DIRITTO D’ASILO

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Avrebbe avuto il diritto di andare all’asilo, prima ancora di quello di ricevere asilo politico il piccolo Aylan Kurdi, il bambino riportato dalle onde su una spiaggia turca. Le immagini del suo corpicino prono sulla sabbia della battigia hanno fatto il giro del mondo con la forza squassante di un’empatia che ha commosso milioni di persone, producendo finalmente un risveglio delle coscienze che parevano distratte e ostili, refrattarie a ogni minimo progetto di accoglienza nei confronti di quanti si accalcano alle frontiere terrestri e marittime del nostro continente. L’icona tragica di quel piccolino interroga oggi le nostre coscienze e ci aiuta forse a comprendere con accentuata nitidezza il fenomeno epocale che si è manifestato negli ultimi anni per assumere in quest’estate che sta finendo dimensioni impressionanti, con gli sbarchi e le migrazioni di intere popolazioni dall’Africa e dal Medio Oriente verso un’Europa, divenuta Terra Promessa per masse sempre più sterminate di disperati in fuga dalla miseria, dalla guerra e dalla barbarie di un terrorismo che sembra disconoscere ogni minimo valore umano.

Quanto vediamo oggi consumarsi davanti ai nostri occhi è con ogni evidenza un fenomeno di dimensioni abnormi, col quale dovremo fare i conti nei prossimi decenni, in un’esasperazione sempre più accentuata, tale comunque da spiegare, ma non da giustificare, gli atteggiamenti di chiusura e di ostilità nei confronti delle masse che premono alle nostre porte. Anche se comprensibili, tali atteggiamenti sono frutto di paure in parte irrazionali, fomentate e tenute accese da analisi politiche rozze, tali da condurre – tra l’altro – a pericolose avventure militari.

Gli atteggiamenti accoglienti che si sono manifestati in una parte della popolazione come in alcuni governi europei, a partire da quello tedesco, tra la fine di agosto e i primi giorni di settembre, sembrano dare corpo a una visione del problema improntata a comportamenti più umani e solidali.

L’Europa può affrontare questa non facile prova storica in due maniere, ancora una volta erigendo muri oppure gettando ponti.

La prima via è storicamente votata al fallimento, come ha insegnato Berlino, segata in due da quel mostro metropolitano che sembrava inattaccabile per quasi trent’anni e che è stato gioiosamente distrutto in un’indimenticabile serata di novembre nel 1989. Come quello berlinese, anche il muro (reale o ideale) che i leader populisti europei propongono come fosse realmente realizzabile costituisce, più che non sembri a prima vista, una dimostrazione di debolezza e non di forza, estrema inutile prova di una società che non sa trovare altrove che nei propri conti in banca – miliardari o miserabili che siano – una ragion d’essere della propria identità da difendere a ogni costo contro orde di invasori, “barbari” per definizione.

L’altra via, che debolmente comincia a farsi largo tra la gente e tra i governi, nasce da una cultura che sa bene quello che siamo noi europei, quelle che sono le nostre radici più profonde, tanto quelle cristiane, nelle varie declinazioni del termine, quanto quelle della razionalità, dell’Illuminismo, del diritto come garanzia per tutti, della laicità, di quella forma di governo chiamata democrazia, nata sulle sponde di quello stesso Egeo che ci ha restituito il piccolo Aylan. In quelle stesse terre, tra l’altro, si designava con la medesima parola tanto lo straniero che l’ospite.

La via da percorrere appare, una volta di più, quella della cultura, del preciso avvertimento di quello che in tanti secoli di storia ci siamo costruiti per realizzare un mondo dove vorremmo abitare: la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, i Principi fondamentali della prima parte della nostra Costituzione, il valore della misericordia nel dettato evangelico, la parola Fraternité nel motto dell’amica Repubblica Francese, le parole di Schiller nell’Inno alla gioia musicato da Beethoven: “Alle Menschen werden Brüder /Tutti gli uomini saranno fratelli”.

Soltanto a partire dalla consapevolezza che il nostro vivere associato è fondato su tali valori può indicarci la strada per affrontare la non facile prova che condurrà l’Europa e la vita di ciascun suo abitante ad essere, fatalmente, diversa da come l’abbiamo conosciuta. Che tale prossimo futuro sia un ambito di civiltà, di libertà e di convivenza e non di barbarie, arbitrio e violenza dipenderà dalle scelte che siamo chiamati a fare oggi.