ESPRESSIONI CARSICHE DI SILVANO CLAVORA

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Nella Sala Comunale d’Arte, doverosamente concessa dal Comune di Trieste, ha esposto, dal 9 marzo al 3 aprile il pittore Silvano Clavora, triestino, classe 1932, da oltre sessant’anni presente in maniera discreta ma sempre significativa sulle scene artistiche giuliane: un percorso iniziato da autodidatta, che ha poi trovato sistematicità nel lavoro svolto insieme a Saverio Sorbise (Trieste, 1927-1994) e quindi sotto la guida di Nino Perizi (Trieste, 1916-1974) e Livio Franceschini (Trieste, 1913-1975). Dal confronto con gli altri artisti (tra gli altri la cerchia di Arte viva: Klavdij Palčič, Miela Reina, Enzo Cogno e Lauro Crisman), Clavora ha certo acquisito cognizioni tecniche importanti per la sua attività, come pure notevoli arricchimenti nel confronto dialettico. Ma quel che è certo è che gli è riuscito di dar corpo a una produzione artistica del tutto originale, frutto, da un lato, soltanto della sua poetica, di come questa si è venuta precisando e distillando nel tempo, dall’altro lato dalla sua inquieta ricerca di forme ed elaborazioni nuove, che lo ha sempre portato a cercare strumenti tecnici e modalità operative che gli consentissero di esprimere al meglio quanto di sé e della sua sensibilità intendeva esplicitare per mezzo della sua produzione artistica. Ricchissima, quest’ultima, e variegata nel tempo, oscillante tra figurazione e astrazione, ma comunque sempre espressione di un’individualità marcata e ben distinta, anche se curiosa e attenta a quanto attorno ad essa si muoveva.

Il più recente approdo della sua creatività è quanto esibito in una quindicina di immagini di grande formato esposte ora nella sala di Piazza Unità: Espressioni carsiche il titolo che l’Autore ha voluto imporre alla rassegna, ma niente a che vedere con i quadretti di genere, i tranquillizzanti paesaggi di tanta pittura locale, tesi, in forme talora impressionistiche altre volte iperrealistiche, a comunicare il bucolico attaccamento al territorio che circonda la città. Il Carso di Clavora è un’altra cosa: la rappresentazione di un paesaggio interiore, nel duplice senso della soggettiva emozione estetica dell’artista, rivolta non già all’oggetto rappresentato ma all’evocazione di esso da un lato e, dall’altro, a una visione ctonia, se si vuole speleologica, che non si ferma alla superficie, ma ambisce a immedesimarsi nella materia, a penetrarla in profondità e a catturarne una visione partecipe di palpitante simbiotica corrispondenza tra l’interiorità dell’artefice e la natura “autentica” del soggetto.

Non appagato della bidimensionalità della tela, Clavora ha ideato una tecnica nuova che conferisce profondità al soggetto, valendosi di cementi (grigi e bianchi) gettati ad arte (è il caso di dirlo) sul supporto che quindi non può stare sul cavalletto ma dev’essere disposto orizzontalmente. Una volta asciugatasi la superficie cui il cemento ha fornito materia, spessore, rilievo, asperità, interviene ancora l’artista con gli acrilici, a definire i limiti di campiture di colore che si assommano alle superfici anfrattuose nella definizione di un ordine compositivo che accresce e sviluppa la fascinazione dell’insieme. Gocciolature parzialmente occasionali conferiscono ulteriore dinamicità alla composizione così che il risultato finale è di sfolgorante suggestione, quasi un bassorilievo policromo che, memore ma non pedissequo epigono di tanta pittura informale, da Pollok al nostro Burri, ha trovato una strada originale e certo efficace per raccontare un’altra dimensione del nostro paesaggio e una nuova declinazione dell’arte fresca di Silvano Clavora.