Diradare l’ombra

| | |

Un volume che mette in luce i libri di Claudia Zironi, le interviste e ogni altro suo apporto, e soprattutto raccoglie ciò che è stato scritto e detto di lei da poeti e critici.

di Luisella Pacco

 

Sapete, noi poeti (che presunzione dire così, perdonatemi) spesso l’un l’altro non ci ascoltiamo. Andiamo là dove siamo stati invitati – la lettura pubblica, l’evento… – con le nostre poesie strette nella mano, l’emozione di dover leggere (e allora, chi può ascoltarli, quelli che leggono prima?) e poi l’emozione di aver appena letto (e dunque, come ascoltare quelli che leggono immediatamente dopo?).

Alla fine ci si saluta con cordialità, e via, senza un ricordo autentico, solo qualche foto che eventualmente qualcuno ha scattato e che conserveremo tanto per dire “c’ero anch’io”.

Ma… c’ero davvero?

Poi ci sono le circostanze più fortunate, più rare, più intense, in cui qualcosa davvero accade.

Claudia Zironi e io ci siamo conosciute in una di queste occasioni “magiche”: la serata dolcissima, che ricorderò a lungo, del luglio scorso, al festival di poesia “Notturni Diversi” organizzato a Portogruaro dall’associazione Benandanti.

C’eravamo Claudia Zironi, Silvia Secco, Matteo Cimenti e io. Non conoscevo nessuno di loro.

Ecco, quella sera ho osservato, ho ascoltato, ho sentito una partecipazione (mia per gli altri e degli altri per me) intima ed entusiasmante.

Come e perché nascesse l’incanto, non so. Forse per l’invito che arrivava da due poeti che già stimavo moltissimo, Guido Cupani e Piero Simon Ostan. Forse per la presenza di Francesco Tomada (che ancora non avevo mai conosciuto personalmente ma apprezzavo) e che sapeva introdurre ciascuno di noi con un’attenzione delicata e profonda. Forse per il luogo suggestivo. Chi lo sa… Fatto è che quella sera è stata giusta, è stata vera.

Le conoscenze che ne sono nate mi sono sembrate subito preziose.

Quando mi succede, il primo pensiero che me ne viene è di invitare queste persone nel mio programma radio, dove ancor meglio posso conoscerle, scandagliarle come fa il navigante con mari sconosciuti. A novembre, ho avuto in studio Claudia Zironi.

Quella sera d’estate di lei mi avevano colpito le braccia.

“Le braccia?!” direte.

Sì, le braccia, che Claudia teneva abbandonate lungo i fianchi mentre recitava le sue poesie. Ma il verbo “recitare” non va bene…. Cito le parole perfette di Francesco Tomada: “Non trovo il vocabolo giusto: recitare? Declamare? Leggere? Nessuno mi sembra adeguato, non parliamo di una recita né di una esibizione. Il concetto è proprio quello di “oralizzare”, utilizzare la propria voce ma anche il proprio fiato, i gesti, l’intera persona per trasmettere la poesia che si è scritta”.

Ecco, Claudia faceva questo e lo faceva con queste braccia lungo i fianchi, senza difese, senza schermi, come quando nei momenti importanti della vita ci si mette nudi di fronte alle cose che accadono con una sorta di umile fierezza. Niente finzioni, niente mani agitate davanti a sé, niente quaderni da stringere o pagine da girare.

Io ce l’avevo, la mia cartellina con i fogli plastificati, e temo anche di aver messo spesso la mano sul microfono come una bambina che gioca alla cantante. Sembrano vezzi ma sono condanne, sono cicatrici della timidezza. Il quaderno, la pagina, il microfono, qualsiasi cosa va bene per coprirsi almeno un poco.

Claudia e le sue braccia rilassate, invece, dicevano: eccoci, io e la mia poesia, eccoci qui davanti a voi, forti e inermi, noi non ci nascondiamo.

Nata a Bologna nel 1964, una laurea in Storia Orientale, un master in Gestione d’impresa, Claudia Zironi ha iniziato a pubblicare tardi (anagraficamente), ma appunto per questo lo fa con la maturità polposa che viene dal silenzio, dallo scrivere sperimentando e lasciando decantare, dall’esperienza del vivere, dal tempo impiegato a soffrire gioire lavorare amare.

L’ho già scritto in precedenti occasioni e non mi stanco di ripeterlo: il poeta che solo scrive, che

scrive troppo, che scrive sempre, che pubblica compulsivamente ogni verso (ovviamente a pagamento), alla fine è come se non scrivesse niente.

È necessario un tempo di autocensura, di riservatezza, che sia corroborante per le parole a venire. E allora, iniziare tardi, è forse la migliore delle partenze.

Lo dice meglio di me Sonia Caporossi, curatrice di un volume di cui vi parlerò tra poco.

Zironi è una poetessa che, prima di pubblicare, ha lavorato alla lenta e indefessa forgiatura di una propria poetica differenziale, di una voce personale che avesse qualcosa da dire, senza fretta e senza forzature, in anni e anni di esperimenti nel chiuso del cassetto. Allora, sembra il caso di indagare più a fondo la poetica di questa autrice che si è proposta alla lettura apparentemente tardi, in realtà nel momento più opportuno a offrire un quid universalmente comunicabile, fuori da qualsiasi epigonismo e lungi da pretenziosità sedicenti.

 

I libri di Claudia Zironi sono Il tempo dell’esistenza (Marco Saya edizioni, 2012, prefazione di Paolo Polvani); Eros e Polis. Di quella volta che sono stata Dio nella mia pancia (Terra d’Ulivi, 2014), con chine originali di Alberto Cini, prefazione di Daniele Barbieri, libro tradotto anche negli Stati Uniti grazie all’intervento di Alfredo de Palchi; Fantasmi, spettri, schermi, avatar e altri sogni (Marco Saya edizioni, 2016); Ursprüngliches Leben. Poesia e pittura in dialogo (EdizioniFolli, 2018) con poesie di Zironi e di Silvia Secco, in dialogo tra loro e con i quadri – di contenuto spesso civile e sociale – di Martina Dalla Stella, libro che è anche spettacolo con musica e proiezione delle slide; e infine Variazioni sul tema del tempo (collana Versante Ripido nr.2, 2018).

Versante Ripido, appunto… Una creatura importante per Claudia. Fanzine online per la diffusione della poesia, nonché associazione culturale, che vi invito a scoprire visitando il sito www.versanteripido.it

Ma – sorpresa! – nel 2019 esce un volume, che mette in luce i libri di Claudia, le interviste e ogni altro suo apporto, e soprattutto raccoglie ciò che è stato scritto e detto di lei da poeti e critici (numerosissimi) chiamati appunto contributors. È un libro che ragiona sopra Claudia in un modo che permette di conoscerne l’opera in ogni sfumatura.

Si tratta di Diradare l’ombra, pubblicato a cura di Sonia Caporossi. Un’antologia… È una cosa che stupisce. Vien da chiedersi, con ironia: ma non occorreva esser morti? O almeno vecchissimi e con la penna asciutta da decenni?

No, non occorre. Può – deve – esistere un volume del genere anche su un autore che ci vive accanto, che ci sopravvivrà e ci soprascriverà, consentendo una riflessione profonda che altrimenti sarebbe impossibile.

Perché? Perché oggi il materiale di un poeta è volatile quanto i semi di un dente di leone soffiato nel vento.

Siamo nell’epoca – benedetta e maledetta insieme – di internet, dell’oscuro web a cui affidiamo i versi. Una poesia scritta su questo o quel sito; un’altra ospitata nel blog di un amico; una critica pregevole ricevuta su un lit-blog importante; la collaborazione con la tal rivista online; e via dicendo.

Se l’attività è densa e vivace, persino al poeta stesso dopo un po’ risulterà difficile riannodare i fili di ciò che ha scritto e di ciò che è stato scritto su di lui.

E perciò, è proprio in un’era tecnologicamente labirintica e generosa che più serve un intervento editoriale di questo tipo.

Sonia Caporossi scrive: ho ragionato circa l’interesse precipuo di lavori filologici del genere su autori ultracontemporanei, di cui si auspica un futuro svolgimento editoriale sempre più diffuso. Tale interesse consiste nel fissare su carta variegati e valevoli sforzi critici sparsi nell’etere che normalmente sarebbero invece destinati all’oblio: dispersività tanto più paradossale quanto più riflettiamo sul fatto che internet, nella sua declinazione multiforme in riviste online, lit-blog e siti dedicati, dovrebbe garantire non solo la reperibilità sempiterna delle informazioni, ma anche la loro appetibilità.

 

In questo volume, appaiono anche alcune delle ultimissime poesie, gli inediti del 2019, di Claudia Zironi che a breve non intende pubblicare altro.

Infatti, verso la fine della puntata, alla mia consueta domanda (stai lavorando su un nuovo libro?, hai in mente un progetto?), Claudia mi dà con pacatezza una risposta semplice quanto saggia, da cui molti poeti torrenziali dovrebbero imparare: “…più che altro leggo” mi dice, “e mi dedico al cinema, mi riposo… Prima voglio che mi venga in mente qualcosa a cui dedicarmi in modo sistematico… Avevo bisogno di fermarmi…”

Già, leggere. Nutrirsi d’altro, d’altri. E fermarsi. Sapersi fermare.

Così si torna a quel discorso che mi è caro, a quell’intimo coraggio di lavorare seriamente senza per questo dover pubblicare subito. Si torna a quel saper cadere nel silenzio, che io tanto ammiro. I poeti devono prendere esempio da un fiume carsico.

In questo articolo non ho citato versi, invitandovi piuttosto a leggerli nei volumi che vi ho indicato. Mi permetto solo di chiudere con questi, gli stessi con cui Claudia ha voluto aprire la puntata:

 

Mi si prenda così, senza esimermi

dal compiere atti avventati e sciocchi

nella mia impulsività, con le vive debolezze

e le frustrazioni, con tutte le insicurezze

dell’eterna adolescente, mi si prenda

per come vi vedono belli i miei occhi e

si commuovono leggendo i vostri versi

per la gratitudine del giorno, per la pace

negata dei sogni, per la morbidezza della pelle.

Per ogni capello bianco e ogni nuovo segno

mi si prenda, cura e palliativo del dolore

come scampata all’estinzione, come predestinata

alla morte. Mi si prenda e basta, senza incertezza

dandomi temporaneo, incondizionato Amore.
 

 

Claudia Zironi

Diradare l’ombra

a cura di Sonia Caporossi

Marco Saya edizioni, 2019

  1. 322, euro 20,00