CINEMA – Morto Stalin, se ne fa un altro (The Death of Stalin, Armando Iannucci, G.B. 2017)

Morto Stalin, se ne fa un altro (The Death of Stalin, Armando Iannucci, G.B. 2017).

Valutazione 3 / 5

di Pierpaolo De Pazzi

locandina3 marzo 1953, Stalin, capo supremo dell’Unione Sovietica, ha un ictus. Prima che la sua morte venga dichiarata ufficialmente si scatena una battaglia tra i ministri per la successione. Una danza macabra e folle che coinvolge i figli del dittatore, Vasilij e Svetlana, il generale Georgij Žukov, il riformatore Nikita Chruščёv, Georgij Malenkov, Vjačeslav Molotov e il depravato carnefice Lavrentij Berija.

Un avviso: non è un film per tutti. Lo eviti chi non è disponibile a ridere a denti stretti, all’inglese, su fatti gravissimi e nerissimi della storia recente. Lo stesso faccia chi non ama i film con tanto parlato e dialoghi veloci: qui l’argomento è politico e lo stile grottesco e demenziale, ma non nel senso delle pellicole americane anni ‘80, qui c’è vera follia (oggi tutti i discorsi politici sembrano demenziali, ma qui si è al cospetto di alcuni dei fatti più tragici del ‘900). Giri alla larga soprattutto chi ama ritmi lenti e contemplativi e profondità introspettive: è pur sempre un film d’azione, tratto da una graphic novel.

Il film, la cui diffusione è stata vietata in Russia – e non è difficile capire perché – è un adattamento cinematografico del “fumetto” La morte di Stalin di Fabien Nury e Thierry Robin, pubblicato in Francia nel 2016. Il regista, uno specialista di satira politica (di origini italiane), si cimenta in un lavoro poco comune: trarre un film da un fumetto senza eroi in calzamaglia.

Senza eroi in assoluto, anzi, ma personaggi malvagi e privi del fascino sulfureo e mefistofelico di demoni di prima categoria: qui sembra di aver a che fare con i goffi Scarmiglione, Graffiacane, Farfarello, Rubicante e con gli altri Malebranche che rendono comico il V canto de L’Inferno.

Un film che non va giudicato per la precisa adesione ai fatti storici, ma per la coerenza visionaria della messa in scena, tanto più che è tratto da un fumetto. Non conosco sufficientemente gli eventi per valutare nel dettaglio, ma è certo ad esempio che Svetlana non venga esiliata subito, come si vede, ma scappi anni dopo, chiedendo asilo politico in USA. Non è un errore storico questo, ma una dimostrazione di come il suo personaggio sia l’unico cui il regista guarda con un po’ di umana pietas, e veramente tragica fu la vita della figlia del despota.

Un film pieno di violenza, ma in cui questa accade sempre fuori campo, o dietro porte chiuse: solo alla fine si vede l’esecuzione e la distruzione del cadavere del più malvagio dei satrapi, la cui morte ridà un equilibrio al gruppo di potere sovietico, prima di nuovi, ridicolmente tragici balletti del potere: Breznev già incombe, e certo non finì lì.