Dello sguardo e dei nomi

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Due impressioni da Ballate di Lagosta di Christian Sinicco

di Carlo Selan

 

Dello sguardo

La prima sezione del libro, Canzone di Spalato, si chiude con un’immagine, «due donne chiacchierano e un pallone vola… / lo fermo e lo ridò alla bambina stupita / che è al centro della storia». Nella memoria del lettore subito riaffiora un’altra conclusione, quella del racconto Un paio di occhiali di Anna Maria Ortese: «È mezza cecata! – È mezza scema, è! – Lasciatela stare, povera creatura, è meravigliata, – fece donna Mariuccia, e il suo viso era torvo di compassione, mentre rientrava nel basso che le pareva più scuro del solito!». Se nel racconto di Anna Maria Ortese è un paio di occhiali da ottomila lire indossati da una ragazzina miope a divenire sguardo e possibilità di trasfigurare nella luce la Napoli poverissima e ferita del dopoguerra, nelle Ballate di Lagosta la «bambina stupita / che è al centro della storia» sembra essere personificazione di una possibilità di sguardo. Comune tra le due opere è una maniera di rapportarsi con il mondo quasi sensuale per quanto è diretta e legata ai sensi. Stupore e meraviglia. Stupore, però, che è anche mezzo scemo («all’alba / credi di sapere cosa sia la guerra / con la birra della tradizione, la Karlovacko / ancora sulla panchina») e mezzo cecato («di questo stato di carogne, per cui la vita è dura, l’ombra è il trauma / e la cecità decisiva», «abbiamo bisogno di un chiaroscuro […] di non accorgerci che questo blu è l’istinto di morte che ci sovrasta»). Stupore che si confonde con il sogno («siete voi questi sogni che pensano l’esistenza»). In questo forse si spiega tanta parte della complessità di versi come «io ti chiamo nella tua bellezza, prima che tutto si veda nella sua immagine».

Dei nomi

Buona parte dei testi di Ballate di Lagosta ha nel titolo dei nomi propri di persona dal tono slavo. Nomi che sembrerebbero essere quelli di chi abita a diverso titolo l’isola croata di Lastovo (Lagosta in italiano), da cui il titolo della raccolta. E come se chi scrivesse Ballate di Lagosta (l’autore) cercasse di risolvere una questione della precarietà del suo poter dire quanto sta guardando, quanto sente e osserva, chiamando a raccolta dei nomi, degli incontri densi o fugaci. Non dando loro la parola, in forma di testimonianza (anzi, la cosa più interessante è proprio che questo non avviene, ma ogni nome è invece messo in un rapporto articolato con l’io che nelle poesie dice sé stesso, un tu o un egli) e attestando che in qualche modo che essi ci sono, esistono, non sono dimenticati. Mojmir, Marijana, … Resta inevitabilmente inevasa ogni domanda su chi siano gli individui che portano questi nomi. Forse si può parlare di queste figure come possibilità per l’autore di recuperare quella doppia ambivalenza del termine auctor che esiste fin dall’antichità: chi è vero e proprio esecutore o creatore di un’opera, ma anche chi è soggetto che autorizza l’opera stessa ad essere e a essere chiamata tale. Esse, infatti, compartecipano alla possibilità di essere di questo libro. Una serie di nomi e persone non dimenticati, ma trascritti uno a uno, persone la cui identità è anonima e nel contempo stesso così necessaria e precisa «per chi è senza futuro, / per chi è nato, / ma non ha nulla / ed è perduto e sembra nell’aria / portato dal mare, / portato da chissà dove / un incanto che è morte / canto alla memoria».

 

Christian Sinicco

Ballate di Lagosta

Donzelli editore, 2022

  1. 96, euro 15,00

 

 

Riquadro:

 

dalla sezione Ma voi non fermate il loro canto

 

l’isola è un uomo,

il suo cuore l’estasi e la sua lingua

estesa ovunque, liquida,

ma dopo la tempesta

i colori dell’erba sono bruciati,

il paesaggio si è raffreddato

e ha spinto un vento ignoto

il ciclone dell’inverno tra le barche,

e nessuno ricorda

le parole disperse sul cielo nero,

i nomi morti nel Mediterraneo

 

*

 

e tu tornerai ogni giorno all’alba

con gli spazi vuoti da custodire:

tra le pietre scolpite

la linea della costa

sarà mutata, ed io non saprò

di te, se ti tufferai

o scenderai tra i gradoni

di calcare e poserai

sopra la posidonia

la tua sagoma di uomo

che continuerà a muoversi con le onde,

che continuerà a crescere dopo di me,

dopo la mareggiata

e l’erosione della nostra memoria