Il sogno collettivo di Domesticalchimia

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di Stefano Crisafulli

 

Sognare è di solito un’attività individuale, ma quando sogna una società intera forse si possono scoprire cose interessanti su quella stessa società. Almeno così hanno pensato Francesca Merli, Laura Serena e Federica Furlani, rispettivamente ideatrice e regista, sound designer/musicista e attrice del gruppo ‘Domesticalchimia’ che domenica 11 ottobre, nell’ambito del progetto ‘UFO – Residenze d’arte non identificate’ progetto di Marcela Serli, sostenuto dal Teatro Stabile La Contrada e promosso dalla Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia e dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo, hanno portato a Trieste, al teatrino del ricreatorio ‘Toti’, lo spettacolo La banca dei sogni. Come ha spiegato Francesca Merli alla fine della messa in scena, avvenuta, tra l’altro, in una giornata di bora scura che ha fatto sospendere persino la gloriosa Barcolana, l’idea di una ‘banca dei sogni’ è nata grazie all’omonimo libro di tre antropologi, J. E F. Duvignaud e J. Corbeau che negli anni ’70 hanno intervistato più di mille francesi sulla loro vita onirica. ‘Domesticalchimia’ ha voluto fare la medesima operazione, andando in diverse città e zone d’Italia e intervistando persone di differenti età e occupazioni, per poi restituire sottoforma di spettacolo teatrale il risultato di questa affascinante inchiesta, a metà tra arte, sociologia e antropologia.

E se, sino ad ora, questa poteva sembrare una recensione, beh, non lo è: perché ad essere intervistati, l’uno all’insaputa dell’altro, sui propri sogni, sono stati anche il sottoscritto e il direttore di questa rivista, Walter Chiereghin. E visto che poi, domenica 11/10, siamo andati entrambi in scena al ‘Toti’, quest’articolo non può che diventare il racconto di un’esperienza. Cosa che mi è sembrata doverosa, non tanto per la nostra partecipazione diretta, quanto per il grande lavoro svolto, a livello teatrale e sociale, dalle artiste di cui sopra. La ‘restituzione’ delle interviste sui sogni è stata, alla fine, un atto d’amore verso Trieste, a partire dal collage iniziale di opinioni dei triestini su quel fenomeno atmosferico così caratteristico da queste parti che è la bora. Così, infatti, è cominciato lo spettacolo, per mezzo di suggestioni sonore e di voci, per poi proseguire attraverso una suddivisione in tre parti: infanzia, età adulta e terza età, ovvero il sogno di una bambina, messo in scena tra lampi di immaginazione ed elementi reali di pressione sociale; una conferenza sulla dimensione onirica da parte di un antropologo, una psicologa e una neuroscienziata, che ben presto si trasforma nella manifestazione dell’inconscio (collettivo) e il ricordo del sogno di un anziano che viaggia tra frammenti di memoria personale e schegge di storia locale. Tutto questo davanti ad un numero di spettatori falcidiato dalle restrizioni anti-covid e dal cattivo tempo, ma comunque piacevolmente sorpreso per ciò che ha visto. E del resto, qualcuno aveva già affermato, a ragione, che noi siamo fatti della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni. Almeno sino a quando la realtà non viene a bussare alle porte del nostro sonno.

 

 

 

 

da sin.: Laura Serena,

Francesca Merli,

Federica Furlani