Cento ore per Dante

| | |

Leggere la Commedia facendosi guidare da Robert Hollander

di Francesco Carbone

 

Or ti riman, lettor, sovra ‘l tuo banco,

dietro pensando a ciò che si preliba,

s’esser vuoi lieto assai prima che stanco.

(Paradiso, X 22-24)

 

 

Vorremmo strenuamente che il 700° anniversario della morte di Dante sia occasione di grandi cose. Allo stesso tempo, è legittimo il sospetto che le iniziative buone e ottime saranno come aghi d’oro in un gran pagliaio di chiacchiere iperboliche: «Povero Dante! Dopo sette secoli dalla sua morte è finito nelle nostre mani. Quali mani? Quali di noi?» ha scritto Alfonso Berardinelli sul Foglio del 10 gennaio, visto che «su Dante si sono avidamente buttati giornalisti incompetenti e pupazzetti televisivi per fare affari, mentre i migliori italianisti e dantisti latitano, sono dimenticati, non vengono intervistati». Le celebrazioni, si sa, per il Bel Paese sono il momento bombastico dell’oblio: tanto rumore per nulla, dove il per introduce un complemento di fine. E nessuno è perfetto: sulla comunità dei dantisti, ha avuto da ridire con sacrosante ragioni uno dei migliori – e più isolati – di loro, Federico Sanguineti, nell’intervista al Corriere della sera del 20 dicembre 2020, soprattutto per edizioni critiche fatte «col pallottoliere». Sia Berardinelli che Sanguineti sono reperibili sul web.

Certo è che, mentre si abbonda in superlativi che non costano nulla e si copre il petto di Dante con tonnellate di medaglie che lo nominano Padre della Patria, nei licei italiani il poema di questo drastico papà è da tempo ampiamente demodé: non si prende neppure in considerazione il programma obbligatorio fino a un po’ di anni fa, che prevedeva dieci canti di ognuna delle tre cantiche negli ultimi tre anni. A proporlo oggi, ci sarebbero i genitori a sventolare minacciosi cellulari fuori delle scuole.

 

Pur sempre ottimisti, scommettiamo su questa frase di Giampaolo Dossena nella sua non accademica (è un complimento) e irrinunciabile Storia confidenziale della letteratura italiana (Rizzoli, I ed. 1987): «avrete certamente in casa una o più edizioni annotate della Divina Commedia, intitolata ahimè proprio così». Il perché di quell’ahimè aprirebbe un discorso un po’ troppo lungo; ci limitiamo a ricordare che tutti, ormai, concordano che l’enigma del titolo del poema – Dante non ne ha lasciato alcuno – vada risolto intitolandolo semplicemente Commedia.

Abbiamo dunque «certamente» una o più edizioni della Commedia… Magari avremo intonsa la leggerissima “1.000 lire” della Newton Compton del 1993, senza note a spiegare il testo, utile per vedere e toccare con mano che la Commedia è in libro allo stesso tempo breve e sterminato: 14.233 versi, meno della metà dell’Orlando furioso, una lettura dunque possibile senza dover essere condannati all’ergastolo in una cella solitaria. E avremo «certamente» edizioni annotate: tra le recenti, quella comodissima curata da Enrico Malato per la Salerno Editore (2018), e l’edizione di Giorgio Inglese (Carocci 2016), la prima che dà degna attenzione al significante e cioè alla ricchezza retorica e musicale della scrittura di Dante. Si potrebbe continuare.

 

Di questo panorama appena accennato fa parte, dal 2011, l’edizione curata dal dantista americano Robert Hollander per l’editore Olschki. Senza ironia: l’opera è offerta al prezzo modicissimo di 210 euro: meno di una multa per aver violato il coprifuoco da Covid.

Sul vizio di voler possedere diversi commenti del poema di Dante, se fosse necessario giustificarsi, ci limitiamo a dire che ogni edizione andrebbe vista come una delle tante interpretazioni di un classico musicale: di una cover come Over the Rainbow o delle sonate per pianoforte di Beethoven: e come per il musicofilo saranno irrinunciabili nel primo caso Judy Garland, Ella Fitzgerald e Eric Clapton, per Beethoven non si rinuncerà a Schnabel, Backhaus, Arrau e a non pochi altri. Lo stesso sarà per il poema più famoso del mondo: Mattalia, Pasquini-Quaglio, Bosco-Reggio, Chiavacci Leonardi, ecc.

Intanto queste, in attesa dell’edizione del poema curata da Enrico Malato per la Nuova Edizione Commentata delle Opere di Dante (NECOD): si annunciano cinque volumi accuratissimamente commentati. La versione di Hollander al confronto sarà un capolavoro di sintesi.

 

Com’è fatta la sua Commedia e cosa aggiunge di nuovo? Anche ad aprirla a caso, la si riconoscerebbe da tutte le altre: il testo di Dante è circondato da tre lati dalle note: spesso talmente lunghe che sarebbe sano che diano al lettore una sensazione di sperdimento, emozione che sappiamo essere perfettamente dantesca. A leggerle però s’impara presto che tutte insieme offrono una vera e propria Lectura Dantis di ogni canto. Delle Lecturae Dantis hanno nella gran parte dei casi l’andamento: accompagnano il testo senza sopraffarlo; non ne nascondono le difficoltà ma, come la voce di un buon Virgilio, offrono accessi, provano a sbrogliare nodi complicati, rivelano panorami che restituiscono la Commedia a un mondo di intrecci testuali e storici senza la conoscenza dei quali molto andrebbe perduto. Benvenuti dunque nella selva di Dante: la prima nota al primo verso dell’Inferno avverte subito: «il lettore è anche invitato, senza mezzi termini, a rendersi conto che questo è un testo difficile». Come Uma Thurman quando in Kill Bill di Quentin Tarantino si presenta al suo terribile maestro di spada giapponese, non chiediamo di meglio.

Nelle note, Hollander scommette sempre sulla possibilità di tenere assieme la comprensione del testo di Dante e la storia della lettura plurisecolare che della Commedia è stata data: ricostruisce anche con ironia i mille «vespai critici», come li chiama, che si sono nidificati sui tanti punti controversi.

Le note più ricche e problematiche si fanno anche divaganti, lasciando la sensazione dell’oralità di un buon professore che sa essere paziente con i suoi studenti, non poche volte citati per intuizioni venute durante esami, lezioni, seminari.  Nato come commento di un’edizione del Poema tradotta in inglese dallo stesso Hollander, pare chiaro che molti punti ardui nell’originale sono stati risolti nella traduzione, che dunque è già stato un primo livello di interpretazione. Per quelli che hanno «chiaramente» più edizioni della Commedia, questa di Hollander è dunque un’ottima seconda – o ventesima – edizione che arricchisce e non sostituisce le altre.

 

Ovviamente, i punti  più interessanti sono quelli in cui Hollander si fa drastico: Francesca è un’anima non languida ma allucinata e per sempre incosciente di quanto ha fatto; Ulisse ha commesso il peccato non solo di vincere una guerra con un inganno (ben discutibile peccato), ma soprattutto di aver tradito l’amore per la moglie, il figlio, il padre, preso da una hybris (il «folle volo») che non poteva per Hollander non essere punita; Ugolino non ha mangiato i figli, e qui si potrebbe almeno obiettare ricordando la sottigliezza di Borges, che concorderebbe, ma facendoci sentire che Dante ha voluto che noi con angoscia sospettassimo che quel padre fosse stato capace di tanto orrore. In purgatorio, l’enigmatica Matelda è letta come l’ultima tentazione sensuale di Dante prima dell’incontro con Beatrice, che invece sarà «quasi ammiraglio» (Purgatorio, XXX 58).

 

Sempre in Purgatorio, nel canto I, quando appare Catone, custode del regno che purifica le anime per il paradiso, ci troviamo di fronte a una scelta «semplice eppure scandalosa»: il primo santo è un pagano suicida. Di questa Hollander ci dà la storia della ricezione nei commenti (da Pietro di Dante, 1340), risale poi alla fonte che ha portato il poeta a scegliere un non battezzato (la Farsalia di Lucano), ci rende capaci di leggere la polemica – che potrebbe essere uno dei temi sottesi e continui della Commedia – nei confronti di sant’Agostino che, a differenza di Dante, vedeva la storia romana come tenebre e anticristo… Infine, e forse è l’aspetto più interessante, ci fa sottili nell’ascolto del dialogo con Catone di Virgilio, che mostra incertezze nuove, errori in realtà già sottolineati nei canti infernali di Malebolge: segni che sub limine ci fanno via via  accettare il fatto – forse non meno scandaloso – che, per quanto sapiente e buono, il suo destino è tornare nel Limbo.

 

Ancora più ampio, nel XX canto del Paradiso, è il commento riguardo la salvezza – ancora più scandalosa – dell’oscurissimo Rifeo: un guerriero che nell’Eneide è certo «il più giusto e il più osservante il diritto» tra i troiani, ma senza che null’altro Virgilio ci abbia fatto sapere della sua vita. Ancora più di Catone, la santificazione di Rifeo è in effetti una (dantesca) manifestazione dell’imperscrutabilità della giustizia di Dio. Qui il commento di Hollander tiene presente un altro dei testi faro di Dante: La consolazione della filosofia di Boezio, e l’indispensabile erudizione del commento è offerta in un tono scettico e ironico: «si può pensare che Dante abbia mai rivolto una preghiera a Rifeo?», atteggiamento amichevole e tutt’altro che consueto tra i dantisti.

 

Fondamentale è l’idea che la Commedia non sia semplice fitcio ma racconto vero: «la sua esperienza dell’aldilà si deve considerare un evento reale e non immaginario. Di conseguenza, l’autorità che gliene deriva come narratore della vicenda è assoluta: anche la testimonianza biblica ha meno valore della sua» (nota al v. 10 del canto XIX del Purgatorio), concetto ribadito più volte, per esempio all’inizio del Paradiso: «se prendiamo le dichiarazioni di veridicità che il poeta fa sul proprio poema, è impossibile non rimanere turbati», ma «se insistiamo che queste rivendicazioni sono di fatto infondate, avvertiamo di star perdendo un’occasione per fare i conti con un aspetto del poema che – nonostante ci metta a disagio – resta essenziale». Si può infatti leggere Dante senza essere, almeno per il tempo della nostra lettura, cristiani?

Sempre sul Paradiso, ci dà sollievo la sua considerazione (note all’inizio del III canto) che la natura dei beati è di essere consegnati a una «dimensione post-personale»: che le anime, proprio perché sante, con sollievo e letizia hanno perso il peso dell’Io, e quindi la profondità psicologica che tanto ci colpisce nelle grandi figure dell’Inferno: infiammati nel godimento puro che dà la contemplante infinita conoscenza del «punto» (Paradiso, XXVIII 16) di Dio, l’Ego appare persino meno della Terra che Dante, volando verso l’Empireo, vede come «l’aiuola che ci fa tanto feroci» (Paradiso XXII 151). Anche per questo il Paradiso è la cantica più ardua.

Erudizione e colloquialità sono la cifra di Hollander: saper orientarsi nella selva di una bibliografia sterminata (sessanta pagine del primo volume) e allo stesso tempo offrire il racconto del poema e la storia della sua ricezione a un pubblico colto e curioso, capace delle lente godurie di uno di quei libri destino che Cristina Campo chiamò imperdonabili. Non troveremo altro commento in cui si citino film come Mucchio selvaggio o La guerra lampo dei fratelli Marx. Naturalmente, non siamo obbligati a concordare con tutto quanto Hollander ci propone: i testi buoni sono quelli che ci lasciano liberi.

 

Come l’ho letto io? Un canto alla volta, la prima volta senza interrompermi e distrarmi nello studio delle note; quindi l’ho riletto seguendo le glosse di Hollander: media, un’ora per canto. Cento ore, dunque, per questa versione del poema. Come avrebbe detto Mallarmé, prima il godimento, poi la comprensione.

 

Dante Alighieri

Commedia

commento di

Robert Hollander

traduzione e cura di

Simone Marchesi

Holschki, Firenze 2011

tre volumi in cofanetto

euro 210,00