CIUSSI E MIRKO TRA REVOLTELLA E GUGGENHEIM

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Cosa ci faceva quarant’anni fa in piazza della Borsa un Don Chisciotte in bronzo di Mirko…?

di Fabio Cescutti

 

Cosa ci faceva quarant’anni fa a Trieste in piazza della Borsa un Don Chisciotte in bronzo di Mirko Basaldella? Non è un enigma irrisolvibile come quello di hemingwayana memoria sulla carcassa del leopardo fra le le nevi del Kilimangiaro. In una città con il Museo Revoltella, chiuso per restauri di lungo corso, il personaggio letterario di Cervantes precedeva l’esercito di guerrieri, stregoni, totem e danzatori scuri in mostra sui bastioni del Castello di San Giusto. Una truppa inquietante la cui forza seppure immota creava senso di attesa in vista dell’impossibile scontro con le statue bianche e sporche, ma protettive dei palazzi neoclassici. Più che uno scontro era un incontro a conferma che l’arte guarda avanti senza dimenticare il passato con il quale invece si ricongiunge e dialoga. Era il 1976, la Provincia guidata da Michele Zanetti e il Comune da Marcello Spaccini. Collaboravano e promuovevano uno dei più grandi scultori italiani nato a Udine come i fratelli Afro e Dino Basaldella. E morto nel 1969 negli Stati Uniti dove insegnava al Design Workshop della Harvard University. Nel 1972 una mostra su Mirko era stata ospitata a Palazzo dei Diamanti a Ferrara.

Circa vent’anni dopo, nel 1997, Trieste anticipa Udine con un’antologica su Carlo Ciussi (“La pittura come urgenza ed emozione”) al Museo Revoltella definitivamente riaperto nel 1992. Il sindaco è Riccardo Illy, il suo vice e assessore alla Cultura Roberto Damiani. Fra le esposizioni quelle su Dine, Rosenquist, Byrne e Basquiat caratterizzano la programmazione fra internazionalità e valorizzazione di autori legati al territorio. Damiani nel catalogo su Ciussi parla di silenziosa poesia e scrive: “… in lui l’etica è davvero l’altra faccia dell’estetica…”. Casa Cavazzini realizza il suo omaggio appena nel 2011, un anno prima della morte dell’artista.

Tutto questo ci viene in mente visitando la mostra “Postwar Era. Una storia recente. Omaggio a Jack Tworkov e Claire Falkenstein” curata al Guggenheim di Venezia da Luca Massimo Barbero. La sala personale di Carlo Ciussi e quella con i tanti Mirko della donazione Vera e Raphael Zariski – nipoti per parte della moglie Serena Cagli, figlia del pittore Corrado – costituiscono uno degli eleganti intrecci di quello che abbiamo raccontato.

Delle 93 opere ben 19 sono firmate da udinesi fra le quali Paese giallo di Afro del 1957, olio su tela di oltre un metro di altezza per circa uno e trentaquattro di base, lascito del 2012 di Hannelore B. Sculhof con l’obbligo di esposizione insieme ad altri capolavori nella sede veneziana della Fondazione. Fino al 4 aprile in quell’ambasciata della cultura che è la casa di Peggy – con un record nel 2015 di 400.741 presenze – Mirko, Afro e Carlo ci regalano confronto, estasi e ricongiungimento con de Kooning, Motherwell, Baziotes e altri pilastri del Novecento. Basta uscire dall’esposizione, attraversare il Giardino delle sculture ed entrare nelle sale permanenti per incontrare Picasso, Braque, Pollock, de Chirico, Severini, Ernst.

Di Mirko sorprende lo splendido Bozzetto per il cancello delle Fosse Ardeatine del 1949, tempera su carta intelata con una base di tre metri per uno e mezzo di altezza. Bronzi, ottoni e gessi arrivano fino al 1968, anno precedente alla prematura scomparsa negli Stati Uniti dove Mirko e Afro tengono lezioni in college e università.

La sala dedicata al secondogenito dei Basaldella sembra quasi un tempio dove convivono paganesimo e monoteismo, Oriente e Occidente, Mesopotamia e Messico in una continua rivisitazione del Mito. La collezione Zariski può confermare quanto scrisse Giulio Carlo Argan: ”Anche l’opera di Mirko nasce dalla coscienza che amareggiò gli ultimi anni di Arturo Martini, del divorzio irrevocabile di scultura e monumentalità. Non esitò nella scelta, ma evitò la strada più battuta: il riporto in scultura di esperienze pittoriche, impressioniste o espressioniste che fossero”.

La sala dedicata a Ciussi rappresenta invece la sua astrazione geometrica del 1965. Su una tela divisa fra grigio pallido e nero compaiono nella parte alta due quadrati solitamente bianchi intersecati trasversalmente e in quella inferiore un prato di quadrifogli grigi e neri o eliche votate al mare e al vento alla ricerca di energia, speranza e bellezza. “Mi son quel” diceva Carlo indicando le geometrie a lui care senza rinnegare, ma archiviando la parentesi legata all’Informale. Non voleva che fossero esposte opere al di fuori di quella che era la sua strada dove era imprescindibile la conoscenza di Piero della Francesca perché la Flagellazione per lui era il più bel quadro del mondo.

Al termine della mostra al Guggenheim ci si può dunque chiedere se Trieste ha ancora la capacità di presentire il futuro. Di valorizzare decenni prima artisti presenti oggi nei libri di storia. Kounellis maestro da tempo apprezzato a livello internazionale nell’ex Pescheria a cavallo fra 2013 e 2014 è stato un acuto, un’occasione persa in quanto a lui poteva seguire un prestigioso calendario. Con quel catalogo bastava bussare alle porte degli studi di Kiefer, Kapoor, Paladino. Invece dopo l’accelerazione arriva l’incomprensibile frenata che conferma l’occasionalità della proposta. E segue l’idea della scienza prima e della biblioteca poi nell’ex Pescheria. Non hanno aiutato quattro cambi di deleghe alla Cultura compreso l’interim del sindaco Cosolini.

Pur tuttavia c’è sempre tempo per ripartire con un assessore che lavori cinque anni e consideri che l’ex Pescheria è un valore per la città così com’è, valutando quanto era costato il restauro e quanti avvenimenti ha ospitato negli anni. Che il Museo del Mare in Porto Vecchio va affiancato da uno spazio per l’arte in quanto la ricchezza portata dalle navi si è anche concretata in opere visibili al Revoltella ormai debordante di storia e in altri contenitori culturali.

Tornando alla domanda iniziale: cosa ci faceva quarant’anni fa in piazza della Borsa un Don Chisciotte in bronzo di Mirko…? Speriamo non cercasse via Molino a Vento.

 

Didascalie

 

 

 

Opere di Carlo Ciussi

Esposte nell’ambito della mostra

“Postwar Era”

alla Fondazione Solomon R. Guggenheim, Venezia