Carducci e il mondo tedesco

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di Fulvio Senardi

 

Si è concluso il 24 settembre, nell’ospitale saletta della Accademia di Merano, un incontro di due giornate sul tema: Tra ammirazione e conflitto. Carducci e il mondo tedesco. L’iniziativa che si è svolta sotto la direzione scientifica di John Butcher e Alberto Brambilla, studioso ben noto a Trieste per le sue ricerche sulla letteratura e l’Irredentismo, ha potuto avvalersi del supporto logistico del personale dell’Accademia, efficiente e disponibile, e ha riunito una quindicina di relatori, impegnati a sondare i rapporti tra Carducci e il mondo tedesco: tema cruciale, come si può intuire, anche perché è sicuramente grazie alla diffusione dell’opera carducciana nei Paesi di lingua tedesca che l’Accademia di Stoccolma, i cui membri giurati conoscevano senza dubbio il tedesco e il francese, ma probabilmente poco l’italiano, decise l’assegnazione (che ebbe, tra gli altri fautori, anche l’appoggio significativo, forse decisivo, di Carl Bildt, ambasciatore svedese a Roma dal 1905 al 1920, oltre che storico dilettante, il quale protestò duramente quando gli accademici mostrarono, in un primo momento, di volersi orientare verso Fogazzaro).

E, aggiungiamo, fu proprio un tedesco, Theodor Mommsen, storico e filologo, vincitore lui stesso del Nobel nel 1902, a patrocinare l’italiano, di cui apprezzava – come i giurati svedesi per altro – la torsione classicista, tratto caratteristico fin dagli esordi del Carducci poeta, perfino accentuato nella fase “barbara” (il versante dell’opera carducciana che, a giudicare dalla motivazione del Premio, più favorevolmente impressionò all’estero, e di cui fu lo stesso Mommsen – che aveva compreso sette Odi barbare, nel mannello di poesie tradotte in tedesco nel 1879 insieme al genero von Millanowitz-Moellendorf – con Julien Lugol, Odes Barbare 1888 e Hector Lacoche, Odes Barbares 1894, per la Francia, tra i massimi “ambasciatori” europei).

All’incontro di Merano hanno partecipato studiosi di lungo corso del Carducci – Brambilla, Lucchini, Spaggiari, Oliva, solo per fare qualche nome (l’elenco completo si legge al sito: www.meran.academy) – garantendone l’alta qualità.

Aprendo il simposio, Giovanna Cordibella ha indicato, per così dire, i punti di riferimento di un percorso interpretativo che ha l’ambizione di mettere in rilievo la statura di Carducci come classico della Weltliteratur (la “letteratura universale”, con espressione goethiana), un aspetto che in Italia abbiamo un po’ dimenticato, a rimorchio di una tradizione critica che probabilmente ha troppo ridimensionato la figura del poeta scivolato quasi ai margini del canone letterario (anche per ragioni ideologiche: l’intellettuale “crispino”, il repubblicano convertitosi alla Monarchia, l’anti-socialista, ecc.). Ma che perfino Nietzsche, prima di precipitare nei cupi abissi della follia, avesse pensato a Carducci come possibile interprete italiano della propria opera – lo testimonia un abbozzo di lettera che il filosofo non completò e non inviò, e su cui ha richiamato l’attenzione Cordibella – dimostra quanta stima coltivassero i letterati a nord delle Alpi per il «Vate d’Italia».

Chi scrive ha rinfrescato il ricordo, quasi totalmente cancellato, di un intellettuale triestino, Federico Sternberg (1886-1938), fra gli allievi prediletti di Giovanni Pascoli a Bologna, che non solo dà alle stampe a Trieste, nel 1910, la sua tesi di laurea bolognese dedicata alla Poesia neoclassica tedesca e le odi barbare di Giosuè Carducci, ma è il primo in assoluto a tradurre integralmente in tedesco i due primi libri delle Odi barbare (Heidelberg, 1913), firmandosi in questo caso Fritz Sternberg (e da qui il passo falso dei catalogatori che nell’OPAC nazionale hanno inserito il volume nella lista delle opere dell’omonimo politologo tedesco, favorendone l’oblio).