Il postino, il poeta e la metafora

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di Stefano Crisafulli

 

‘La poesia non è di chi la scrive, ma di chi gli serve’: così disse Mario Ruoppolo, ovvero Massimo Troisi, a Pablo Neruda, interpretato con estrema naturalezza (anche grazie a una indubitabile somiglianza) da Philippe Noiret, in una scena del film Il postino (1994). E di poesia trabocca questo film diretto da Radford in collaborazione con Troisi (anche se tale collaborazione non venne pienamente riconosciuta) e sceneggiato, oltre dagli stessi Radford e Troisi, da Anna Pavignano, Furio e Giacomo Scarpelli. Certo, a volte la necessità di rendere poetiche le scene determina un eccesso di sentimentalismo, cui contribuisce la colonna sonora di Louis Bacalov, non a caso l’unico Oscar tra tante nomination (film, regia, sceneggiatura non originale e attore protagonista), ma il suo pregio sta nel fatto che di poesia si parla nel modo più giusto, andando a toccare la concretezza della parola poetica e, perché no, la sua utilità, come sostiene Ruoppolo, per chi ne fa un uso personale (‘di chi gli serve’). Sembrerebbe quasi che si parli di una droga e, in effetti, la poesia permette di potenziare le nostre capacità sensoriali, ma senza alcun effetto distorsivo o collaterale: semplicemente, aiuta ad accorgersi delle cose e a vederle in modo diverso.

Tornando al film e al suo racconto: Troisi e Radford si ispirarono al libro di Antonio Skarmeta Il postino di Neruda, spostando, però, l’ambientazione dal Cile e da Isla Negra ad un’isola del sud Italia (più di una, in realtà: Salina, Procida e Pantelleria saranno i luoghi delle riprese) e retrodatando la storia dal 1969 al 1952. Il postino Mario Jimenez del romanzo diventerà Mario Ruoppolo e Beatriz, la donna di cui si innamora Mario, diverrà Beatrice e verrà immortalata per sempre da Maria Grazia Cucinotta.

Per conquistare Beatrice, Mario non esiterà ad usare le poesie d’amore di Neruda (il che farà arrabbiare il poeta, a cui Ruoppolo risponderà con la frase citata nell’incipit di questa recensione). L’asilo politico chiesto all’Italia da Neruda, che lo porta ad essere ospite dell’isola nel film di Radford, non è lontano, ad ogni modo, dalla biografia reale del poeta: nel 1952 visse tra Capri e Ischia in esilio proprio a causa della dittatura cilena di Gabriel Gonzàlez Videla. La centralità del rapporto (romanzato) dell’unico postino dell’isola con Neruda è anche il succo della sottile trama del film, che però può contare su due interpreti straordinari come Troisi e Noiret. In particolare Troisi è riuscito a dare una profonda umanità al personaggio umile e desideroso di imparare del postino Mario, sapendo anche di rischiare molto dal punto di vista fisico personale. Questo sarà, infatti, l’ultimo film di Troisi, che morirà di malattia poco dopo la fine delle riprese. Il postino acquisirà, con la sua morte, raddoppiata in senso filmico (Mario, acquisita una coscienza politica anche grazie a Neruda, verrà ucciso durante una manifestazione), un inevitabile carico simbolico e testamentario. Ruoppolo, oltre alla passione politica per il comunismo (in Italia acerrimo avversario della DC), incarna la possibilità della poesia di essere di tutti, nonostante la sua falsa fama di accademica e snobistica lontananza dal popolo. E nessun altro se non Neruda avrebbe potuto mostrare così bene il lavoro del poeta: le sue poesie d’amore, ma anche le splendide Odi elementari dedicate ai frutti della terra, si riferiscono a soggetti concreti (una donna, un limone) e, soprattutto, si ammantano di metafore. Un’altra scena famosa è proprio quella di Neruda che per spiegare a Mario cosa sia una metafora, gli porta come esempio una poesia sulle onde del mare e, quando Mario gli dice di essersi sentito ‘come sbattuto qua e là dalle parole della poesia’, lo rende consapevole di aver fatto una metafora. Mario aggiunge inoltre: ‘Ma allora il mondo intero è una metafora di qualcosa..’, mettendo Neruda (e noi spettatori) in seria difficoltà. Ancora più bello è il commento di Ruoppolo a un verso della poesia di Neruda Walking around, ‘succede che mi stanco di essere uomo’: ‘È successo anche a me, qualche volta, ma non sapevo come dirlo’.