Equinox

| | |

Personale di Paolo Cervi Kervischer alla Lux Art Gallery di Trieste

di Maria Campitelli

 

L’attuale fase astratta della pittura di Paolo Cervi Kervischer ha stretti legami con le fasi precedenti, come è naturale che sia, in uno sviluppo logico e continuativo di una prassi espressiva che contiene e visualizza un pensiero. È una fase costituita da comparti accostati, rettangoli potremmo dire che però hanno perso la loro definizione geometrica per assorbire una pulsante emotività pittorica fatta di sovrapposizoni e velature, di sfrangiamenti e di perdita di contorni a favore di un’esaltazione pittorica appunto, conseguente al connotato fondante dell’artista che in chiave contemporanea trattiene tutto il percorso storico della grande pittura italiana ed europea. La pittura cioè che da Tiziano ai fauves ha inteso rendere lo spazio – e ciò che lo spazio contiene – con il colore. Detto questo come punto referenziale determinante del percorso di Cervi, si può aggiungere che l’origine di questo momento astratto – sempre filtrato di intensa emozione e sgombro di profili nettamente razionali – è da individuare nel grande lavoro New Dance in New Paradise del 2011. Di esso, che era la sintesi di due capisaldi della cultura visiva moderna, Mondrian e Matisse, tra loro contrastanti, ma resi simbiotici nella rilettura dell’artista secondo i suoi parametri, oggi Cervi si ferma sul primo, eludendone la razionalità estrema. Insiste cioè sulla composizione dello spazio, osservando la pittura da un punto di vista linguistico/strutturale. E da qui si dirama subito una duplice considerazione: da un lato il modo in cui dipinge Cervi e il senso che per lui ha la pittura, come parola, somma di vocaboli, di chi ha scelto questo linguaggio per esprimersi, e dall’altro lato, il pensiero che in essa s’innesta. Il modo lo porta all’identificazione con la pittura stessa; Paolo Cervi Kervischer mentre dipinge diviene pittura. La compartecipazione è così intensa che ciò che nasce dalle sua mani, dai colori che stende, sovrappone – vibranti rosa/aranciato/oro – è lui stesso, il suo sentire, il suo cercare, la sua anima. E nel contempo dipana un pensiero. È un ragionare, un ricercare attraverso i colori. Sono quadri pervasi dalla luce dell’oro e dell’argento, accanto alla potenza dei rossi e al ripetuto accordo rosa/arancio. L’oro riconduce al potere ed insieme, simbolicamente, apre strade a possibili conoscenze alternative o quanto meno a nuove esplorazioni nei misteri dell’universo e della stessa umanità accampata sul pianeta terra. Con l’oro dilagante, con i riquadri che da esso emergono, Cervi intende riallacciarsi a percorsi cognitivi alternativi a quelli tradizionali, evocando le teorie di Zecharia Sitchin, di Mauro Biglino e di tanti altri studiosi e ricercatori che riportano alla ribalta la fascinazione degli alieni, ribaltando le prospettive d’informazione finora perseguite. E cercando di penetrare le apparenze per scoprire verità nascoste, come del resto è accaduto nel mondo scientifico che – con la cosiddetta “nuova scienza” con le nuove scoperte, specie la fisica quantistica – ci ha fatto intendere che ciò che vediamo non corrisponde al reale. E ci ha fatto intendere soprattutto che le nostre informazioni sono molto limitate. La revisione di letture date per scontate, sollecita quanto meno la curiosità. Ipotesi nuove rispolverano la notte dei tempi, si parla di centinaia di migliaia di anni fa, per incontrare gli Annunaki discesi dal misterioso Nibiru – il “pianeta dell’attraversamento” – conosciuto dai Sumeri e non scoperto ancora da noi – che farebbe raggiungere il numero perfetto di 12 ai corpi celesti del sistema solare. Gli Annunaki dovevano discendere sulla terra a procurarsi l’oro, di cui necessitavano per proteggersi dal disfacimento della loro atmosfera. Il discorso è lungo e complesso, comporta l’origine dell’uomo, comporta il rovesciamento della teoria darwiniana, il superamento dell’anello mancante nel passaggio dai primati evoluti all’Homo sapiens connotato dall’intelligenza, avvenuto appunto tramite un “dono” celeste elargito all’umanità dagli Annunaki intelligentissimi, per creare una nuova progenie di lavoratori atti ad estrarre l’oro dalle viscere della terra e non solo, a partire dagli scavi– confortati da studi archeologici – nell’Africa meridionale. Tutto questo rovello di sconvolgenti informazioni esplorate dagli studiosi alienisti che s’allarga a macchia d’olio nell’incessante approfondimento, è filtrato in qualche modo nella pittura luminescente, grondante d’oro, di Paolo Cervi Kervischer.

Per concentrarsi e concludersi nella grande opera Equinox che dà il titolo alla mostra. La conclusione di un percorso iniziato con New dance new Paradise. In essa riemergono certi simboli depurati nei passaggi astratti, per divenire un’affermazione onnicomprensiva, una sorta di punto fermo nell’indagine dell’artista. Il titolo non è casuale, fa riferimento a un fenomeno celeste per cui – nella tangenza dell’eclittica solare con il piano dell’equatore celeste – la durata del giorno e della notte sono uguali. Un equilibrio, la cattura di un momento assoluto, paradigma di un ordine superiore riconducibile all’apice del sistema universale, subito superato dallo svolgimento temporale, dal mutamento insito nei processi naturali. In Equinox ritroviamo le scritture criptate, e non, che s’accorpano al flusso pittorico, come “FoxP2”, la formula del gene che presiede le capacità linguistiche caratterizzante l’uomo e non reperibile in nessun atro essere vivente, il nome di Wallace, colui che ha contraddetto le teorie di Darwin, i solidi di Platone afferenti ai quattro elementi basilari del pianeta… e al centro ancora la consolidata versione biancastra del torso del Belvedere, pattern incorruttibile del genoma pittorico di Cervi, a comprovare la centralità dell’uomo nella sua realtà corporea, almeno sul pianeta terra.