Un mese al cinema: luglio

| | |

Le Ardenne, Maschere di celluloide, Sans lendemain – Tutto finisce all’alba

Da Mayerling a Sarajevo, Le Plaisir

di Pierpaolo De Pazzi

 

Le Ardenne – Oltre i confini dell’amore (Robin Pront, Belgio, 2015).

Esce in ritardo questo film e probabilmente solo perché è stato candidato all’Oscar come miglior film straniero. È un dramma, anzi una tragedia il cui schema archetipico è addirittura biblico, con due fratelli come Caino e Abele. Con loro una donna (la brava Veerle Baetens), l’amour fou, uno solo che paga per tutti (quattro anni di prigione per una rapina finita male), un padre vero che non c’è e un cattivo maestro che ne fa le veci, il passato che riemerge e un finale di sangue.

Come nella Genesi, anche qui è più interessante la figura di Caino, perché il fratello “buono” è troppo debole, tanto da apparire poco credibile, tanto da indebolire tutto il film.

Per il resto molto buona l’ambientazione nelle povere periferie fiamminghe; la presenza nel racconto della musica techno, che copre i silenzi dei protagonisti; sorprendente il colpo di scena finale, molto più che in altri thriller. Su tutto, è molto autoriale la fotografia plumbea e sporcata da riflessi, vetri umidi, nebbia.

Le Ardenne del titolo si trasformano, da boscose colline mitiche dove tornare bambini, e cercare l’innocenza perduta per sempre, per diventare la discarica dove liberarsi di un corpo, il luogo adatto al tragico epilogo della vicenda.

Maschere di celluloide (Show People, King Vidor USA 1928), proiettato in piazza Verdi per una serata di Trieste estate, è una piacevolissima commedia che ci testimonia dietro le quinte l’atmosfera decadente della Hollywood della fine del cinema muto (fu girato l’anno dopo de Il cantante di jazz, il primo film sonoro) includendo numerosi camei di personalità del cinema nel ruolo di sé stessi: di tutti loro (Douglas Fairbanks, William S. Hart, John Gilbert, Elinor Glyn…) solo Chaplin e Vidor e in misura molto minore la protagonista Davies riuscirono a entrare nel mondo del sonoro. Una costellazione di grandissime, effimere stelle stava per tramontare.

La proiezione è accompagnata da una partitura originale del maestro Günter Buchwald che la dirige e partecipa all’esecuzione a cura della Zeroorchestra di Pordenone. L’organico è composto da Romano Todesco (contrabbasso), Luigi Vitale (xilofono e vibrafono), Luca Grizzo (percussioni), Gaspare Pasini (sassofoni), Mirko Cisilino (tromba) e Didier Ortolan (clarinetti e sax). Li’nterpretazione jazzistica accompagna benissimo un film ambientato nei ruggenti Anni Venti, gli anni in cui appunto il jazz esplose.

Seguiamo l’arrivo della campagnola Peggy Pepper, aspirante attrice, nella “Mecca del Cinema” per affermarsi come attrice drammatica. Ma, per lo stile troppo enfatico, sfonda come attrice comica nel cinema delle torte in faccia. Comincia a darsi delle arie, snobbando il partner degli inizi che l’ha aiutata nella sua carriera. Alla fine, la ragazza torna da lui con i piedi per terra.

La musica incontrò i film molto presto nella storia del muto: sappiamo che le prime proiezioni non sonorizzate provocavano negli spettatori delle emozioni forti e che essa fu presto chiamata a esorcizzare i “fantasmi di celluloide”.

Scriveva Maksim Gor’kij, dopo aver assistito ad una delle prime proiezioni in Russia di Une partie de cartes (Una partita a carte, 1895) dei fratelli Lumière : “Al tavolo siedono tre giocatori… Ridono a crepapelle … ma non si ode alcun suono. Sembra che quegli uomini siano morti, e che le loro ombre siano condannate a giocare eternamente a carte, in silenzio”.

Sans lendemain – Tutto finisce all’alba (Max Ophüls, Francia 1939): con Max Ophuls, la giostra delle passioni ricomincia il progetto Happy returns del Lab 80, la società distributiva del Cineforum di Bergamo, uno dei più nobili (nato nel 1956).

Da Gene Tierney a una grande Edwige Feuillère, dal noir americano al miglior melò mitteleuropeo, con il primo di tre titoli di Ophüls proposti.

Questo regista tedesco ha vissuto in prima persona i drammi del ‘900. Comincia in Germania, firmandosi Ophüls con la dieresi, ma nel 1933 fugge in Francia perché ebreo – e si firmerà Ophuls, senza dieresi – da dove dopo lo scoppio della guerra mondiale, con l’invasione nazista della Francia, deve rifugiarsi in USA, per diventare Opuls. Pare, infatti, che gli americani leggessero il suo come awuful – disgustoso.

Una vita come una giostra, la sua, quasi una sceneggiatura di un suo film, una storia in un certo modo esemplare dell’Europa sospesa tra le due guerre, scampata alla catastrofe della prima e in attesa degli eccidi terribili che la seconda avrebbe portato. Così è sospesa la vita della splendida protagonista del film, che 10 anni prima ha dovuto lasciare l’amore in Canada sfuggendo ad un passato che ritorna, vivendo quindi una vita in cui tutto è finzione e nascondimento, lavorando come entraîneuse nel night parigino La sirène. La sirena: Ophuls scherza col destino della sua protagonista, sirena tra le sirene, ammaliatrice condannata a sfiorare una possibilità che non si può più cogliere, con l’amore che sembra ritornare, ma può durare solo quanto dura una gita nelle neve, quanto un fuoco in un camino, quanto un sogno. Tutto finirà all’alba, nella nebbia che esce dalla Senna, con un addio al figlio che parte verso il nuovo mondo, e alla vita. Strappare la propria fotografia, il proprio doppio e poi sparire, svanire come in un trucco magico, non esserci più… Quanta premonizione di morte in un film apparentemente leggero come le bollicine dello champagne.

Il secondo film proposto dalla rassegna è Da Mayerling a Sarajevo (Francia 1940). Il titolo unisce, a dir il vero in modo un po’ fuorviante, le due grandi tragedie che colpiscono la dinastia asburgica sullo scorcio della finis Austriae. È la biografia di Francesco Ferdinando: racconta la storia politica dei suoi contrasti con il vecchio zio Francesco Giuseppe, motivati dal suo essere molto più aperto del re imperatore, al punto da difendere l’idea degli Stati Uniti d’Austria, precursori dell’Unione Europea, assieme alla storia privata del suo amore per la contessa Sophie Chotek, un’aristocratica boema. Interpretata con sensibilità da Edwige Feuillère, cui Ophuls regala un’altra splendida occasione d’attrice, diventerà moglie morganatica, perché di lignaggio inferiore e così dovrà rinunciare ai titoli e all’eredità dell’arciduca per sé e i propri figli.

Si arriva fino all’attentato del giugno 1914, vigilia della grande Guerra e il girato lascia spazio alle immagini documentaristiche contemporaneee, con la guerra del 1940 che prosegue quella finita nel 1918, facendo emergere il sentimento apertamente anti-nazista del regista.

Un po’ per i pur nobili scopi propagandistici che il film serve, un po’ per la maggior propensione del regista verso i drammi e gli ambienti borghesi, piuttosto che con quelli dell’aristocrazia imperiale, la pellicola non appare tra le più riuscite del maestro e si resta con l’interrogativo sul perché sia stata inserita in questa rassegna al posto, ad esempio, del bellissimo La ronde.

A riconciliarci con le scelte di Lab 80 arriva a chiudere la rassegna, e le visioni di luglio, Le Plaisir (Francia 1952). Il film è basato sulla trasposizione cinematografica di tre novelle di Guy de Maupassant: Le Masque, La Maison Tellier e Le Modèle. È lo stesso scrittore ad essere la voce narrante del film che, intrecciando due episodi brevi con quello centrale, più lungo, forma un elegante insieme, una virtuosità registica che unisce una solidissima cultura letteraria e teatrale con la capacità di sfruttare al massimo livello il media cinematografico, utilizzando tutti i possibili movimenti di macchina e anzi inventandone di nuovi, per ribadire che il cinema ha un proprio specifico, appunto, di immagine in movimento, di tempo in azione, di messa in scena della malinconia dell’esistere. La voce narrante inizia nel buio dei titoli di testa, provenendo da un altrove che è un non luogo e un non tempo, dallo spazio senza luce che c’è prima e dopo il film, da quel silenzio che precede e segue il racconto, da quel non essere da cui emerge, e in cui ritorna, la vita.