FOTOGRAFIA – MOSTRE: Sandro Becchetti, l’inganno del vero

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16Sandro Becchetti, l’inganno del vero

di Michele de Luca

 

Questa per me è stata la fotografia: la menzogna, una componente essenziale della verità. Le mie macchine fotografiche contenevano, per me, intendo dire, tutte le immagini possibili, ma come le platoniche ombre contenevano anche il loro contrario”. Sono parole del fotografo Sandro Becchetti, morto il 5 giugno del 2013

(era nato a Roma nel 1935 da famiglia originaria dell’Umbria e aveva iniziato la propria attività nella seconda metà degli anni Sessanta). Per lunghi anni ha documentato la realtà sociale, politica e culturale del nostro Paese; nella capitale ha avuto l’opportunità di registrare gli sviluppi di una società in pieno mutamento, non solo nelle strade e nelle piazze, ma anche nei palazzi del potere: nomi illustri della cultura e dello spettacolo, personalità della vita politica ed economica sono stati i soggetti dei suoi ritratti.

 

ripropone un affascinante viaggio attraverso la storia della cultura e dello spettacolo degli ultimi decenni attraverso lo sguardo del “fotoreporter” che dagli anni del boom e della “dolce vita”, con la sua piccola Leica, ha fermato sguardi, movimenti, ambientazioni, tracce della vita complessa e unica di quei “protagonisti” (della “storia” e della cronaca) che Becchetti ha ritratto in oltre quaranta anni di lavoro segnato da una passione spesso conflittuale per un mestiere, quello del fotografo, capace di sintetizzare in uno scatto menzogna e verità.84

Ha collaborato con le maggiori testate giornalistiche italiane, tra cui “La Repubblica”, “Il Messaggero”, “L’Unità”, “L’Espresso”, “Il mondo”, “Secolo XIX”; sue foto sono apparse su “Life” e “Liberation”, e il suo lavoro ha testimoniato i mutamenti intervenuti nel corso di decenni nella realtà sociale, politica e culturale del nostro paese, e non solo. In mostra anche alcuni scatti sul paesaggio umbro e dieci fotografie realizzate alle Acciaierie di Terni negli anni Settanta, di cui alcune inedite.

Nel 1980, dopo aver completato un lungo lavoro sulla campagna romana, ha interrotto volontariamente la propria attività per dedicarsi ad altro. In quel periodo ha pubblicato sulla rivista letteraria “Nuovi Argomenti”, diretta da Alberto Moravia, un racconto dedicato al mondo contadino, al quale sono state dedicate alcune trasmissioni radiofoniche e televisive; da allora, per quindici anni, si è occupato prevalentemente dell’arte del legno ed ha collaborato sporadicamente con la televisione per la scrittura di soggetti per fiction. Aveva ripreso a fotografare nel 1995, con una ricerca sulla Spagna e il Portogallo e soprattutto con un rinnovato interesse per la vita di Roma, che lo ha indotto ad un paziente lavoro quotidiano durato anni e che costituisce un archivio vastissimo dedicato alla Capitale in tutti i suoi aspetti.72

Un viaggio fotografico, dunque, nella storia della cultura del nostro Paese, scandito dai volti di personaggi, noti e meno noti, della politica, dello spettacolo, dello sport. Il percorso espositivo si snoda in diverse aree distinte ma allo stesso tempo collegate da un unico filo conduttore, sottilmente presente nella produzione dell’artista, rappresentato dal suo rapporto con l’Umbria, terra delle radici, dei ricordi, di partenze e di ritorni, dove aveva deciso di fissare anche la dimora dei suoi ultimi anni. Nei suoi ritratti i personaggi noti (tra i tanti altri, Fellini, Hitchcock, Truffaut, Joseph Beuys, Gunther Grass, Pasolini, Valentina Cortese, Claudia Cardinale, Anita Ekberg, Dustin Hoffman, Amos Oz) sono raccontati non solo tramite l’immagine, mai banale e a tratti velata di una bonaria e sottile ironia. In mostra si trovano rappresentati, con bellissime immagini, gli altri “filoni” del suo lavoro, dalla documentazione della “quotidianità”, del mondo del cinema e della cultura, alla rappresentazione di situazioni anche di “disagio” e di fermenti culturali e politici che, a partire dagli anni ’60, attraversarono l’Italia e l’Europa delle contestazioni, degli scontri sociali, delle dure contrapposizioni politiche; predominano comunque i ritratti, che testimoniano del forte interesse di Becchetti per l’uomo, per i suoi tratti originali, per le sue vicende professionali, per il suo universo di relazioni. Il suo occhio ha saputo cogliere spunti altrettanto significativi, aprendo l’obiettivo non solo alla contemporaneità di cui è stato testimone ma anche a una più profonda interiorità, trasferendo così personaggi e avvenimenti dalla “cronaca” alla “storia”.41

Comunque, Becchetti non si è mai lasciato illudere dalla “verità” raccontata dalla fotografia; “diventai ritrattista – ha detto – anche bravo, a detta di molti. A mio giudizio, mediocre, proprio per la mediocrità dell’inganno: un clic non condenserà mai una vita e spesso (salvo rare eccezioni) i segni di una faccia dissimulano più che rivelare”. Per Becchetti, come ha scritto Michele Smargiassi, il ritratto fotografico “era un incontro che non escludeva lo scontro, era una relazione tra umani, a volte superficiale, a volte entusiasmante e rivelatrice, sempre carica di emozione”. Forse, un “odi et amo”, quello di Becchetti per il lavoro che ha riempito quattro decenni della sua vita, dal quale però – come lui stesso ha riconosciuto -, ha ricevuto tantissimo: “Sono cresciuto, grazie all’esperienza fotografica, soprattutto umanamente. Ritengo di essere diventato una persona migliore, perché migliore era il mondo che i protagonisti delle mie foto si auguravano e per il quale si battevano. Di questo non potrò mai ringraziarli abbastanza”.