C’era una volta l’articolo 1

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Nel panorama economico che si sta preannunciando per le stagioni che seguiranno la pandemia (salvo ancora possibili colpi di coda del virus), vi è un dato che pare difficilmente confutabile ed è quello che riguarda l’esigenza di disporre di un sistema di sicurezza sociale che preveda in primo luogo l’esistenza e il rafforzamento di servizi sanitari fortemente strutturati, disponibili per tutti e in grado di reggere a tempeste come quelle attraverso le quali siamo passati e che tuttora stiamo collettivamente affrontando. E anche soltanto per garantire un sistema sanitario pubblico più efficiente ed equo si renderà necessario utilizzare risorse provenienti dal prelievo fiscale, posto che il debito pubblico non potrà espandersi all’infinito.

Una volta di più, saremo costretti a fare i conti con un sistema economico che poco o per nulla si preoccupa di smussare le diseguaglianze sempre più vistose anche – ma certo non soltanto – nel nostro Paese. Un primo passo sarebbe quello di pensare se sia opportuno mantenere e rafforzare un progetto di sviluppo economico che privilegia gli interessi del mercato e del profitto rispetto a quelli del lavoro. L’epidemia, e la prevedibile successiva distribuzione dei costi che saremo collettivamente chiamati a pagare negli anni a venire, stanno dimostrando già in questi giorni, a partita ancora aperta sotto il profilo sanitario, un generale disinteresse per la riduzione delle disuguaglianze che si manifestano nel tessuto sociale, con un aumento impressionante delle persone relegate al di sotto della soglia di povertà assoluta, determinate dall’Istat in oltre 5.600.000 individui (poco più di due milioni di nuclei familiari), ovviamente differenziati per area geografica, ma con una preoccupante progressione del dato nell’Italia settentrionale. Bisognerebbe poi aggiungere a questi dati quelli della povertà relativa, che riguarda altri 2.600.000 nuclei familiari.

Questa massa ormai imponente di poveri non è formata tutta da disoccupati e senza tetto. Hanno peggiorato la propria situazione anche le famiglie la cui persona di riferimento risulta occupata (ancora fonte Istat).

Quest’ultima osservazione è rivelatrice di una tendenza, in atto ormai da anni, di progressiva perdita di valore del lavoro rispetto alle rendite, un processo di contenimento e anzi di riduzione dei salari e degli stipendi, accompagnata per di più da una compressione dei diritti del lavoro dipendente, oltre che dalla riduzione degli investimenti per ricerca e innovazione, da una legittimazione dell’intermediazione di manodopera, dal massiccio ricorso al subappalto nelle gare al massimo ribasso, da una crescente precarietà del lavoro dipendente, dalla drastica riduzione della sicurezza, che ha condotto a casi di scandalosa inadempienza delle più elementari norme di tutela della stessa vita umana. Si sono verificati tre casi di cronaca – verrebbe da dire di cronaca nera – che hanno fatto emergere nel giro di poche settimane raccapriccianti episodi come la manomissione dei dispositivi di sicurezza di un impianto che ha provocato la morte per stritolamento di una giovane operaia in una fabbrica di tessuti, le quattordici morti conseguenti al blocco dell’impianto frenante di una funivia, la morte per caldo e stanchezza di un raccoglitore di pomodori in una campagna pugliese. In tutti e tre questi casi dolorosi le azioni criminali che hanno dato origine a questi infortuni mortali sono state dettate dalla ingordigia che tende a favorire comunque il profitto dell’imprenditore, anche a scapito dell’incolumità e della vita stessa delle persone.

Mettere le mani nella regolamentazione del verminaio cui si è ridotto il mondo del lavoro sarebbe un primo timido passo per contrastare almeno in parte la divaricazione della forbice che vede una progressiva dilatazione delle disuguaglianze. Rimettere al centro la persona e i suoi diritti, scalzando il posto che è attualmente del profitto, sarebbe almeno un primo passo nel senso indicato dal primo articolo della Costituzione, che vuole l’Italia una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.