, cosmopolita e borghese e quindi poco realista-socialista e smrtfascista per gli uni, troppo s’ciavo, lubianese, filoyugoslavo, storicista e, paradossalmente, engagé per gli altri. Chi ci ha perso? Lui. E noi lettori. Tempo di voltare pagina.

Il 12 settembre 2017 Bartol è stato ricordato in uno dei luoghi deputati della memoria letteraria a Trieste, il Museo Sveviano, dove Fabrizio Foschini, studioso di Storia e Istituzioni dell’Asia e dell’Africa ed esperto dell’ismaelismo, la corrente dell’islam sciita cui appartenevano i seguaci di Hasan-i Sabbah, ci ha condotto alle origini storiche del mito degli assassini (vedi articolo successivo). E se il meteo non ci ha consentito di prendere parte all’itinerario dei luoghi bartoliani a San Giovanni, organizzato dallo Slovenski klub e dal Gruppo 85 – Skupina 85, nulla ha fermato le testimonianze spontanee dei lettori che hanno preso parte all’incontro Lo sloveno con Empatia – Slovenščina z empatijo coordinato da Elena Cerkvenič nell’ambito del festival della cultura slovena Slofest il giorno 15, né, il giorno successivo, la presentazione della imminente traduzione italiana delle prose umoristiche triestine (Tržaške humoreske) ambientate nel periodo del Governo Militare Alleato, di cui Patrizia Vascotto, Piero Purič-Purini e Massimiliano Schiozzi ci hanno presentato i protagonisti: le figure di Ettore Mangialupi, il focoso trapoler meridionale “naturalizzato triestino”, Jakomin Pertot, timido e impacciato giornalista sloveno, alter ego dell’autore, e la leggera, angiolinesca (se mi passate il termine sveviano), bellissima Amoretta, con le sue gambe mozzafiato assicurate per un milione di lire. Un Bartol tutto diverso da quello alamutiano, satirico e contemporaneo, che fa contare i giorni a chi, come me, ama lo scrittore e non legge lo sloveno. Hvala.