Fabbricanti di libri

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Un mestiere difficile in un Paese dove molti scrivono e pochi leggono

di Gabriella Ziani

 

I manoscritti dei troppi aspiranti scrittori sono, per gli editori, una seria minaccia. La linea difensiva è spietata. Fazi lo dice proprio così: «Siate spietati con voi stessi, perché – per amore di quei rari lavori davvero buoni che troppo spesso finiscono soffocati nella pila della cattiva letteratura – noi saremo spietati con voi». Ma quanto può essere spietato con se stesso uno che crede e spera, fin dove sarà efficace la sovrapposizione di autore e giudice? La e/o va al sodo: «A causa della enorme quantità di materiale che riceviamo, accetteremo nuove proposte solo nel mese di ottobre 2023». Giunti mette altrettanto al muro chi si candida a scrittore, chiede di descrivere in 140 caratteri, prima di osare farsi avanti, «il lettore che dovrebbe leggere il tuo libro», e «i motivi per cui dovremmo pubblicare il tuo libro». Quel “dovere” deve agghiacciare i postulanti. In Italia troppi scrivono e pochi leggono.

E che le cose siano davvero spietate lo conferma uno che i manoscritti li ha visti da vicino: «Quanto alla valutazione dei manoscritti, non è troppo lontana dai tristi doveri degli oncologi. Per un annuncio gioioso di prossima pubblicazione, ce ne sono mille che comunicano una diagnosi infausta, e affondano le legittime speranze dell’aspirante autore». Lo confessa Ernesto Ferrero nel suo delizioso Album di famiglia. Maestri del Novecento ritratti dal vivo, 45 ritratti di autori scolpiti con mano leggera e partecipe, da Natalia Ginzburg a Cesare Pavese, da Giuseppe Pontiggia a Elsa Morante, da Italo Calvino a Lalla Romano a Umberto Eco, Fruttero & Lucentini, Leonardo Sciascia: incontri in casa editrice che hanno lasciato un segno per l’apporto culturale e il profilo umano. Ferrero, scrittore e critico, è stato direttore letterario ed editoriale alla Einaudi tra gli anni ’60 e ’80, poi alla Bollati Boringhieri, alla Garzanti e alla Mondadori, e direttore del Salone del libro di Torino (1998-2016).

I suoi “dietro le quinte” sono un piccolo capolavoro biografico. Vediamo il carismatico e inesausto Einaudi, che non legge niente perché è stato geniale nel circondarsi di persone brave a farlo, e i cui silenzi gelidi possono determinare la caduta senza recupero di un collaboratore che ha sbagliato. Vediamo la Ginzburg, “Maria Temporala” per il carattere ruvido, che «sapeva digerire i chiodi», e definendosi pigra, inabile, stupida, fece faville anche come editorialista su questioni di politica e attualità. E “Pippo” Pontiggia? Aveva 40 mila libri in casa, una bulimia di lettura che metteva a rischio la tenuta dei pavimenti. Morante: per La storia (1974) pretese il lancio in edizione economica, fornì la cruda foto di copertina, decise il prezzo, e anche le strategie di marketing rifiutando anticipazioni e  interviste, Einaudi aveva le sfide nel sangue, e lasciò fare. «Io tremavo: una storia che grondava strazio e dolore – scrive Ferrero –, che denunciava le infamie della Storia, con quella copertina!». Il lancio fu di 100 mila copie, le vendite schizzarono a 800 mila.

Del resto è qui il segreto della “fabbrica dei libri”, che ci rende quello che siamo, quel che sappiamo: capire, sapere, cercare, trovare,  indovinare, scommettere, rischiare. A volte sbagliare: la Einaudi, grazie a Cesare Pavese, non rifiutò forse in prima battuta Se questo è un uomo di Primo Levi? E non fu forse Elio Vittorini a rifiutare sia Il Gattopardo e sia Il dottor Zivago? «Di fronte al singolo libro la mente editoriale vive sempre il suo congenito strabismo, la sua essenziale scissione tra le ragioni di Dio e quelle di Mammona» scrive dal canto suo Gian Arturo Ferrari in Storia confidenziale dell’editoria italiana, brillante reportage sull’editoria storica, e quella vissuta in prima persona alla Bollati Boringhieri e soprattutto alla Mondadori. Due libri usciti quasi in contemporanea che hanno il fascino del “memoir”, il gusto di condividere aneddoti, e la sapienza di raccontare meccanismi e retroscena di una industria culturale per il lettore misteriosa.

Ferrari racconta con piacevole puntiglio tutta la complessa storia di Angelo Rizzoli e Arnoldo Mondadori, entrambi nati poverissimi, di Giangiacomo Feltrinelli, il ricchissimo comunista che cominciò a far libri innamorandosi della Cooperativa del libro del Pci,  del “tempestoso” Livio Garzanti, il quale ricevette la casa editrice che il padre aveva rilevato da Treves, epurato dal fascismo come ebreo. E che mise al mondo l’allora scandaloso Ragazzi di vita di Pasolini. E della Einaudi, con il frenetico Giulio, occhi di ghiaccio, severità, molta lungimiranza e poca finanza, e dell’Adelphi ormai al di là del suo stesso mito. E soprattutto di Mondadori, dei prodigi imprenditoriali di un self made man, che fonda un impero col coraggio delle idee e la fede nella tecnologia, catturando autori per dare a se stesso quell’allure culturale di cui è privo (Hemingway fu corteggiato con una vacanza a Cortina…), fino all’ingresso di Berlusconi che – per gli intrecci proprietari che si erano nel frattempo creati – non solo spacca la famiglia ma soprattutto deflagra nello scontro epocale con Scalfari e Caracciolo, fondatori ed editori del gruppo Espresso-Repubblica, e sarà una lunga vicenda giudiziaria a coltello fino al noto “lodo Mondadori” per spartirsi i gioielli (e le linee politiche). Quanto al nuovo padrone, molti ne temevano l’invadenza, ma Ferrari assicura che non ci fu, e anzi i coraggiosi editor mandarono in libreria nel 1992 Capitani di sventura. Agnelli, De Benedetti, Romiti, Ferruzzi, Gardini, Pirelli: perché rischiano di farci perdere la sfida degli anni ‘90 di Marco Borsa e Luca De Biase. Romiti s’infuriò con Berlusconi, che s’infuriò con la casa editrice chiedendo (e non ottenendo) il ritiro delle copie. Si accontentò della promessa che non sarebbe stato più ristampato. «Non l’avete più ristampato, vero?» chiese tempo dopo il padrone. Certo che no, gli risposero. In realtà ne avevano fatte altre tre edizioni, ma senza pubblicizzarlo.

E, appunto, la pubblicità? Gustoso l’episodio del 1986 che ebbe per protagonista il bestsellerista Enzo Biagi (80-100 mila copie a titolo). Ferrari propose un lancio in grande stile per Mille camere: un’imbarcata di mass media, la presentazione a Praga, una delle “stanze” vissute dal super-giornalista. Costi enormi, ma la truppa andò in viaggio. Al confine, i teleobiettivi della Rai misero in sospetto i doganieri cecoslovacchi, che bloccarono tutta l’allegra combriccola finché non intervenne l’ambasciatore. Un clamore pazzesco, felici gli editori. Ma qualcuno ci andò di mezzo: Ferrari, ormai un sovrano per quel successo oltremisura, che cosa fa? «Più lui vende, più io taglio il resto della produzione, piccoli libri con molti costi e scarsi ricavi». Così i bilanci potevano lievitare senza intralcio. Se per caso qualcuno si fosse chiesto allora perché il suo saggio restava in panchina…

E gli esordienti? Anche Ferrari ne ha per loro: «Le leggi implacabili della selezione naturale (editoriale, nel nostro caso) dicono che solo uno su dieci è destinato a sopravvivere. I pochi salvati dovranno compensare i molti sommersi». L’industria si affida molto sul già noto, e alla vox populi sul perché si pubblicano «tanti libri»  e anche «così brutti» la risposta è: “Bisogna far vedere di essere vivi, occupare lo spazio”».

Di questo romanzo fluviale e in divenire, che intreccia industria e cultura e soldi, glorie e penurie, viaggi, incontri, fiere e bozze, strategie, sapienza e furbizia, personaggi e dolori, informazione e passatempo, divi e formiche, esistono già molti memoriali (secondo Ferrari gli editori sono impareggiabili nel produrre narrazioni mitologiche). Hanno scritto di se stessi Bompiani (Il mestiere dell’editore, Longanesi 1988; Caro Bompiani. Lettere con l’editore, Bompiani 1988), Garzanti, postumo (Una vita con i libri, Interlinea 2021), la figlia di Mondadori, Mimma (Una tipografia in paradiso, Mondadori 1985), l’altra figlia Cristina, sposata Formenton, altro importante ramo editoriale, il figlio Luca ha in mano il Saggiatore fondato da suo zio Alberto (Le mie famiglie, Bompiani 2004), mentre la storia completa di Mondadori è tutta nel bellissimo Arnoldo Mondadori di Enrico Decleva (Utet 1993). E poi si è aggiunta la figlia di Bompiani, Ginevra, editrice in proprio con la sigla nottetempo (La penultima illusione, Feltrinelli 2022), mentre generoso è sempre stato Roberto Calasso (Bobi, Adelphi 2021) nella sacralizzazione della storia della Adelphi germinata dalla mente luminosa del triestino Bobi Bazlen, uno dei fautori di un miracolo editoriale. Ma poi si scopre che anche la Einaudi ebbe in parte una genesi triestina – e questa è davvero una storia ancora da sondare.

Sulla gloriosa casa editrice esiste un volume storico (Gabriele Turi, Casa Einaudi. Libri uomini idee oltre il fascismo, il Mulino 1990), ma il mitico Giulio si è molto raccontato da se stesso (Frammenti di memoria, Rizzoli, 1988) e soprattutto ha prodotto con Severino Cesari l’ancora fondamentale libro-intervista Colloquio con Giulio Einaudi (Theoria 1991). Da quest’ultimo anche Ferrari trae, pari pari, la notizia che essendo l’esordiente editore in bolletta, l’impresa fu resa possibile nel 1933 per l’intervento di finanziatori, tra cui, diceva Einaudi, «anche lui benemerito, l’ingegner Ghersina, di Trieste». E qui, cercando un po’, si scopre che Guido Ghersina era di Parenzo, amico del futuro grande architetto Giuseppe Pagano-Pogatschnig che per lui costruì la sua prima villa. Laureato al Politecnico di Torino, fu allievo di Luigi Einaudi, padre dell’editore e futuro presidente della Repubblica, con cui si scambiò almeno 37 lettere tra il 1912 e il 1943 (conservate dalla Fondazione omonima), ebbe rapporti con Benedetto Croce e Luigi Albertini (dal 1900 al 1925 direttore del Corriere della sera, un altro finanziatore della casa editrice nascente), fu vicino a  Giustizia e Libertà e in corrispondenza coi fratelli Carlo e Nello Rosselli. Nel 1935, quando il delatore Dino Segre in arte Pitigrilli denunciò all’Ovra una quarantina di intellettuali “di sinistra”, anche Ghersina finì brevemente in carcere con Giulio Einaudi, Cesare Pavese, Vittorio Foa, Massimo Mila, Norberto Bobbio. Poi lo troviamo in Piemonte, comproprietario del grande cotonificio Poma di Biella.

Scrive Ferrari: «Ogni casa editrice, piccola o grande, bella o brutta, sta in piedi, quando sta in piedi, su tre cose. L’idea, i soldi e le scoperte». Se non ha avuto l’idea, comunque la piccola Trieste ci ha messo da un lato i soldi (Ghersina-Einaudi), e dall’altro le scoperte (Bazlen-Adelphi).

 

 

Ernesto Ferrero

Album di famiglia

Maestri del Novecento

ritratti dal vivo

Einaudi, Torino, 2022

pp.323, euro 21,00

 

 

Gian Arturo Ferrari

Storia confidenziale

dell’editoria italiana

Marsilio, Venezia, 2022

  1. 362, euro 19,00