Un palazzo sulle rive

| | |

Un imponente monumento del Neoclassico triestino

di Enrico Možina

 

Tra le correnti artistiche che maggiormente attecchirono alla realtà triestina, una menzione d’onore spetta sicuramente al Neoclassicismo, la cui impronta nell’Ottocento ne ha marcatamente influenzato il tessuto urbano, generando le più affascinanti architetture oggi ammirabili nella città adriatica.

Tra gli edifici più iconici è da annoverarsi il maestoso Palazzo Carciotti, la cui costruzione, avvenuta a cavallo tra i secoli XVIII e XIX, ha inaugurato la grande stagione dell’architettura neoclassica a Trieste.

La cruciale importanza ascritta al palazzo nell’ambito degli studi sul Neoclassicismo triestino trova importante riscontro nelle figure che gravitarono attorno al suo cantiere, a partire dallo stesso committente, il commerciante greco Demetrio Carciotti, che appartenne a quel gruppo di esponenti del ceto mercantile che finanziarono personalmente i progetti dei più importanti palazzi ed edifici neoclassici sorti a Trieste, venendo così investiti del titolo di moderni mecenati.

Demetrio Carciotti si stabilì a Trieste nel 1775, dimostrando subito di sapersi distinguere per bravura e zelo nel proprio settore: «[…] il mercante il più atto ed il più solido ch’io giudico per lo smercio de’ panni Waldstein nel Levante, è Demetrio Carciotti […]». Così scriveva di lui nel 1793 il Direttore della Polizia, barone Pier Antonio Pittoni, replicando alla richiesta di Giacomo Casanova di un collaboratore per le attività commerciali del suo ultimo mecenate, il conte Waldstein, a Trieste. Fu lo stesso Carciotti ad indicare il sito di costruzione in una posizione strategica, sul Canal Grande, al fine di controllare i numerosi traffici marittimi che coinvolgevano la città, ma soprattutto a lui spetta il merito di aver portato a Trieste l’architetto svizzero Matteo Pertsch (1769-1834), che con la propria progettualità, frutto di una stile pacato e suadente, stabilì le linee guida dell’architettura neoclassica triestina nel primo trentennio del secolo XIX. Pertsch arrivò a Trieste nel 1797 da Milano, dove Carciotti aveva mandato un proprio fiduciario con il compito di cercare «un uomo di abilità e di gusto, per eriger la grandiosa sua fabbrica al Canal Grande». Nella relazione sull’incarico svolto dal già citato barone Pittoni, questi, oltre a giudicare positivamente l’architetto Pertsch sotto il profilo della moralità e della professionalità, espresse una valutazione largamente positiva sul progetto del palazzo. Ottenuto il nullaosta per procedere dalla Direzione delle Fabbriche, nel 1798 i lavori furono avviati, concludendosi poi nel 1805.

Matteo Pertsch si distinse nel panorama triestino, imponendo un’architettura profondamente debitrice dei canoni compositivi franco-lombardi e parmensi con cui venne a contatto nei propri studi accademici: scelse volutamente di conferire al palazzo un aspetto fondato sulle numerose tensioni tra la facciata e la cupola, tra le colonne ioniche ed il piano nobile, tra il portico ed il colonnato stesso.

Pertsch eresse dunque un palazzo di notevoli dimensioni, lungo un centinaio di metri e largo una quarantina, che comprendeva oltre ai sedici alloggi ai piani superiori e alle rimesse, stalle e ai diciotto magazzini al piano terra anche l’abitazione dello stesso Carciotti, sita al piano nobile, dove si apre una sala rotonda ritmata da sedici colonne con eleganti interni in stile Impero ed ornata dai fregi di Antonio Bosa (1780-1845) nonché dagli affreschi a monocromo, simulanti finti rilievi di matrice ancora settecentesca, di Giuseppe Bernardino Bison (1762-1844), databili con molta probabilità al 1803 e raffiguranti splendide scene dall’Iliade o comunque strettamente relazionabili alla guerra di Troia, in un vortice decorativo che trova il suo culmine nonché fulcro visivo nella Gloria sulla quadriga dell’Aurora, ritratta in un’apertura circolare posta al centro della cupola: due artisti assoluti protagonisti della scultura e della pittura neoclassica a Trieste.

La cupola che sormonta il palazzo – scelta singolare trattandosi di un edificio privato – poggia su di un alto tamburo e presenta una calotta interamente ricoperta in rame sulla cui sommità è posta l’aquila napoleonica.

Realizzato in bugnato liscio, il palazzo presenta sulla facciata principale un portico centrale, interamente aderente a quest’ultima, sul quale poggiano sei maestose colonne ioniche scanalate che sorreggono a loro volta la balaustra adorna delle statue realizzate dallo stesso Antonio Bosa i cui soggetti, con molta probabilità, vennero suggeriti dallo stesso Carciotti, raffiguranti Portenus, guardiano romano del porto, Thyke protettrice dei negozianti e dei naviganti, Atena, qui come protettrice della tessitura, il settore di commercio del committente, la Fama, portatrice di buone e cattive nuove, Apollo, dio dell’armonia e dell’ordine e Abundantia, allusione alla condizione economica di Demetrio Carciotti.

Sempre al “canoviano” scultore bassanese sono attribuite le sculture di Ercole e di Minerva poste nell’ingresso principale e delle tre arti sorelle Pittura, Scultura ed Architettura poste in cima allo scalone: si è supposto che per le due figure a seno scoperto Bosa si fosse ispirato all’Ebe di Antonio Canova del 1796, mentre per la figura con il peplo ad una cariatide dell’Eretteo di Atene.

Sebbene da questa prima commissione a Palazzo Carciotti (alla quale fecero seguito numerose collaborazioni tra Pertsch e Bosa) trapeli l’inesperienza dettata dalla giovane età dello scultore, specialmente nei bassorilievi della sala circolare con Scene dell’Iliade e dell’Odissea caratterizzati da tratti a volte linearistici, enfatici ed impacciati, appare lodevole la ieraticità e la solidità che esprimono invece le statue dell’ingresso e dello scalone.

Palazzo Carciotti ha accolto diversi enti nei propri ambienti nel corso di questi due secoli: nel 1831 divenne la prima sede delle Assicurazioni Generali, per ospitare in seguito la sede della Capitaneria di Porto ed in ultima battuta quella dell’Acegas, la municipalizzata dell’acqua, elettricità e gas. Ad oggi questo gioiello neoclassico, di proprietà del Comune di Trieste, risulta destinato alla vendita con una base d’asta iniziale di 22,7 milioni di euro, scesa al quarto tentativo alla cifra di 14,9 milioni: le vicissitudini delle numerose trattative sfumate vengono seguite con molta apprensione lla cittadinanza, ma soprattutto da quanti hanno presentato al sindaco una petizione per impedire che questo simbolo del passato neoclassico della città sia condannato alla vendita a privati, ma resti un patrimonio della città e dei cittadini.