Dieci “giusti” italiani

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In un volume della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli i profili di dieci personalità ispirati da visioni che avrebbero fatto un’Italia (e un’Europa) migliore

di Pierluigi Sabatti

 

Un antidoto contro il fascismo che sta riesplodendo nel nostro Paese si trova in un libro dal titolo bizzarro: Storie della buonanotte. Per nuova progressista. Non fatevi ingannare: non sono favole per favorire il sonno, anche se il lavoro è, come suggerisce nella prefazione Elly Schlein (stella in ascesa nel firmamento del Pd), un livre de chevet, da tenere sul comodino, che certamente non farà addormentare perché sollecita a pensare, a riflettere. Grazie ai sapienti suggerimenti che i curatori invitano a trarre dalle vite dei “Giusti”, come mi piace chiamarli rifacendomi alla tradizione ebraica. E per i collegamenti immediati e spontanei con la squallida situazione che presentano oggi la politica e la società italiane.

Cominciamo con i personaggi scelti, i dieci “Giusti” sono: Luigi Einaudi, Giuseppe Di Vittorio, Vittorio Foa, Ernesto Rossi, Silvio Leonardi, Ada Gobetti, Alexander Langer, Lina Merlin, Franco Basaglia, Tina Anselmi. Sono tutti perseguitati dal fascismo che hanno combattuto, fuorché Langer per ragioni anagrafiche, visto che è nato nel 1946.

La documentazione consultata dagli autori appartiene all’Archivio Giangiacomo Feltrinelli diretto dal triestino Massimiliano Tarantino, che ha voluto realizzare quest’opera, di cui Elly Schlein spiega magnificamente lo scopo: non si può costruire il futuro senza un’accurata analisi del passato. Cosa ovvia, dirà il lettore. Ovvia sì, ma non tanto praticata. Anzi il passato, quando viene ricordato è per strumentalizzarlo, quando ci si mettono di traverso i partiti, soprattutto certi partiti che amano la “historia oficial” per speculare alla ricerca disperata di voti, da qualsiasi parte provengono. Come la pecunia non olet, oggi non olet neanche il suffragio dei fanatici no vax. Una delle maschere del rinato fascismo italiano.

Ma andiamo a conoscere questi personaggi, che hanno sostenuto e difeso le istanze sociali come quelle per Una società più equa, titolo della prima parte del volume. A cominciare da Luigi Einaudi, primo Presidente della neonata Repubblica italiana (il predecessore Enrico De Nicola fu capo dello Stato provvisorio perché non erano state ancora definite le prerogative dell’istituzione repubblicana che andava a sostituire la monarchia, bocciata dal referendum del 2 giugno 1946).

Liberale, liberista e antifascista, Einaudi appoggia in un suo saggio l’istituzione dell’imposta patrimoniale, ritenuta una forma di tassazione dei progressisti. Strano che un economista di quella formazione, che all’epoca era Governatore della Banca d’Italia, si pronunciasse per la patrimoniale. Ma Einaudi era anche pragmatico: bisognava ricostruire il Paese e questi introiti servivano. Per arrivare a una società più equa.

Einaudi è anche un esempio di sobrietà: la racconta Ennio Flaiano, ospite a una cena ristretta, otto soli convitati, al Quirinale. Al momento dell’arrivo della frutta, il vassoio enorme e ricchissimo che stupisce il Presidente, offriva anche delle pere piuttosto grandi, tanto che Luigi Einaudi chiede chi volesse condividere una e Flaiano si candida. Poi non ebbe più occasione di vedere il Presidente e al Colle salì un altro (che Flaiano non nomina, ma si tratta di Giovanni Gronchi) sottolineando che «cominciava la Repubblica delle pere indivise».

Sempre a una società più equa mirava Giuseppe Di Vittorio, il sindacalista, formatosi già da bambino al duro lavoro nei campi di Cerignola e che si era costruito una cultura studiando di notte, fino ad arrivare in Parlamento. Perseguitato dai fascisti e incarcerato, liberato da Badoglio, nel ’44 promuove il “Patto di Roma” per il sindacato unitario. Dopo la guerra come padre costituente contribuisce all’art. 39 che sancisce la libertà e la pluralità sindacale. La sua attività politica e sindacale getta le basi per quelle tutele dei lavoratori che matureranno negli Anni Settanta, a torto ricordati come “gli anni di piombo” perché furono anni di riforme sostanziali per la vita del Paese. Infatti, come affermò in una sua profetica vignetta Altan, poi cominciarono gli Ottanta, che definì “anni di merda”. Che durano ancora: infatti di quelle tutele sono state fatte strame in nome di un liberismo, che è di pura facciata.

Un altro grande del sindacato, che a quelle riforme ha contribuito, è Vittorio Foa, che su Mondo operaio e su vari suoi testi offre spunti fondamentali di riflessione sulla democrazia che dia «pienezza di espressione ai sindacati e alle altre organizzazioni di interesse». Il problema dell’autonomia (della politica e del lavoro) e della democrazia sarà alla base delle analisi di Foa su questioni sempre diverse come il neocapitalismo e lo sviluppo tecnologico. Sarà con gli studenti nel ’68, condannerà l’intervento in Cecoslovacchia e più avanti il concetto di autonomia sarà ripensato nel contesto più ampio del rapporto tra Stato nazionale e ordine sovranazionale. La sfida dell’Europa, dopo la fine del comunismo e la crisi della socialdemocrazia per l’unico socialismo possibile, quello libertario che rivendica democrazia e redistribuzione dei redditi, è mettere al centro appunto l’autonomia del lavoro, l’autodeterminazione dei lavoratori”.

Pura utopia nell’epoca dei nuovi schiavi, dei “rider”, che portano i pasti nelle case, a proprio rischio e pericolo, con contratti farlocchi e senza assicurazioni.

L’ultimo personaggio di questa prima parte del libro è Ernesto Rossi che partecipa alla stesura del Manifesto di Ventotene, per un’Europa libera e unita. Rossi si arruola nella Grande Guerra spinto dal fratello, ma si accorge ben presto che le “filosoferie patriottiche” portavano giovanissimi soldati a morire come “poveri fantaccini”. Gli anni sulla linea dell’Isonzo lo provano duramente. Tornato dal fronte, si lega a Gaetano Salvemini, esponente socialista e meridionalista, tra i fondatori di Giustizia e libertà, che lo considera il figlio che avrebbe voluto avere. Viene perseguitato dal regime; finisce a Ventotene dove elabora quella meravigliosa Carta che il nostro Paese dovrebbe essere orgoglioso di aver partorito, grazie ai suoi uomini e alle sue donne migliori, nei momenti più tragici della storia del nostro continente e che delinea l’Europa come la vorremmo. Purtroppo non com’è oggi.

E certamente le scelte di Rossi e degli altri intellettuali che realizzarono il manifesto di Ventotene guardano al futuro, come si intitola la seconda parte del volume, che viene aperta dalla biografia di Silvio Leonardi, forse una delle figure meno note dei dieci “giusti”. Leonardi, deluso dal fascismo e dall’imperialismo coloniale del regime, aderisce al partito comunista. Richiamato alle armi, sarebbe stato spedito in Albania se il controspionaggio non avesse avuto bisogno di qualcuno che conosceva il russo, che lui aveva studiato. Gli salva la vita. Partecipa alla Resistenza nelle file comuniste, ma è un “comunista-liberale”, come lo definisce Togliatti, perché, come scrive Leonardi stesso in un articolo per l’Unità , che non fu mai pubblicato: «certamente si può e si deve cambiare, il cambiamento è indice di vitalità, come è dimostrato anche dal contesto sociale in cui viviamo, che cambia velocemente».

Il secondo personaggio di “Guardando il futuro” è la prima donna vice sindaco d’Italia nel 1946: Ada Gobetti, moglie di Piero, con cui ebbe «un’unione sentimentale, politica e culturale di intensissima forza». Lui viene picchiato selvaggiamente dai fascisti nel ’26 e si rifugia a Parigi dove, debilitato dal pestaggio, muore; lei si ritrova vedova e con un figlio a 24 anni. Ma non molla, insegna, dà lezioni private e porta avanti gli ideali del marito, ma soprattutto si batte per la “scuola di tutte e di tutti”, per quello che lei chiama “il corpo della scuola” aule attrezzature, didattica e promuove l’alleanza insegnanti-genitori. Nel ’68, poco prima di morire si schiera con gli studenti e il suo Giornale dei genitori viene affidato alla guida di Ganni Rodari. Per sua fortuna si è risparmiata l’insulto dei ricorsi al Tar di genitori insoddisfatti per i voti dati ai figli.

L’unico dei dieci “Giusti” che non ha fatto la Resistenza è Alexander Langer, come detto per ragioni anagrafiche, il leader dei verdi che anticipa, forse troppo per essere compreso, i grandi temi ambientali di oggi. Ma soprattutto individua la matrice intellettuale e la base sociale nelle élite metropolitane, private del rapporto diretto con la natura. Langer sottolinea come i verdi possano scegliere di essere «catalizzatori di una profonda riforma della politica, in nome della vivibilità del presente» e «per le generazioni future o di ricadere nell’ambito dei movimenti effimeri che hanno una loro stagione ma poi non riescono a mettere radici». Aveva visto giusto.

Ma Langer è anche l’uomo che sfida i confini di quel Sud Tirolo dove negli Anni Settanta, anni di duri scontri, cerca di persuadere i suoi conterranei all’unica alternativa possibile: la convivenza tra diverse etnie, rispettandosi reciprocamente. Le sue idee, «conversione ecologica come scelta socialmente desiderabile, l’ascolto gentile, i lunghi cammini individuali e collettivi, il senso della comunità diffusa: tutto questo lo trasfonde nella “Fiera delle Utopie Concrete” a Città di Castello nel 1988». La prima edizione si svolge in un ex manicomio, una scelta simbolica forte in connessione con i progressi della nuova psichiatria di Basaglia, che incontreremo tra poco.

Ma dai Balcani soffiano, come la bora fredda e crudele, i venti di guerra. Lui si batte contro l’orrore organizzando innumerevoli iniziative. Però il peso delle disillusioni a cui è andato incontro durante la sua breve vita gli sono insopportabili: muore suicida a 49 anni.

L’ultima parte del volume si intitola “Prendersi cura” e non a caso sono donne due su tre personalità narrate. La prima è Lina Merlin, la criticatissima senatrice socialista che chiude le “case chiuse”, scusate il bisticcio. Ancor oggi i nostalgici invocano quell’organizzazione che sfruttava le donne e le bollava in modo tale che non potevano rifarsi una vita fuori dai bordelli. Fu giusto chiuderli, ma forse bisognava in qualche modo regolare la prostituzione affinché non fosse più motivo di sfruttamento. La Merlin non riesce a immaginare il passo ulteriore, pur continuando a battersi per l’emancipazione delle donne più oppresse. La sua intransigenza e la sua inflessibilità la portano in conflitto con il partito e nel 1963 lascia la politica, ritirandosi a vita privatissima.

Il nono dei “Giusti” è Franco Basaglia, personaggio che conosciamo benissimo perché a Gorizia prima e a Trieste poi ha realizzato quella riforma della psichiatria che ha fatto il giro del mondo. Posso dire, avendo vissuto quell’esperienza da spettatore attento, che Basaglia trova a Trieste uomini politici come Michele Zanetti, che lo ha sostenuto anche forzando la situazione nel suo partito, la Democrazia Cristiana. Ne è scaturita la legge 180 che apre i manicomi, a favore di nuove pratiche di cura e a favore del valore terapeutico della relazione umana e della psicoterapia.

L’ultima personalità del volume è Tina Anselmi, pure lei democristiana, definita la “Tina vagante” perché fu una parlamentare dalla schiena dritta, anche dentro il suo partito. Fu il primo ministro donna del Lavoro e anche della Sanità, settori che riformò con coraggio. Per il primo firmò nel ’77 la legge sulla parità di trattamento tra uomini e donne; per la seconda recuperò un testo di riforma che languiva da dieci anni in Parlamento, adeguando il sistema sanitario al diritto fondamentale della salute garantita dalla Costituzione: una svolta storica per gli italiani, soggetti fino ad allora ad un caos di casse mutue.

Dall’81 all’85 fu presidente della Commissione d’inchiesta sulla Loggia P2. La sua ricerca della verità non arretrò di un passo davanti a interdizioni politiche, minacce, tentativi di delegittimazione.

Lasciò scritto: «La nostra storia ci dovrebbe insegnare che la democrazia è un bene delicato, fragile, deperibile, una pianta che attecchisce solo in certi terreni, precedentemente concimati attraverso la responsabilità di tutto un popolo. Dovremmo riflettere sul fatto che la democrazia non è solo libere elezioni, non è solo progresso economico. È giustizia, è rispetto della dignità umana, dei diritti delle donne. È tranquillità per i vecchi e speranza per i figli. È pace».

Come scrive Caterina Croce nella bella postfazione: «questo libro ti porta a imbatterti in un passato che non hai conosciuto e che pure ti fa dire “eccolo è mio sono io”».

 

 

Storie della buonanotte

Per nuova progressista

Fondazione Giangiacomo

Feltrinelli, Milano 2021

  1. 190, euro 16,00