Dante non per “picciolette barche”

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Tra i contributi seri alla lettura della Commedia il saggio recente di Antonio C. Mastrobuono, Il viaggio dantesco della santificazione, edito da Olschky

di Francesco Carbone

 

«Voialtri pochi…»

(Paradiso, canto II, v. 10)

 

C’era una pubblicità, anni fa, in cui una grappa veniva declamata dal più popolare dei presentatori dalla cima del monte Cervino: una grappa che faceva volare “sempre più in alto”… Naturalmente Mike Buongiorno si era fatto posare sulla cima della più bella delle montagne da un elicottero. Cosa c’entra con Dante? Quanto meno c’entra col marketing che, come impone di riempire i supermercati di torroni e panettoni già a novembre, ha fatto cominciare l’anno dantesco 2021 (il 700° dalla morte) già quest’anno: con le case editrici occupate ad offrire nuovi saggi divulgativi che, ognuno a suo modo, cercano di dirci che Dante non è poi così arduo.

Proliferano così nuove introduzioni a Dante, nuovi saggi che con lingua piana democratizzano la Commedia (le altre opere vengono tenute prudentemente a distanza), lo confezionano in modo accattivante e lo rendono – come si dice nel mondo della onnipresente pubblicità – sexy. Ci dicono, insomma, che la montagna della Divina Commedia può essere scalata con “l’elicottero” offerto dal bravo divulgatore. Naturalmente mentono. Perché il bello della Commedia è proprio che è difficile, come del resto tutte le cose belle. Nessuno si sognerebbe di farsi promettere da Messner che arrampicarsi sul Cervino sia una cosa che può esulare da una qualche educata e costante fatica. Ciò non toglie che, malgrado i saggi consigli degli esperti, in questa Età della Facilità a tutti i costi, scalatori della domenica si azzardano lungo impervi percorsi rocciosi magari d’estate con gl’infradito, con grave lavoro per il Soccorso Alpino… Ci sono lettori della Commedia equivalenti. Che infatti si fermano subito.

Faceva notare per esempio Alberto Arbasino che la mania – la nevrosi – di fare facile il Difficile in particolare la letteratura pretende un’accessibilità senza sforzo ai suoi capolavori che nessun lettore della Gazzetta dello Sport si sognerebbe per il calcio: i cui cultori si vantano di sapere a memoria formazioni di squadre anche non da sogno, sequenze di goal fatidici, annate di allenatori ispiratissimi, ecc.: tutte cose che, in letteratura, passerebbero per faticosa erudizione, e che invece è diletto. E meno male che Einstein diceva già che tutto si può semplificare, ma fino a un certo punto; oltre il quale l’agevolazione diventa un inganno. Siamo allora all’inizio di un – ennesimo – tradimento di Dante, con tanti percorsi lungo il Sacrato Poema fatti con l’elicottero?

Sarebbe interessante poi sapere quanto queste opere facilitatrici facciano effettivamente guadagnare lettori al Sommo Autore. O, piuttosto, come direbbe Freud, se si stia solo allungando la serie degli atti mancati che prendono il posto di una franca e ardua lettura del Poema: qualcosa che consoli e sostituisca il cimento con la “montagna” di 14.233 versi della sempre incombente – almeno questo – Divina Commedia.

Certo le vie di Dante sono infinite, ma il sospetto è che valga anche in questo caso quanto Flaiano diceva degli spettatori di film tratti da capolavori della letteratura: «Hai letto il libro? No, ma ho visto il film». E dunque: leggerai Dante? – No, ma ho letto A riveder le stelle di Cazzullo, per citare il più venduto.

Leggere un saggio che renda friendly Dante potrebbe soddisfare, ed esaurire, il bisogno di non sentirsi troppo out di un certo pubblico che, malgrado l’analfabetizzarsi del mondo, continua piamente a frequentare librerie, aggiornarsi persino sul passato, credere fermamente che la cultura sia la salvezza, e che almeno certe cose, soprattutto in occasione di celebratissimi anniversari, bisogna pur conoscerle. Flaubert nel Dizionario dei luoghi comuni alla voce “Classici” scriveva che «Si suppone che tutti li conoscano»; e questa potrebbe essere la leva che spinge a comperare i recenti contributi alla divulgazione del Poeta. Poi si sa come vanno queste cose: Umberto Eco scrisse che una cosa è comperare un libro e un’altra è leggerlo, e che il sopra citato atto freudiano nella gran parte dei casi si riduce proprio a questo: a comprare un libro su Dante molto accattivante, la cui feticistica presenza nell’arredamento di casa svolgerà il compito apotropaico di tenere fuori di casa il demone dell’ignoranza. Fosse così facile…

Mentre Dante non è difficile: è difficilissimo. E il fatto che è bellissimo non è separabile dalla vertiginosa sequenza di ostacoli che ci pone: le due cose coincidono. E Dante sapeva bene che si diventa lettori della Commedia solo leggendola. Si pensi a quanti sono i momenti in cui si rivolge a noi – diciannove volte – e ci educa: «Aguzza qui, lettor, ben li occhi al vero» (Pg VIII 19), e «Leva dunque, lettore, a l’alte rote / meco la vista» (Pd X 7), ecc.

E basta arrivare, se ci si arriva, al fondamentale secondo canto del Paradiso, per leggere come l’altero e tutt’altro che simpatico (parola così italiana…) Poeta caccia via dal Capolavoro non pochi di noi: «O voi che siete in piccioletta barca, / desiderosi d’ascoltar, seguiti / dietro al mio legno che cantando varca, / tornate a riveder li vostri liti: / non vi mettete in pelago, ché forse, / perdendo me, rimarreste smarriti» (PD II 1-6); dove la «piccioletta barca» sta per la piccioletta testa dei lettori troppo semplici. E per farci capire che fa sul serio, ci propina un complicato dialogo con la maestra Beatrice che inflessibile lo interroga sulla natura delle macchie lunari: è un canto che per vendicarsi c’è chi l’ha definito arido (e invece è bellissimo).

Non si mette ovviamente in dubbio che la lettura della Commedia abbia bisogno di guide. Già ogni edizione del Poema ha un corredo di note bastante. E certo ottimi esempi di divulgazione esistono, a cominciare dal recentissimo Dante di Alberto Casadei (Il Saggiatore, 2020), a cui si può aggiungere almeno Il viaggio di Dante di Emilio Pasquini (Carocci 2015), in cui la Commedia è raccontata canto per canto, e L’ombra di Dante di Vittorio Sermonti (Garzanti, 2017), che con le sue letture per radio e in giro per l’Italia ha dato la migliore testimonianza del piacere di leggere Dante.

Quando Dante riconosce Virgilio sul limite della selva oscura, gli si presenta dicendogli «vagliami ’l lungo studio e ’l grande amore / che m’ ha fatto cercar lo tuo volume» (Inf. I 83-4) Se si dà un’occhiata alle loro biografie, si vede che si tratta sempre di cercatori dal lungo studio e dal grande amore… maturando un’esperienza pari almeno a quella che pretendiamo – tornando alla metafora della montagna – da una guida che ci debba accompagnare per vie aspre e pericolose.

Agli antipodi dei facilitatori dell’Età dell’Incompetenza (Tom Nichols, La conoscenza e i suoi nemici, Luiss 2018), c’è anche il saggio di Antonio C. Mastrobuono, scomparso poco dopo la pubblicazione di questo suo Il viaggio dantesco della santificazione (Olschky 2018, tradotto dall’autore stesso dall’inglese in italiano). Tra i mille modi di affrontare la Commedia, Mastrobuono – che ha insegnato a Harvard, alla Cornell University, di Boston, alla George Washington University, e negli ultimi trent’anni a Chicago – sceglie risolutamente un approccio teologico e filosofico. Non è la Commedia un viaggio verso Dio? Un Dio tutt’altro che generico: proprio il Dio cattolico il cui segno essenziale sulla Terra è la Bibbia, altro classico scarsissimamente frequentato dai cattolici.

Solo illazioni possiamo fare sulla “biblioteca” di Dante: certo onnipresente erano la Bibbia, Virgilio, Ovidio, Lucano, Stazio, Aristotele e la sapienza teologica che nel medioevo aveva scandagliato la Bibbia e la filosofia aristotelica fin nei recessi: soprattutto – per Mastrobuono – grazie all’opera di Tommaso d’Aquino. Così armato, il primo merito di Mastrobuono e rispostare il centro di gravità dell’intero Poema dall’Inferno al Paradiso. È il paradiso il luogo verso cui progressivamente e inesorabilmente la Commedia gravita. E la spia cruciale è in quel canto spesso trascurato, come un punto di puro passaggio, che è il II dell’Inferno: dove Dante chiede a Virgilio – domanda che attraversa tutto il Poema – perché proprio a lui sia stata concessa la prova del viaggio tra i morti.

Mastrobuono su tutto questo esprime una visione drastica e chiara. I temi sono quelli essenziali: cos’è la Grazia che fa di Dante – lui che non è nessuno – il prescelto per il viaggio? In quale momento quella Grazia si è manifestata? Cosa resta della libertà di Dante una volta circonfuso dalla scelta di Dio?

Mastrobuono usa soprattutto Tommaso d’Aquino come una sorta di passe-partout capace di illuminare pressoché tutti i passi essenziali del poema, e su questo ci sarebbe moltissimo da dire e magari da contestare. Lo fa attaccando senza mezzi termini il mainstream dei pur celebri e vitalissimi studi danteschi negli Stati Uniti (Singleton, Freccero…). Meraviglioso: non di solo Trump vivono – alcuni – uomini.

 

 

Antonio C, Mastrobuono

Il viaggio dantesco della santificazione

traduzione dall’inglese dell’autore

Olschky, Firenze  2019

  1. XVIII-280, euro 35,00