CANDIDATURE POCO CANDIDE

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Hanno superato il limite del grottesco, in particolare a Roma e a Napoli, le vicende della scelta dei candidati sindaco in queste settimane.

Da un lato le vicende del centro-destra, che evidenziano la crisi di leadership in quell’area politica, dove non c’è più un padre-padrone che, con scelta autocratica, impone a elettori e alleati un personaggio a sua insindacabile scelta. La riesumazione di un preteso “tecnico prestato alla politica”, che è anche un vecchio arnese della nomenklatura berlusconiana (per di più implicato in una serie d’indagini della magistratura su vicende di corruzione) ha dato avvio a una commedia all’italiana di pseudo primarie prive di effetti pratici, di asserite conferme nei gazebo, che hanno implicato soltanto la nascita di un orrendo neologismo, senza minimamente risolvere la questione di identificare una candidatura credibile e decentemente presentabile all’elettorato.

Sull’altro versante, la falsificazione a Roma dei dati di affluenza alle urne delle primarie, mentre a Napoli i risultati sono stati viziati dalla documentata compravendita (a basso costo) di preferenze che, visto il ristretto margine tra la candidata pretesa vincitrice e il primo dei non eletti, potrebbe anche aver sovvertito il voto espresso da chi si è recato a votare senza alcun rimborso. Il tutto appesantito dall’esplicita volontà da parte dei dirigenti nazionali del Pd di “metterci una pietra sopra”, pronunciandosi con valutazioni assolutorie espresse prima ancora che gli organi statutariamente incaricati del controllo esprimessero il loro giudizio, peraltro prontamente allineato. Tutto ciò, sommato pure all’ampia partecipazione di elettori cinesi a Milano, ha finito per compromettere la credibilità di uno strumento democratico di selezione della dirigenza del partito e della coalizione che pure in altri tempi o anche in altri luoghi (per esempio a Trieste) ha invece concorso ad avvicinare i cittadini all’amministrazione della cosa pubblica e non a respingerli su posizioni di preconcetta antipolitica.

Sul versante pentastellato, infine, i meccanismi di selezione sono altrettanto criticabili, ove si pensi che il candidato sindaco (che ha poi rinunciato) per una città come Milano è stato espressione di qualche dozzina appena di preferenze.

Tutto ciò aggiunge discredito ai partiti e al sistema di selezione dei suoi rappresentanti, discredito del quale non si sentiva affatto la necessità, ma in questo caso non si può fare spallucce e affermare che è un problema loro: coinvolti siamo, volenti o nolenti, tutti quanti, perché delle scelte spesso bizzarre che vengono compiute in materia di selezione del personale politico porteremo poi, per anni, le conseguenze dirette e indirette.

Come si sia giunti a questo punto e quali strumenti si possano individuare per poterne uscire dovrebbe essere materia di un serio approfondimento culturale.

La legge che ha istituito l’elezione diretta dei sindaci ha implicato, è vero, una maggiore governabilità degli enti locali, ma ha posto i partiti nella necessità di ricercare candidati che avessero in precedenza acquisito visibilità in ambiti distinti e spesso lontanissimi dalla politica, in sintonia anche con le litanie martellanti contro i “professionisti della politica”. Il parziale svuotamento delle prerogative dei consigli comunali ha fatto il resto, sì da ridurre progressivamente le possibilità per i giovani di poter procedere a percorsi specifici in ambito politico e amministrativo che avessero anche, com’era a suo tempo, una forte valenza formativa.

Un sistema basato su elezioni primarie istituzionali, regolamentate dalla legge e sottratte all’arbitrio dei partiti potrebbe costituire una parziale soluzione, se non vogliamo lasciare ai vertici dei partiti – come fa la legge elettorale per la Camera fortemente voluta dal governo – la scelta del personale politico, reclutato, come fatalmente avverrà, sulla base dell’unico requisito della fedeltà ai capi. Nella speranza che almeno i sindaci siano eletti e non nominati, grazie a un potere che procede dall’alto verso il basso, come nei sistemi feudali.