CINEMA – UNA DONNA FANTASTICA
cinema | Pierpaolo De Pazzi
Una donna fantastica (Sebastián Lelio, Cile, Germania 2017)
di Pierpaolo De Pazzi
Valutazione: 4/5.
Passione civile, buona sceneggiatura, ottime interpretazioni, una colonna sonora adattissima a far da contrappunto alle immagini, il tutto saldato da un’idea di cinema di visione, che ci regala alcune inquadrature indimenticabili: occorre altro, per un ottimo film?
Fantastica è la protagonista, come una chimera, una creatura di fantasia, che prima non c’era ma che può essere più reale di tante donne e uomini cosiddetti “normali”, eppure prigionieri delle loro ipocrisie. La chimera è un sogno irrealizzabile, ma anche un mostro, un essere ibrido tra due nature, una linea curva che non si adatta a uno schema tutto rettilineo.
È così che viene vista Marina, la donna transessuale che il film accompagna nel suo lutto, per aver perso il compagno Orlando. Marina, cameriera, aspirante cantante, vorrebbe solo poter vivere discretamente il proprio dolore, che è un dolore vero e inevitabile, che prima o poi tutti dobbiamo provare, ma ne viene impedita dalla famiglia del suo compagno, che vuole borghesemente fissare steccati, recinti di proprietà, codici di comportamento, e quindi sbattere fuori il “mostro”, il “frocio”, l’unica persona però che prova dolore vero.
La tematica è forte, divisiva, di quelle che inducono a prendere posizione, ed è incarnata nella storia di Marina: sappiamo come la rabbia sia un sentimento lancinante quando si vive la perdita di qualcuno che si ama, assieme al senso di colpa e alla considerazione della propria inadeguatezza. Immaginiamo cosa possa voler dire se chi vive questi sentimenti si vede anche sommergere dal disprezzo, dal rifiuto e addirittura dal sospetto della famiglia del defunto e delle istituzioni (mediche, poliziesche).
Positiva soprattutto l’interpretazione di Daniela Vega, cantante e attrice cui non si può che augurare di ricevere i maggiori premi per questo film, e di riuscire in futuro a trovare altre parti adatte alla sua bravura.
Il film è forse un po’ appesantito da alcune scelte un po’ troppo enfatiche o ridondanti e da soluzioni formali che sembrano strizzare l’occhio a certo esibizionismo alla Xavier Dolan, ma regala comunque alcune inquadrature memorabili: fra le altre, almeno due.
Una è la scena della sauna, quando Marina riesce, alzando o abbassando il telo con cui si copre, a passare dagli ambienti femminili a quelli maschili, provando sempre lo stesso disagio di essere diversa. Molto bella anche la conclusione di questa sequenza, che ci lascia con il vuoto di una perdita che si deve superare senza scorciatoie, senza misteri da svelare.
Un’altra scena memorabile è quella finale, con lo specchietto poggiato a nascondere l’inguine, che riflette il volto di Marina, lo sguardo che solo manifesta la sua vera identità. Così Lelio castiga ancora una volta la curiosità morbosa e voyeuristica di cui è oggetto durante il film Marina, da parte degli altri personaggi e anche, sì, di noi spettatori.