Dalla reclame alle nuvole

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Vita breve di Giampaolo Amstici fra la pubblicità e la pittura pura

di Roberto Curci

 

No, non ci sono di mezzo centenari, cinquantenari, decennali né alcun tipo di anniversario da rispettare e celebrare. C’è soltanto la necessità, dopo aver spesso trattato qui di arte della pubblicità o di pubblicità d’arte di matrice triestina e giuliana (da Dudovich ai fratelli Gregori), di ricordare un pittore-illustratore di una generazione ancor più recente, che nel vorticoso mondo della “comunicazione d’azienda” ha prodotto – in anni nemmeno troppo lontani – opere squisite, benché bruciate troppo in fretta nel fuoco del vorace consumo imposto dalle leggi del marketing.

Parliamo di Giampaolo Amstici (Trieste 1946-2014), diplomatosi all’Istituto statale d’arte della città natale e presto trasmigrato nella capitale della produzione pubblicitaria, Milano, per divenirvi – come grafico-visualizer – una delle firme più richieste e importanti della comunicazione editoriale e commerciale, al servizio di marchi prestigiosi e di campagne promozionali di forte impatto. Una cifra espressiva, la sua, affatto inconfondibile, connessa a una personale rilettura, ricca di smaglianti colori e di gustoso humour, della grafica americana d’impronta pop o iperrealista, quella dei Norman Rockwell e dei John Falter (memorabili le sue copertine per il Saturday Evening Post) o degli Eric Sloane, con i suoi paesaggi rurali dominati da gonfie nuvole bonarie, quelle stesse che Amstici – una volta rientrato a Trieste – produsse per proprio diletto, in un ciclo pittorico di acrilici su tela svincolato da ogni committenza privata o pubblica.

Ma Trieste, al solito, non seppe prestare granché attenzione al figliol prodigo dal palmares ricco di successi e soddisfazioni. Gli dedicò, sì, alcune mostre personali (alla Sala comunale d’arte, allo Studio Bassanese) e nel 1983, al Castello di San Giusto, si tenne una mini-collettiva assieme all’illustratore istriano Giuliano Bartoli e al croato Tomislav Spikic. Nel 2013 gli fu affidato, poi, il manifesto della quarantacinquesima edizione della Barcolana.

E tuttavia la città non si accorse davvero di avere riacquistato un grande talento autoctono della matita e del pennello (e pure dell’aerografo, il marchingegno che segnò una stagione importante dell’illustrazione, prima che ci si addentrasse nell’Era Digitale): uno che aveva realizzato campagne per marchi quali Coca Cola, Superga, Buitoni, Barilla, Illy, Lloyd Adriatico, Marzotto, Motta, Cinzano, La Rinascente, Lancia, Jacuzzi, Saiwa, Nestlé e via elencando (compresi i maggiori quotidiani italiani) e che aveva creato clamorosi pannelli giganti per gli spazi altrettanto giganti delle navi da crociera della Carnival (Conquest, Triumph, Victory), della Costa (Fortuna) e della P&O Cruises (Grand Princess).

Certo, Giampaolo Amstici non era di quelli che si sopravvalutano, anche se perfino New York e la mitica agenzia Ogilvy & Mather gli avevano dischiuso le porte. E d’altronde scontava pure lui uno dei peccati capitali del mondo della pubblicità, quello di minimizzare l’apporto dell’esecutore materiale di una campagna dominata dagli account e dagli art director, e da un lavoro di gruppo rigidamente spartito tra i vari “tecnici” delle agenzie specializzate. Non c’era la sua firma, né quella di alcun altro, in calce a quei messaggi: era sempre l’agenzia Taldeitali a firmarli nella sua globalità, emarginando dunque la personalità del designer e rischiando di tramutarlo in un ghost-designer, magari bravissimo ma sempre meno “sé stesso” poiché costretto a muoversi entro un ben angusto sentiero espressivo. Nella camicia di forza imposta da una strategia comunicativa che metteva l’illustratore all’ultimo posto, vincolato a scelte tematiche e mediatiche che passavano sopra il suo capo, Amstici era stato però capace di imporre la propria personalità, mai ridotto a essere soltanto una “mano”, un traduttore letterale e meccanico di messaggi escogitati da un’équipe di “altri”.

Così, ad esempio, nei tardi anni Settanta contribuì con la sua arte, attenta anche alla fantasy (era il momento, ricordate?, in cui andavano di moda gli Gnomi– ma anche le Fate e i Giganti – di Rien Poortvliet), al boom di una campagna della Superga, in cui il protagonista, quasi un alter ego dell’autore, suscitava l’ammirata curiosità di una tribù di gnomi dei boschi («Stivali in gomma Superga. Ti portano dove la strada non arriva» diceva la headline).

Tramontata da decenni l’arte del manifesto da affissione (quello sì con tante belle firme in calce), per la pubblicità cartacea erano comunque tempi d’oro, e Amstici seppe inserirsi con la propria cifra ben consolidata in quella che fu dottamente definita «pittofotografia illusionistica»: tanto da essere inserito nel 1979 in una vera Bibbia quale il volume Il linguaggio della grafica, che della grafica internazionale compendiava la crème. Un onore e un vanto, di cui Amstici, caratterialmente schivo,  non si sarebbe però mai vantato.

Furono in effetti anni d’oro, gli “anni dell’aerografo” potremmo definirli, con una diffusa propensione all’effetto del finto vero che diviene più vero del vero, ai confini insomma del trompe-l’oeil. Stagione fortunata, propiziata in qualche misura anche dalla temperie cultural-economica di una Milano che stava scivolando verso la “Milano da bere”. Di lì a poco la crescente invasività della computer-grafica in campo pubblicitario avrebbe obnubilato e infine cancellato quella stagione. A Giampaolo Amstici, che al computer preferì sempre la matita («con lei ho un rapporto diretto, una sintonia perfetta di testa e mano»), sarebbe rimasta la via di fuga del ritorno ai patrii lidi, dove avrebbe continuato a lavorare nel settore a lui più congeniale ma si sarebbe pure spalancato a più spirabil aere con il ritorno alla pittura pura: da cui la già citata serie delle Nuvole.

Finalmente, sembrava dire quel ciclo affascinante, uno stop alla claustrofobia e ai lavori forzati delle agenzie, quelle che macinavano commissioni e denari. Finalmente l’aria libera, l’aria pura, la libertà della fantasia e del sogno, nelle vedute a 180 gradi su prati, mari, spiagge, e su cieli sconfinati. Gran peccato che in quei cieli l’ottimo Amstici, che tanto aveva ancora da fare, se ne sia volato davvero troppo presto.

 

Giampaolo Amstici

Barcolana n. 45 – 2013

Acrilico su tela, 2013