Ciak…si dipinge!

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Gabriella Dipietro e Carlo Staurini in una doppia personale a Trieste

 

Gabriella Dipietro e Carlo Staurini hanno trovato un’area d’intersezione nelle rispettive tematiche delle opere presentate in una “doppia personale” alla Galleria Rettori Tribbio di Trieste: un’area riservata al cinema e in particolare quello del musical, da Hair, a Cats al Rocky Horror Picture Show. Se l’intento è stato quello di trovare una comunanza, forse si è trattato di uno scrupolo superfluo, perché anche il più sprovveduto visitatore, gettato appena uno sguardo alla sala si rende conto subito di una profonda consonanza tra i due autori, frutto probabilmente di una formazione almeno in parte condivisa, quella rigorosa della scuola di Livio Možina, ma anche una sedimentata voglia di esprimersi per mezzo della luce e dei colori, un’esigenza interiore che non può trovare sfogo né concretezza se non su una superficie dipinta e, nella fattispecie, dipinta con esplicito intento narrativo e secondo le modalità interpretative di un realismo virtuoso e sconfinante nell’iperrealismo. Ma se è autentica e immediatamente percepibile tale ineludibile contiguità tra i due artisti, è anche vero il contrario, ossia che ciascuno dei due, pur partendo da un’esperienza formativa comune e da tecniche di realizzazione uguali, perviene a una sua modalità di esprimersi del tutto personale e riconoscibile.

Così nelle opere di Carlo Staurini è rinvenibile un autentico prolungato interesse per la natura, soprattutto per il mondo degli animali, spesso restituiti sulla tela con nitida precisione ma, anche, in posture o contesti antropomorfi, cui si associa un altrettanto autentico e prolungato studio della Storia dell’Arte, che dissemina in molte opere dell’autore triestino immagini-culto dei grandi maestri del passato, da Vermeer a Michelangelo, da Escher a Grant Wood. Operazione di recupero ed omaggio compiuto con l’umiltà del copista, ma anche con l’ironia dissacrante di chi intende “reinventare” capolavori del passato inserendoli in surreali contesti che – lungi da intenzioni irridenti – testimoniano al contrario di una partecipe attenzione per quanto di grande ci ha preceduto, dalla Nike di Samotracia alla volta della Sistina.

Gabriella Dipietro declina al femminile un’analoga passione per la cultura, che si esercita però in buona parte delle sue opere – e in particolare in quasi tutte quelle esibite in quest’occasione – entro suggestioni derivanti dalla lettura di testi letterari o teatrali in cui l’attenzione è rivolta alla figura umana, quasi sempre femminile, protagonista assoluta dei dipinti. Il saldo ancoraggio delle visioni rappresentate sulle tele a personaggi e circostanze della più alta tradizione letteraria espande, per così dire, il contenuto emozionale dell’opera che implicitamente chiama al suo fianco Euripide, o Ibsen o chi per loro, in tal modo dilatandosi ben al di là delle cornici che ne delimitano il perimetro. Nei soli due casi in cui viene meno questo rapporto simbiotico tra opera pittorica e opera letteraria, nei ritratti cioè della madre, è l’intensità dell’affetto e la saldezza del vincolo emotivo che parlano direttamente a chi guarda, senza la necessità di citare testi di poesia, per l’universalità della condizione di chi gode o ha goduto dell’intenso rapporto tra madre e figlio.