Croci e delizie di uno spettatore

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Qualche riflessione sulle “riletture”, non sempre riuscite, dei classici del Teatro di prosa

di Paolo Quazzolo

 

Che i classici costituiscano un sicuro richiamo per il pubblico a teatro è un fatto incontrovertibile. Ma è altrettanto indubbio che, negli ultimi anni, è sempre più difficile vedere un testo del grande repertorio rappresentato nella sua interezza e secondo le architetture drammaturgiche pensate dall’autore. Non sto parlando della messinscena e dell’interpretazione registica: a tale proposito ho spesso preferito illuminanti riletture a una stantia messinscena cosiddetta “tradizionale”, spesso fatta in modo pedestre e per nulla convincente. Qui si sta parlando della necessità, soprattutto per un pubblico giovane (ma, spesso, non solo per quello) inevitabilmente privo di una lunga frequentazione dei teatri, di venire a conoscenza di un testo classico nella sua forma originale. Di recente mi è capitato di leggere, tra i commenti a un video pubblicato su Youtube, che proponeva una discutibile quanto maldestramente amputata versione di un celebre capolavoro di Ibsen (tacerò, per carità, di quale opera si trattasse e soprattutto chi la interpretasse), feroci espressioni all’indirizzo del povero autore, accusato di aver scritto un’opera zoppicante e poco equilibrata. Cosa avranno potuto pensare di Ibsen coloro che hanno assistito, al Rossetti, alla rappresentazione di Spettri, in una versione che prevedeva un atto unico al posto dei quattro pensati dall’autore e soprattutto un adattamento (di Fausto Paravidino) zoppicante, in cui concetti e azioni promessi nella prima parte, non trovavano corresponsione nella seconda (cosa che invece non avviene nel testo originale, matematicamente preciso, come sempre in Ibsen, in ogni suo rinvio). L’operazione era salvata da un gruppo di attori che, trascinati dalla forza del dramma ibseniano, hanno saputo trasferire alla platea le forti emozioni contenute in Spettri: Andrea Jonasson, Gianluca Merolli, Fabio Sartor, Giancarlo Previati e Eleonora Panizzo.

Simile discorso va fatto per la suggestiva versione della Tempesta shakespeariana, sempre in scena al Rossetti, per la regia di Alessandro Serra. Anche qui i cinque atti originari sono stati concentrati in un atto unico, in cui il testo – tra i più articolati di Shakespeare – è stato fortemente amputato, tanto da ridurre il dramma a una semplice storiellina. Va tuttavia detto che Serra ha creato uno spettacolo di grande impatto dal punto di vista visivo, caratterizzato da un disegno luci davvero straordinario e da una colonna sonora altrettanto suggestiva. Affiatata la compagnia su cui spiccava soprattutto l’Ariel di Chiara Michelini.

Grande successo in Sala Bartoli per la trasposizione scenica di Un anno di scuola di Giani Stuparich. Il testo drammatico, dal titolo Quell’anno di scuola, scritto a quattro mani da Alessandro Marinuzzi e Davide Rossi, ha scelto la via della forma epica, ove i diversi personaggi sulla scena accompagnano le loro azioni non con le consuete battute, ma con una brechtiana descrizione di quello che stanno facendo, dei loro sentimenti e dei loro pensieri. Affiatatissimi tutti i giovani attori capitanati dai due convincenti “veterani” Ester Galazzi e Riccardo Maranzana, diretti dallo stesso Marinuzzi che ha creato, anche grazie all’agile scena e ai costumi di Andrea Stanisci, uno spettacolo – coprodotto dal nostro Stabile e da quello del Veneto – dai ritmi incalzanti e ricco di emozioni.

Una parentesi tutta napoletana è quella offerta dalla Contrada al Teatro Bobbio, con due spettacoli del grande repertorio partenopeo. Il primo, Ditegli sempre di sì, è un testo meno conosciuto di Eduardo, ma non per questo meno efficace. Si tratta di una curiosa riflessione sul tema “pirandelliano” della pazzia (peraltro è ampiamente nota la parentela tematica fra Eduardo e Pirandello), in cui un uomo uscito dal manicomio e apparentemente guarito, crea una serie di curiosi e divertenti contrattempi che rischiano di trasformare la situazione in un’autentica tragedia. Affiatatissima la compagnia di Teatro di Luca de Filippo, in coproduzione con la Fondazione Teatro della Toscana, diretta con garbo e forte senso del ritmo da Roberto Andò.

Il secondo spettacolo proposto alla Contrada è A che servono questi quattrini di Armando Curcio, il giornalista-editore-commediografo che a teatro ebbe modo di collaborare più volte anche con Eduardo. E infatti la commedia, andata in scena nel 1940, contribuì al successo nazionale dei fratelli de Filippo: la storia narra del Professore Parascandalo, il quale, per dimostrare le sue teorie socratiche, ordisce un piano paradossale volto a dimostrare l’inutilità del danaro. Una cospicua somma ereditata da un lontano parente americano innesca un’autentica girandola economica che, alla fine si rivela una grande bolla di sapone, capace di tuttavia di rimettere a posto ogni cosa. Coprodotta da La Pirandelliana e dal Teatro di Napoli, la commedia è stata diretta da Andrea Renzi che ha scelto la via di un allestimento estremamente semplice e stilizzato, in cui risaltava soprattutto la fisicità e la vocalità degli attori. Solido protagonista è stato l’applauditissimo Nello Mascia, circondato da un gruppo di altrettanto validi attori: Valerio Santoro, Luciano Saltarelli, Loredana Giordano, Fabrizio La Marca e Ivano Schiavi.

Una nuova quanto originale versione dello shakespeariano Sogno di una notte di mezza estate è stata infine proposta dal progetto URT in collaborazione con il Festival Teatrale di Borgio Verezzi, e con la regia di Jurij Ferrini, al Teatro Comunale di Monfalcone. Anche in questo caso si trattava di una rilettura dell’originale shakespeariano, concentrato nell’ormai consueto atto unico, in cui la commedia viene recitata in abiti contemporanei e in uno spazio scenico neutro. Al centro è collocata una teoria di sedie sulle cui spalliere sono incollate delle lettere che, in una serie di continui spostamenti e ricombinazioni, vanno a comporre parole differenti, dall’iniziale “Teatro povero” a quella finale “Povero teatro”, ironico commento alla maldestra recita degli Artigiani, con cui si conclude la vicenda. Spettacolo fresco e dai ritmi incalzanti, è stato recitato da un gruppo di giovani attori, ciascuno impegnato in più ruoli e capitanati dallo stesso Ferrini. Tra loro vanno per lo meno citati Rebecca Rossetti nel ruolo del pasticcione Puck e il monfalconese Stefano Paradisi. Teatro quasi esaurito in ogni ordine di posti, successo pieno.

 

 

Quell’anno di scuola