Caroll Rosso Cicogna e l’icona

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di Enzo Santese

 

Nata a Bruxelles da padre statunitense e madre belga, vive tra Nizza e Trieste e perciò è l’effettivo punto di contatto tra le due realtà che si confrontano sulla base delle rispettive peculiarità multiculturali; così è avvenuto con il progetto “Costa azzurra cosmopolita”, che Caroll Rosso Cicogna ha curato nel contesto della Biennale Donna 2019 al Magazzino 26 a Trieste.

Si dedica da tempo alla pittura d’ispirazione sacra; la sua formazione prende l’avvio da maestri riconosciuti della tradizione iconografica e miniaturistica. Gli esiti più recenti della sua ricerca nascono da due tensioni convergenti: quella della figura e quella dell’astrazione che, pur distinte anche formalmente nell’opera, dialogano in armonia spirituale tra loro. Tutto avviene secondo i canoni classici che precedono l’utilizzo della foglia d’oro in combinazione coi colori squillanti e luminosi del contesto. L’arte di Rosso Cicogna si nutre profondamente di una cultura della tradizione, che sa interpretare alla luce di una fine sensibilità e ricreare in contesti di affascinante connessione con le frequenze di una contemporaneità capace di ridurre le distanze tra passato e presente con i temi trattati; il tutto lungo un tragitto concettuale arricchito da tecnica raffinatissima.

Il suo percorso attraversa anni di applicazione seria, con cui si è mossa dall’aderenza al dettato dei testi sacri fino agli esiti espressivi odierni, dove la tradizione, grazie a raffinate soluzioni compositive, si armonizza con i tratti peculiari della contemporaneità.

L’itinerario artistico è punteggiato dalle modalità dell’icona, realizzata sulla base di un metodico studio della storia che il genere ha attraversato fino ad oggi, e della scelta degli elementi tecnici più idonei a distendere sulla superficie la profondità di un racconto strettamente connesso con la radice di impronta religiosa. Caroll Rosso Cicogna ha avuto la pazienza di attendere il raggiungimento dei vari gradi di maturazione che l’hanno portata agli attuali risultati, ove il pregio della piena riconoscibilità risiede nell’elegante rispetto dei moduli tradizionali innervato sempre dal tocco di una personalità che rivela i contorni nitidi di un’intellettuale capace di far tesoro della tradizione, trasformandolo in un terreno fertile per un’avventura apparentemente spericolata, in realtà calcolata nel territorio della modernità; ciò avviene con quel senso del colore capace di consentire una gamma ricca di tonalità nel racconto e nella delineazione del tema sacro, ove pochi elementi iconici avviano idealmente con l’osservatore un rapporto di riflessione comune sul tema proposto. La sua indagine ha attinto numerose suggestioni anche dalla Divina Commedia, ne è significativo esempio il trittico relativo all’opera dantesca per cui l’artista puntualizza: «Quest’opera è un riepilogo ideale del mio percorso artistico. Dopo un primo periodo più figurativo negli Anni ’90, l’icona ha attraversato il mio cammino all’inizio del secolo XXI, seguita dalla miniatura: entrambe rimangono molto presenti nel mio stile attuale risultante da una fusione di arte tradizionale, con materiali preziosi e pigmenti storici combinati a tecniche sperimentate e rigorose, da un lato, e con interventi a tecnica mista con materiali poveri, colori acrilici e gesto più libero ed istintivo, dall’altro. Ma il comune denominatore rimane sempre frutto di un lungo periodo di ricerche e riflessioni intellettuali». Lo conferma la mostra aperta fino al 30 gennaio alla Galleria dei Domenicani di Nizza (punto di incontro tra personalità diverse della cultura francese e internazionale), rassegna ampia e ricca di sollecitazioni diverse; le opere ribadiscono la presenza di un’autrice che, nel suo lavoro di studio e di scavo, ha un’attenzione costante ai testi, che le consentono una marcata fedeltà al dettato rituale, e di libertà di concezione compositiva, nella quale sono abbondanti i segni capaci di renderla immediatamente identificabile nel contesto della creatività di genere. Proprio al genere – quello strettamente iconografico che vive su canoni consolidati – la Rosso Cicogna si accosta col tratto incisivo della sua preparazione derivata direttamente dai testi sacri e della sua formazione pittorica, nata nella ricchezza di stimoli dell’atmosfera da “bottega”, in cui il maestro ha saputo indirizzare senza condizionare, semmai accendendo quell’innesco che la profondità di studio e il talento innato hanno prodotto in una sintesi seducente. Il dato della tradizione iconografica è vissuto dall’artista sempre con la consapevolezza di poter effettuare ogni volta un viaggio fantastico nei territori in cui i contorni della fisicità si sono apparentemente dissolti per far posto a un’eclissi della figura, dentro superfici che portano traccia di un’idea metamorfica dell’esistente, inteso come il riflesso del moto segreto dell’universo governato dalle abili mani di un Artista, assoluto cultore del bello nelle leggi di un’armonia superiore. Le opere di Caroll Rosso Cicogna possono essere frutto del tentativo di rendere visibile ciò che altrimenti sfugge alla percezione dell’occhio, imprimendo alla composizione il movimento, solitamente assente nell’iconografia classica. Quella spinta dinamica è data dalla tessitura del piano dove la contiguità di tinte forti, l’innesto di sciabolate di luce in virtù di una foglia d’oro che accende in più punti l’opera, i contorni che chiudono l’anatomia delle figure ritratte non solo nella frontalità dello sguardo, ma anche di tre quarti, l’abbinamento spesso dialettico tra le parti figurali e quelle astratte, creano un’affascinante serie di rimandi tra quadro e quadro, anche se ognuno ha una sua dichiarata autonomia significante.

La sua intensa attività miniaturistica e iconografica fonde in un unicum i vari temi portanti e apre orizzonti inattesi, capaci di illuminare il passaggio dal primo impatto con l’icona a un ambito in cui il simbolo appare nella sua carica didascalica piena e nel suo rilievo sacro. Il critico francese Yves Marie Lequin sottolinea che «il suo lavoro di iconografa è in qualche modo separato dalla sua ricerca artistica, anche se i suoi due tipi di produzione appartengono allo stesso approccio che potrebbe unirsi all’espressione contemporanea un po’ eterogenea della nuova figurazione, o anche a certe forme di astrazione quando non rinuncia alla figura, anche se è semplicemente geometrica».

La Quadrilogia dei Santi è indicativa di questo cammino “dalla  figurazione all’astrazione”: qui le tre fasce cromatiche parallele, fortemente caratterizzate dal movimento del rilievo e incise da segni come alfabeti di una calda partecipazione emotiva ai sensi della scena, lasciano aggettare minimi elementi geometrici e accenni figurali spesso dentro a un gioco di delicate trasparenze; queste, lungi dall’essere una mera decorazione di contorno dell’immagine del Santo, sono parti di un dialogo di silenzi e risonanze tutte interiori atte ad esprimere la sensibilità dell’artista che sa mantenere uno straordinario equilibrio fra la capacità tecnica dell’esecuzione e l’originalità interpretativa di passi salienti delle Scritture. Così anche le immagini relative ad alcuni aspetti della Commedia, alla tematica beneaugurante del “Nuovo Cielo, Nuova Terra”, sono realizzate in maniera che le scene rappresentate “vivono” di una speciale combinazione tra fisico e spirituale e le figure danno l’idea di “muoversi” verso un colloquio intenso con chi le guarda.