Drammi commedie film e miracoli di Omero Antonutti

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Raccolti in volume brani autobiografici immagini e testimonianze di un grande del palcoscenico e del cinema internazionale.

di Walter Chiereghin

Dobbiamo alla cura di Guido Botteri (classe 1927, nato a Strembo in provincia di Trento e deceduto ad Aurisina nel 2016) la vivace e completa biografia di un altro triestino – come lui d’adozione – narrata, valendosi di ampi brani autobiografici e di testimonianze di critici, registi ed attori, mediante le pagine di Omero Antonutti, volume voluto da Comunicarte e pubblicato poche settimane or sono.

La storia dell’attore inizia il 3 agosto 1935 a Blessano, frazione di Basiliano, nei pressi di Udine, anche se i genitori, entrambi friulani, si erano trasferiti a Trieste dove il padre, Giuseppe, lavorava presso le Ferrovie dello Stato, lasciandosi alle spalle la bottega di falegname gestita da suo padre. Il neonato visse poi nel capoluogo giuliano “quasi dopo il primo vagito”, e Omero, che dal 1982 vive a Roma, considera propria patria tanto il Friuli (dove era riparato con la madre nella casa dei nonni durante gli anni più bui della guerra) che la città sul mare dove si è formato. Destino, come osserva l’attore stesso, analogo a quello di Marcello Mascherini, chiamato “artista concittadino” oppure “scultore friulano” a seconda che a scriverne sia il quotidiano Il Piccolo oppure Il Messaggero Veneto.

A Trieste, ad ogni modo, Omero visse gli anni della sua prima formazione, seguiti da quelli dell’Istituto Tecnico Industriale “A. Volta” che, una volta conseguito il diploma, gli aprì le porte della Fabbrica Macchine, dove divenne presto responsabile del reparto che progettava e realizzava i modelli in legno dai quali si ricavavano i componenti metallici dei grandi motori marini. La necessità impostagli dal lavoro di parlare in pubblico nelle riunioni dei quadri che organizzavano il lavoro delle officine gli fece percepire la modestia della sua dizione, fortemente influenzata dal triestino che allargava a dismisura le vocali e lo indusse quindi a iscriversi e frequentare un corso di dizione promosso dal Teatro Stabile della Città di Trieste, attivo allora solo da qualche anno. Fu, anche se allora non poteva proprio saperlo, la svolta decisiva della sua vita.

Preparato dall’insegnamento dell’attrice Ida Moresco, il primo saggio cui partecipò fu su un testo di Cechov, Una domanda di matrimonio, nel maggio del 1957, ma già in quello dell’anno successivo, La vita dell’uomo di Leonid N. Andreev, Antonutti venne notato dal recensore del Piccolo, che profetizzò un possibile luminoso futuro per l’attore allora dilettante.

Per tre anni il lavoro in fabbrica si portava via gran parte della giornata, ma dormendo quattro ore per notte Antonutti riusciva a frequentare la Scuola del Teatro Stabile e anche a collaborare con registi quali Ugo Amodeo e Ruggero Winter alla sede di Radio Trieste. Il suo battesimo come attore professionista avvenne nel 1959, per una parte assegnatagli dal Teatro Stabile che aveva messo in scena L’ispettore generale (Il revisore) di Gogol per la regia di Giacomo Colli; il suo ruolo nello spettacolo, che prima del suo intervento durava ormai da tre ore, consisteva in un’unica battuta: “Signore e signori, è arrivato l’ispettore generale”. Sipario. Fine della commedia, ma inizio di una luminosa carriera d’attore, che di lì a due anni o poco più, dopo un’intensa stagione tutta triestina, trovò conferma nell’incontro con Luigi Squarzina che, conosciuto di persona il Nostro, gli offre un contratto, inizialmente biennale, con lo Stabile di Genova, del quale il regista era condirettore. Non si deve pensare a lauti compensi: pagato al minimo sindacale e soltanto per i mesi in cui era impegnato in recite o prove, c’era ben di che far rimpiangere il lavoro alla Fabbrica Macchine integrato dai compensi dello Stabile triestino e della RAI, ma alla fine Antonutti, che aveva raggiunto Genova su una Fiat 500 in compagnia di un amico, si licenziò dal suo lavoro di modellista e fece, prima che si esaurisse l’anno di aspettativa concordato con l’azienda, una scelta irreversibile a favore del palcoscenico.

Durò quindici anni la sua esperienza con lo Stabile di Genova, che iniziò subito in maniera conflittuale, grazie alla scelta di un testo di Jean Paul Sartre, Il diavolo e il buon Dio, che fin dall’annuncio determinò polemiche e riprovazione da parte del pubblico più vicino alle posizioni oltranziste del mondo cattolico. Furono messe a dura prova le qualità diplomatiche dei due condirettori del Teatro, Squarzina (comunista) e Ivo Chiesa (di area socialista) e la cosa si risolvette come molte altre a Genova con un accordo in arcivescovado, retto allora dal cardinale Giuseppe Siri, per oltre quarant’anni vescovo del capoluogo ligure, che incontrò Chiesa che era stato suo allievo al Liceo. Primo attore fu, in quello e negli altri spettacoli del teatro genovese il grande Alberto Lionello, che Antonutti considera un indimenticabile Maestro.

Nella stagione successiva, la commedia goldoniana I due gemelli veneziani, che fu replicata 430 volte nei teatri italiani, ma anche a Vienna, a New York, a Mosca a Montreal, a Parigi, a Londra. La programmazione dello Stabile genovese non viene articolata anno per anno, nella formulazione dei singoli calendari per stagione, ma è inserita in un progetto pluriennale, ed è così che la compagnia si impegnò in una serie di realizzazioni goldoniane di successo, oltre ai Gemelli, anche Una delle ultime scene di carnovale, Che fu rappresentata anche a Trieste, I rusteghi e La casa nova. Nel 1963 un altro testo impegnativo è costituito dalla trascrizione teatrale del capolavoro di Svevo La coscienza di Zeno, opera del triestino Tullio Kezich, anche questo un grande successo, con le sue 153 recite e complessivamente 75.000 spettatori paganti. Nel ’66 il primo ruolo da protagonista nel dramma Il drago, del russo Evgenij Schwarz; con lui anche Ottavia Piccolo, un quasi debuttante Gabriele Lavia e, poco più di una comparsa, Paolo Villaggio. Accanto ai classici del teatro e della letteratura, segue Squarzina anche nella rappresentazione di spettacoli ascrivibili a un’ispirazione storico-politica /Cinque giorni al porto, 8 settembre e Rosa Luxemburg, le quale intepretò il ruolo di Lenin “senza quasi aver bisogno del truccatore”, come più tardi gli capiterà nell’interpretare Roberto Calvi.

Il teatro è un impegno assorbente, ma ottiene una piccola parte in un film, per la prima volta, nel ’66; Le piacevoli notti, tre episodi in costume tratti dal cinquecentesco volume di novelle di Giovanni Francesco Straparola, protagonisti Gassman, la Lollobrigida e Tognazzi (ma nel cast vi sono pure Luigi Vannucchi, Adolfo Celi, Gigi Proietti, Eros Pagni). Qualche altra particina in altri film, ma costituisce una svolta l’incontro con Paolo e Vittorio Taviani, che, con sorpresa dello stesso Antonutti, vollero affidargli il ruolo di protagonista in Padre padrone, tratto dal romanzo autobiografico di Gavino Ledda e girato in Sardegna nell’estate del 1977: fu la porta spalancata su un successo internazionale, Palma d’oro a Cannes e l’inizio di una proficua collaborazione con i Taviani che diressero ancora Antonutti in La notte di San Lorenzo, Kaos e Good Morning Babilonia e inoltre in un mediometraggio rimasto curiosamente inedito in cui interpretò Luigi Pirandello la sera del 9 maggio 1921, nel clamoroso fiasco dei Sei personaggi al Teatro Valle di Roma.

Dopo Padre padrone, com’era prevedibile, divenne alluvionale la partecipazione di Antonutti a una quantità di film e di fiction televisive che accompagnarono, tra l’altro, la sua rilevante attività di doppiatore. Il volume della Comunicarte riassume con efficacia la poliedrica attività dell’attore, inframezzando interventi autobiografici con testimonianze di quanti hanno lavorato con lui, o che di lui si sono occupati come critici e fornendo alla fine un’immagine a tutto tondo di un grande del teatro e del cinema, che in ogni occasione di lavoro esibisce con naturalezza lo spessore della sua umanità e, nell’impegno anche politico e sociale del suo lavoro, il senso di una vita di lavoro vissuta come una missione, sia nelle opportunità di grande rilievo che gli sono offerte da una meritata fama sia in occasioni più personali, com’è stato per una recita a leggio durante il Lunatico Festival nella sera dell’ottantesimo compleanno della sua amica Ariella Reggio, il 6 settembre dello scorso anno, quando ha condiviso con la festeggiata l’affettuoso abbraccio del pubblico della sua città.