Dorfles contro il “rumore”

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Riuniti in un unico volume quattro saggi di lucida analisi della contemporaneità

di Roberto Curci

 

è un librone di quasi 800 pagine. Né potrebbe essere diversamente risultando dalla collazione di quattro saggi di Gillo Dorfles, scanditi dal 1968 al 2008: saggi che, avverte la controcopertina, «segnano altrettante tappe di una riflessione estetica ricca e dinamica, in evoluzione come materia viva». Una tantum non sono parole di mera promozione editoriale, ma rispecchiano la realtà di un percorso intellettuale di rara lucidità, costantemente attento alle oscillazioni del gusto e delle mode, ai “riti” e ai “miti” della contemporaneità.

Sotto l’indovinato titolo di Estetica dovunque, sono raccolti Artificio e natura, Intervallo perduto, Elogio della disarmonia e Horror Pleni, quest’ultimo licenziato da un Dorfles novantottenne ed esemplarmente riassuntivo del suo pensiero. Corredano i quattro saggi un’introduzione di Massimo Cacciari, una breve nota di Umberto Eco e uno stimolante dialogo tra Dorfles e il filosofo e storico Aldo Colonetti risalente al 2001 ma qui pubblicato per la prima volta.

«Per me – precisa Dorfles proprio all’inizio di tale dialogo – l’estetica è stata sempre qualche cosa che non è solo filosofica, ma è anche legata ad altre discipline come l’antropologia, la psicanalisi, la semiotica, in altre parole le cosiddette scienze umane; è solo così che possiamo avere un approccio all’opera d’arte che non sia esclusivamente teorico e quindi che non comprenda quelle caratteristiche diciamo così sentimentali, sensoriali che fanno parte dell’opera d’arte».

Si spiega così la totale, acrobatica disinvoltura con cui Dorfles spazia dalla musica alla poesia, dall’architettura alla cibernetica, dal teatro alla danza, seguendo – come sempre, fin da opere basilari degli anni ’60 quali Simbolo comunicazione consumo o Il Kitsch, antologia del cattivo gusto – un filo rosso rappresentato dalla costante attenzione alla ricezione pubblica di un presunto progresso tecnologico, negli anni post-2000 dominato da un’ipertrofia comunicativa che ingenera un’«(in)civiltà del rumore»,  una sovrabbondanza di «troppe immagini, di troppi oggetti, di troppi stimoli visivi, auditivi, tattili», una «inarrestabile marea di suoni, di rumori, che rendono ogni giorno più intollerabile la società nella quale viviamo».

«Le nostre capacità percettive e mnestiche – avverte Dorfles – sono certo grandissime, ma hanno un limite. Inoltre sono destinate a ottundersi per l’eccesso di stimolazioni cui sono sottoposte». è datato 2008 questo “grido di dolore”, che incita l’uomo d’oggi a conquistare «una sua autonomia mentale e comportamentale», liberandosi dal «tribalismo» e dai «riti di massa» e recuperando – altro chiodo fisso dell’autore – il piacere dell’intervallo, della pausa, financo del silenzio (e doverosa è la citazione dell’opera muta di John Cage).

Dorfles ne ha per tutti o quasi: per gli artisti e la loro «voglia generalizzata di strafare e di stupire»; per la comunicazione politica, diventata «una sorta di teatro dell’horror pleni, fatto di segnali contraddittori e privi di una qualsivoglia chiarezza e costruttività»; per i graffitari e i loro scarabocchi che, invadendo ogni metro quadrato dello spazio disponibile, divengono non più percepibili dal passante e «nient’altro che uno dei tanti rumori di fondo della vita quotidiana» (si salvano Keith Haring e Jean Michel Basquiat. Banksy era di là da venire…).

E che dire della moda? «Il culto della novità fine a se stessa si sostituisce al gesto estetico, per fare rumore non basta che ci sia un taglio su un lato di una gonna, non basta una minigonna, non basta l’ombelico in vista. In ogni momento si richiede qualcosa di eccessivo, che faccia fracasso, che faccia stupire. Ma il risultato è esattamente il contrario: la nostra assuefazione, e quindi l’assenza di ogni stupore».

Non si salva la letteratura e neppure Philip Roth, benché «autore per molti versi apprezzabilissimo». Un suo libro, Patrimonio, trattando della malattia e della morte pietosa del padre, si risolve in «una cronaca in cui non ci viene risparmiato alcun dettaglio». E per Dorfles è «un tipico esempio di come, per riempire il vuoto della letteratura, si ricorra persino all’abominio di raccontare le vicende più private e più incresciose. Anche questa del dolore è, indubbiamente, pornografia». Ma il j’accuse riguarda, più in generale, l’invasione della privacy, il voyeurismo, il «totale esibizionismo di sé» prodotti dalla mole montante di notizie, scritti, filmati «diffusi in ogni direzione».

Contro quest’invasione Dorfles batte e ribatte il tasto della necessità di una riscoperta dell’intervallo, inteso come momento di tregua e di decantazione dall’assedio dei media vecchi e nuovi. Accorgersi, prima che sia troppo tardi, «dei rischi di annichilimento della sensibilità e addirittura della facoltà immaginifica dell’individuo» provocati dalla pletora di stimoli e sollecitazioni cui si è sottoposti, «andare alla ricerca del vuoto anziché del pieno, del dentro anziché del fuori, del discontinuo anziché del continuo […] non potrà che essere un’operazione benefica».

Non mancherà di certo chi leggerà o rileggerà queste pagine definendo il loro autore un bieco passatista, un laudator temporis acti incapace di sintonizzarsi sul procedere inarrestabile del Progresso. In realtà, Gillo Dorfles aveva ben individuato (e molto per tempo) i rischi di un virus insidioso che, in anni più recenti, e dopo la sua scomparsa nel 2018, si sarebbe evoluto in globale pandemia. Chissà quali deduzioni avrebbe tratto oggi, nell’Era dello Smartphone per tutti e della Connessione Perpetua?

 

 

Gillo Dorfles

Estetica dovunque

Bompiani, 2022

  1. 762, euro 24,00