Felici e contenti? Anche no

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Nemmeno il destino può dire ad un ragazzo cosa leggere

di Anna Calonico

 

Mi sto chiedendo se basta un protagonista giovanissimo per fare di un libro un romanzo per ragazzi. Che poi, la definizione “per ragazzi”, cosa significa? Che è una storia sciocca adatta solo ai minorenni? Oppure che si tratta di una narrazione che “possono” leggere perché non ci sono scene da paura o erotiche?

Temo che la definizione “letteratura per ragazzi” si porti dietro un sacco di pregiudizi e alcuni libri si ritrovano questa etichetta soltanto perché parlano di personaggi dell’età scolare, dimenticando quindi la grandezza di opere come Oliver Twist, Piccole donne, Pinocchio e tante altre. Sul fatto che la storia sia per forza sciocca solo perché parla di bambini non serve aggiungere altro dopo aver nominato i tre capolavori di cui sopra. E pensando alle storie “vietate” sotto una certa età mi viene in mente che a scuola si studiano (almeno, ai miei tempi) l’Iliade (morti ammazzati a non finire) e l’Odissea (giganti antropofagi con un occhio solo, mostri marini, streghe che trasformano gli uomini in maiali…) e che i ragazzi, come risulta dalle loro confessioni, leggono IT di Stephen King, e i romanzi di Green, che fa innamorare due ragazzi affetti da tumore e ne fa morire uno, che ci presenta come ragazza fantastica Alaska, supercorteggiata da tutti perché ha già fatto sesso, e in anni recenti hanno premiato libri come Tutto chiede salvezza di Mencarelli e Lupa bianca, lupo nero di Marie Audie Murail che parlano di malattia mentale e forte solitudine; dalle statistiche risulta che leggono Niente di Janne Teller e La strada di Cormac McCartney, che hanno immagini veramente dure; e noi tutti “da piccoli” abbiamo letto lo strazio di Jo che perde l’amata sorella Beth, o la fine del povero Nemecsek che muore per aver obbedito agli ordini dei suoi compagni di giochi. Recentemente è rimasto per tanto tempo in classifica Le ragazze non hanno paura, dove una delle protagoniste si sacrifica per salvare l’amica di cui è innamorata, ha avuto doppio successo (dopo il film) Raccontami di un giorno perfetto di Niven che parla della storia d’amore di due aspiranti suicidi, e che dire del finalista al Premio Andersen Il centro del mondo?

Tutto questo per “giustificarmi” se inserisco nella rubrica “età evolutiva” Nemmeno il destino di Gianfranco Bettin, romanziere, saggista e politico veneto. Qui non si parla di petrolkiller o di malavita del Nord-est, e nemmeno vengono trattati tanti temi ambientalisti cari all’autore, ma è ugualmente un libro forte, che non si dimentica in fretta.

Il protagonista è Ale, che incontriamo per la prima volta in montagna, sulle Mesules, mentre due ragazzi più grandi gli fanno i complimenti per essere riuscito a cavarsela su quel percorso, ed è lui a raccontare, in prima persona, queste cento pagine. L’atmosfera idilliaca però sparisce subito: nel capitolo successivo Ale e il suo amico Ferdi osservano in silenzio la voragine piena d’acqua di una cava abbandonata. Si dice che da lì non torni nessuno, nemmeno il cane che è stato spinto a sassate ad entrarvi e non ha potuto uscire da quel gorgo. Ale e Ferdi guardano quell’acqua cupa chiedendosi se Tony, il loro amico scomparso nel nulla, sia lì.

Ma il peggio deve ancora arrivare: scopriamo pian piano che Ale, ma anche Ferdi, ha una situazione familiare disastrosa, e soltanto negli ultimi capitoli capiamo fino a che punto; troviamo Ale in un istituto correttivo per ragazzi per aver appiccato il fuoco ad una casa, ma capiamo che non si è trattato di una bravata da bullo: lo ha fatto per pietà e per disperazione, per un suo falsato concetto di giustizia e amore. In altre pagine leggiamo parole velenose rivolte contro la madre, e dobbiamo attendere il finale per scusarlo e capire da cosa sono state provocate; e poi c’è la ladra. La ladra, per Ale, è la vita, perché ruba, un pezzo alla volta, le cose più importanti delle persone: «La vita è un bambino che piange e nessuno che risponde» (p.93), parole eloquenti e pesanti come macigni. La ladra ha portato via anche Ferdi, davanti agli occhi di Ale e di mezzo paese, in una scena a dir poco tremenda. Ci sono educatori bravi, gentili e comprensivi, come Lorenzo, con cui Ale si confida e, poco alla volta, ricorda la storia agghiacciante di sua madre e della sua malattia, svelandola perfino a se stesso che, bambino, non era riuscito a comprenderla; ed educatori più severi e poco pazienti, come Sentenza, che suo malgrado segue Ale sulle Mesules.

Ci sono brani strazianti in un questo romanzo e, pur essendo breve, ha una lista interminabile di sfortune e momenti di forte impatto.

Tornando alle domande poste all’inizio posso dire che non si tratta del tipico libro per ragazzi, e che certo non è per bambini, ma sono sicura che moltissimi studenti delle superiori (ma anche poco più piccoli) ameranno questa lettura. Si potrebbe inserirlo nel genere Young Adult, se non fosse che manca completamente la parte sentimentale. Anzi, qui sentimenti come l’amore non esistono proprio. Esiste l’amicizia, ma solo finché, molto presto, la ladra non ci mette lo zampino: «O non è niente, più niente adesso, solo un ricordo che fa male, soltanto dolore, assenza, nient’altro? È questo il destino, il ratto carogna, ennesimo, della ladra? Quando se lo prese, il dolore in me fu strano: fu ghiaccio, ma come ghiaccio che raggela e ustiona a un tempo» (p.35).

Sta parlando di Ferdi, naturalmente, anche se parole altrettanto amare sono usate, spesso, per la madre e per il padre, ignoto.

Ed ecco perché molto frequentemente penso che certi libri per ragazzi dovrebbero essere letti anche dagli adulti: i genitori di Ale, per cattiveria e vigliaccheria o per debolezza, costrizione, ingenuità e paura, hanno certamente contribuito al suo malessere esistenziale e alla sua incapacità di provare affetto, pietà e comprensione. Impossibile non essere solidali con il ragazzo e, ancora una volta, provare rabbia verso certi adulti.

Va detto che questo romanzo non punta il dito contro i grandi, ed anzi c’è una profonda pena verso la mamma. Un po’ meno verso il padre, anche se alla fine la scelta è l’indifferenza invece che la violenza, e per quanto riguarda gli altri adulti ci sono i signori Cardi, gli ex proprietari della casa che Ale brucia, a tenere alto l’onore della categoria. E allora, a chi viene data la colpa di tutta la sofferenza di questa storia? Forse, al destino: «Temi il destino, ma non rispettarlo, poiché non ha rispetto di te» (p.48). «Nessuno, ti giuro nessuno, nemmeno il destino» sono parole di una canzone di Mina che la signora Adele, la povera pazza madre del protagonista, ripete più volte. Non che la canzone abbia qualcosa a che fare con la storia narrata, ma è un pretesto che si ritrova tra le pagine ogni volta che Ale ripensa alla sua vita, e che termina il libro: «Racconta. Nemmeno il destino te lo può impedire» (p.106). Quando cerca di mettere ordine tra le sue riflessioni e i suoi ricordi Ale ricorre a questa canzone, ma, soprattutto, ad uno flusso di pensieri che Bettin rende in maniera molto efficace, mescolando dialoghi, sensazioni, descrizioni… e mescolando Ale bambino, sua madre, la sua malattia, Ferdi, le Mesules, i signori Cardi… a dimostrare, e giustificare, la grande confusione che rimbomba nella testa di questo povero ragazzo. Una confusione che darebbe filo da torcere anche ad un adulto, e forse per questo motivo alla fine troviamo un Ale più grandicello che ha finalmente sistemato la sua vita (o almeno è sulla buona strada per farlo) ma ancora vede vita e morte nel passato, e ancora ricorda la voce della madre quando gli diceva di destrigarse.

 

Gianfranco Bettin

Nemmeno il destino

Feltrinelli, 2004

pp.117, euro 6,50